Un dramma immenso, oltre le parole. Intervista ad Alice Boffi 

Ho intervistato per la prima volta Alice Boffi nel settembre scorso. 
Alice ha trentatré anni, dopo la laurea in Mediazione linguistica e culturale (Università Statale di Milano) ha frequentato un master in lingua inglese in Politica globale e relazioni internazionali (Università degli Studi di Pavia); lavora attualmente ad Amman, in Giordania, per Unrwa (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di soccorso e occupazione per le persone rifugiate palestinesi nel Vicino Oriente. 
Per una singolare coincidenza, Vitamine vaganti ha pubblicato on line l’intervista a questa giovane donna coraggiosa il 7 ottobre 2023, lo stesso giorno del tragico attacco di Hamas e dell’inizio di una nuova fase del conflitto israelo-palestinese. 
La incontro nuovamente l’11 gennaio scorso, poco più di tre mesi dopo, al suo rientro in Italia per le vacanze invernali. 

Rifugio per sfollati palestinesi a Deir al Balah, zona centrale della Striscia di Gaza, gennaio 2024
(© 2024 UNRWA Photo by Ashraf Amra, courtesy Alice Boffi)

Alice, dal 7 ottobre cosa è cambiato per la Palestina, per Unrwa (l’organizzazione per la quale lavori) e per te? Iniziamo dalla Palestina. 
Riguardo alla Palestina, penso che la risposta più immediata sia che è scoppiato un nuovo, terribile ciclo di violenze. La sostanza dell’esperienza della storia palestinese, però, non è cambiata: certo, questa è una fase nella quale la violenza, sempre sistematica ma spesso latente e nascosta, si è inasprita e si è fatta esponenziale. 
Credo sia opportuno premettere che cosa concretamente significa ‘violenza sistematica’ nei confronti del popolo palestinese. Lo stato israeliano è nato come entità politica sulla base dell’occupazione di un’entità preesistente, fragile, ma preesistente (la Palestina era infatti un territorio sotto mandato britannico): nel 1948 Israele è nato appropriandosi di una nazione e di un popolo che già occupavano quella terra. 
Quando si pensa a una terra dove c’è un conflitto, si pensa a due entità più o meno pari che si combattono, ma per Israele e Palestina non è così: la violenza, nella maggior parte dei casi, è unilaterale e sproporzionata, come avviene nei territori occupati (si chiamano infatti Occupated Palestine Territories), che hanno uno status legale riconosciuto. Si tratta di un perimetro chiuso e recintato, in cui gli accessi sono controllati dall’esercito israeliano e ove vige una serie di restrizioni sulla libertà di movimento e sulle libertà civili e politiche della popolazione palestinese. Questo è il modus vivendi, l’aspetto fondante dello stato israeliano: è da questa premessa, mediante questa realtà, che si fa vivo e concreto. Israele è uno stato democratico, ma ha posto le sue fondamenta su di una storia di violenza, che continua a manifestarsi oggi; la violenza si fa esperienza sensibile attraverso il razionamento dell’acqua (c’è un massimo di litri a cui ogni abitante della Cisgiordania ha diritto che è determinato da Israele); attraverso il difficile accesso alla salute (mediante il controllo dei movimenti per curare malattie che non possono essere prese in carico nei territori occupati); attraverso le carcerazioni (sono detenuti minori, le visite sono limitatissime, le condizioni degradanti, i diritti sistematicamente violati). Questo è lo stato delle cose dal 2000 a oggi. 
Nel 1993, in seguito agli accordi di Oslo, vi è stata un’apertura, è parsa più praticabile la soluzione ‘due popoli, due stati’; poi vi è stata la seconda intifada, la protesta per la sistematica violazione degli accordi da parte di Israele, anche riguardo ai luoghi sacri di Gerusalemme (per esempio la Spianata delle Moschee). 
Un elemento importantissimo è quello degli insediamenti: ciò che ha reso impraticabile la soluzione dei due stati è la costellazione degli insediamenti illegali dei coloni israeliani, sorti negli ultimi vent’anni nei territori palestinesi. All’interno della Cisgiordania occupata vi sono ben tre tipi di controllo amministrativo: 

  1. un’area sotto il controllo diretto dell’Autorità Nazionale Palestinese; 
  1. alcune aree condivise; 
  1. un’area più estesa, esclusivamente sotto controllo israeliano, che comprende tutte le infrastrutture e le principali vie di comunicazione. 
    Occorre sottolineare che gli insediamenti dei coloni israeliani sono illegali, al di fuori del diritto internazionale: ma è impossibile, ora, sradicare insediamenti ormai ventennali. La realtà dello stato israeliano contemporaneo è andata sistematicamente in direzione contraria ai due stati, una soluzione ora impraticabile non solo politicamente, ma soprattutto operativamente: questa è la realtà. Manca la visione di una possibile uscita: nello stato attuale, immaginare una soluzione che preveda il rispetto dei diritti dei palestinesi è impossibile. Purtroppo, non c’è alternativa rispetto all’occupazione. 
Uno sfollato tra le macerie della Grande Moschea di Giaffa, Deir el Balah, zona centrale della Striscia di Gaza, dicembre 2023
(© UNRWA Photo by Ashraf Amra, courtesy Alice Boffi) 

Dal 7 ottobre scorso, si assiste a un ciclo di violenza feroce, eccezionale dal punto di vista dei record: vi sono stati attacchi via terra mai visti da parte di Hamas, così come da parte di Israele non si è mai vista un’invasione massiccia della Striscia come quella attualmente in corso, ma queste sono varianti (terribili) di un meccanismo preesistente. Ho sentito paragonare l’attacco terroristico del 7 ottobre a quello del 13 novembre 2015 al Bataclan. Le modalità delle azioni terroristiche possono essere assimilate, ma non le ragioni, occorre distinguere: gli attacchi terroristici di Hamas hanno cause e obiettivi completamente diversi, la religione è l’ultimo obiettivo, non il primo di questo conflitto. Il 7 ottobre costituisce un atto di terrore nel quadro di una lotta di liberazione, non una dimostrazione di odio e di distruzione nei confronti del mondo occidentale, per quanto concretamente le manifestazioni siano simili. Gaza è un territorio sotto embargo totale da diciassette anni, in una situazione particolarmente drammatica: vi sono 2,2 milioni di persone sotto embargo totale, via terra, aria e acqua. Il movimento terrorista di Hamas è frutto di questa storia: la resistenza può essere non violenta, certo, ma è necessario comprendere questa storia per rispondere, curare, andare oltre. Come possiamo non pensare che i bambini che subiscono quello che subiscono oggi a Gaza da adulti non si radicalizzino? Non hanno sperimentato altro che violenza… 
Quel che è peggio, è che questo drammatico ciclo di violenza sembra essere in qualche modo autorizzato e giustificato: l’operazione militare israeliana ha come obiettivo dichiarato quello di sradicare Hamas, ma in realtà si sta sradicando la popolazione civile della Striscia di Gaza; questo è un attacco limpido e chiaro alla popolazione civile, che è vittima di una punizione collettiva. Si tenta di far rimpiangere ai palestinesi di Gaza di esistere. 

Donna palestinese si rifugia sotto la pioggia in tende per sfollati a Deir El-Balah, Striscia di Gaza centrale, 13 dicembre 2023
(© 2023 UNRWA Photo by Ashraf Amra, courtesy Alice Boffi) 

Per me, come storica è doloroso constatare come la storia sembri ripetersi, con parti rovesciate. Nel 1940, dopo l’occupazione della Polonia da parte del Reich, Heinrich Himmler, comandante delle SS, perfezionò un piano per l’emigrazione forzata degli ebrei d’Europa in Madagascar, già colonia francese, poi abbandonato perché ritenuto troppo oneroso. Nel 1941 Reinhard Heyndrich, plenipotenziario per la ‘soluzione finale’, presentò un piano per deportare gli ebrei ancora più a est, poi vanificato dalla resistenza sovietica. Nei giorni scorsi, il ministro della sicurezza del governo israeliano, Itamar Ben Gvir, ha proposto di trasferire in modo coatto il popolo palestinese in Congo o in Arabia Saudita. I palestinesi sono costretti a lasciare le proprie case e spinti sempre più a sud, in uno spazio sempre più ristretto, privi di mezzi di sostentamento… Ma veniamo a Unrwa. 
In base al report Unrwa dell’8 gennaio (l’ultimo a mia disposizione), dal 7 ottobre 2023 la nostra agenzia ha perso sotto i bombardamenti 146 operatori e operatrici. Erano mie colleghe e colleghi. 
1,9 milioni di persone (pari all’85% della popolazione della Striscia di Gaza) sono sfollate, una parte di loro più volte. 
1,4 milioni di sfollati interni sono accolti in 155 strutture gestite da UNRWA (145 scuole e 10 centri assistenza medica). Altre 300mila-400mila persone fanno riferimento a queste strutture, pur trovandosi al loro esterno. 
Unrwa fornisce assistenza complessivamente a oltre 1,7 milioni di persone, soprattutto nel sud, con una capacità di erogare servizi di assistenza di base nel nord della Striscia e a Gaza City estremamente limitata: qui non riusciamo più a operare. 
A oggi, 11 gennaio, nella Striscia di Gaza si contano 23.084 morti, di cui il 70% sono donne e bambini, e 58.900 feriti. E questi sono numeri al ribasso. In Cisgiordania si contano 329 morti, di cui 84 bambini. Poiché la maggior parte dell’esercito israeliano è concentrata a Gaza, e non vi sono abbastanza soldati da inviare in Cisgiordania, sono state distribuite armi ai coloni che popolano gli insediamenti ed è stata loro garantita l’impunità. Sono cani sciolti, non rispondono a nessuno, sparano a vista, violano sistematicamente i diritti della popolazione palestinese. 
Al momento Unrwa gestisce shelter, rifugi: siamo passati dall’essere il principale fornitore di servizi di istruzione e sanità al fornire servizi di prima necessità; prima del 7 ottobre i nostri beneficiari erano 300.000 bambini, ora nelle nostre strutture ospitiamo 1,4 milioni di persone rifugiate. Vi sono 12.000 persone per shelter (quattro volte la loro capienza), vi è un bagno ogni 200 persone; con questo tipo di situazione igienica collettiva è inevitabile che scoppino epidemie, colera e tifo, e che proliferino i parassiti… 
Vorremmo riuscire a dare anche protezione umanitaria, ma le nostre strutture spesso sono attaccate direttamente: vi sono stati 222 ‘incidenti’ che hanno impattato strutture Unwra, 63 sono state direttamente colpite (non collateralmente) e 323 rifugiati sono stati uccisi al loro interno. 
La priorità ora è data alle life saving activities, gli interventi salvavita: distribuzione di acqua, farina, medicine, servizi medici di base, che viene effettuata con enorme fatica nei nostri health centers, centri salute. Ne avevamo 22 nella zona sud e mediana della Striscia, ora ne sono operativi 6, che continuano a funzionare in collaborazione con altre agenzie delle Nazioni Unite, Fao (Food and Agricolture Organization of the United Nations) e Pam (Programma Alimentare Mondiale). 

Sfollati interni in una scuola dell’UNRWA trasformata in rifugio, Striscia di Gaza centrale, 18 dicembre 2023
(© 2023 UNRWA Photo by Mohammed Hinnawi, courtesy Alice Boffi) 

E ora veniamo a te, a come è cambiato il tuo lavoro. 
Io lavoro nel Dipartimento dell’educazione. In questo momento l’educazione non è la priorità, ma agire sul fronte della salute mentale e della risposta al trauma è altrettanto importante quanto fornire risposte in termini di interventi salvavita. Abbiamo mobilitato il nostro personale educativo (10.000 insegnanti e 1000-2000 altri operatori) per organizzare attività ricreative per bambini e bambine, fornire supporto psicosociale e consulenza, individuale e di gruppo, informare e sensibilizzazione rispetto al rischio delle mine inesplose. Noi, dalla Giordania, cerchiamo di supportare colleghe e colleghi nella Striscia, di elaborare piani per fronteggiare l’emergenza, di mobilizzare fondi per quando si riuscirà a operare in risposta alla crisi, dopo il cessate il fuoco, ovviamente. 
I nostri operatori e operatrici sono sole, senza risorse, senza materiali. I libri di testo utilizzati nelle scuole sono stati bruciati per fare fuoco per scaldare le persone. Gli aiuti umanitari dal valico di Rafah entrano con il contagocce: acqua, cibo, medicine e benzina, indispensabile per far funzionare generatori, pompe dell’acqua, forni. Operatrici e operatori sono ben consapevoli che finché non ci sarà un cessate il fuoco saranno soli: possiamo aiutarli poco e da lontano, per la ricostruzione, se ce ne sarà una. È una grande fatica, lavoriamo circondati da incognite, non sappiamo chi governerà la Striscia, dopo: se una sorta di autorità palestinese locale, il governo di Ramallah, l’Egitto, Israele… non lo sappiamo. 
Per quanto riguarda la scolarità, la Striscia di Gaza era il nostro più grande terreno di operazioni, con il più alto numero di scuole e beneficiari: oltre 300.000 minori, di età compresa tra i sei e i diciotto anni. All’interno delle scuole dei singoli paesi, Unrwa utilizza libri di testo dell’autorità ospitante: Giordania, Libano, Siria…. A Gaza cosa insegneremo, quali libri adotteremo? La ricostruzione, poi, sarà incredibilmente costosa: le scuole rase al suolo (tra pubbliche e gestite da Unrwa) sono 12, altre 360 sono state danneggiate in maniera massiccia, moderata o minore. I numeri sono immensi, gli investimenti economici necessari si valutano in miliardi di dollari. 
In totale sono 625.000 i minori che non hanno accesso alla scuola (e 22.500 sono gli insegnanti direttamente colpiti), all’educazione e a un posto sicuro dove stare. È una cosa immensa, immensa… 

Proprio oggi il Sud Africa ha chiamato in causa Israele per tentato genocidio davanti alla corte internazionale di giustizia dell’Aia. Che ne pensi? 
È un segnale di speranza: un paese così lontano che decide di esporsi in modo così forte per muovere un’accusa di genocidio, condannare un atto criminale, in un mondo che sembra condonare e garantire l’impunità totale a Israele. Il Sud Africa ha una storia di grande discriminazione, di sofferenza e violenza: il suo è un forte richiamo a non essere indifferenti. 
L’accusa del crimine di genocidio è chiara: non si parla di conflitti e diritti violati, l’accusa presentata dal Sud Africa non si basa solo su quello che è successo a partire dal 7 ottobre, ma anche sulla storia di violenza sistematica operata dallo stato di Israele: la distruzione di massa, il bombardamento di case e ospedali, l’embargo di acqua e cibo, la distruzione dei servizi sanitari di base, lo sfollamento di quasi tutta la popolazione palestinese. Sono atti genocidari e la volontà è quella di prevenire ulteriori crimini da parte di Israele, che nel 1948 ha firmato la Convenzione contro i genocidi e che ora la violerebbe (affermando, tra l’altro, che l’accusa mosse dal Sud Africa è ‘ridicola’), in una situazione drammatica oltre le parole. 

Sfollati interni in una scuola dell’Unrwa trasformata in rifugio, sud della Striscia di Gaza, 17 dicembre 2023
(© 2023 UNRWA Photo by Mohammed Hinnawi, courtesy Alice Boffi) 

Non è facile lavorare in una tragedia tanto grande… 
No, non è facile, ma sono rasserenata rispetto al dramma che mi circonda dal fatto di lavorare per Unrwa, un’agenzia che in questo momento cerca di difendere i più deboli, cerca di proteggere chi è in pericolo e che mi sembra si stia schierando dalla parte giusta. Questo mi solleva molto dal peso di essere vicina a una sofferenza così grossa, non solo perché sono vicina fisicamente, ma anche perché il 90% delle mie colleghe e dei miei colleghi sono palestinesi: questa situazione rappresenta per molti di loro un trauma primario, perché hanno famiglia a Gaza; per altri, nel migliore dei casi, un trauma secondario, perché vivono una situazione che tutti i palestinesi hanno sperimentato nella loro vita. 
La consapevolezza di lavorare per questa agenzia, in questo momento, mi solleva, mi fa sentire meno impotente e meno ignava di quanto mi sentirei altrimenti, come la consapevolezza che stiamo facendo un tentativo, per quanto lontano e non efficace come vorremmo, di immaginare una risposta per quello che sarà dopo. Tante persone mi scrivono che sono preoccupate per me, mi pensano immersa nella sofferenza: è vero, ma il mio lavoro mi protegge e mi fa vivere con meno senso di colpa individuale questo dramma immenso. 

In copertina: un uomo cammina tenendo in braccio un bambino tra le macerie degli edifici crollati a Gaza City, 25 novembre 2023 (© 2023 UNRWA Photo by Ashraf Amra, courtesy Alice Boffi). 

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Articolo di Laura Coci

Fino a metà della vita è stata filologa e studiosa del romanzo del Seicento veneziano. Negli anni della lunga guerra balcanica, ha promosso azioni di sostegno alla società civile e di accoglienza di rifugiati e minori. Dopo aver insegnato letteratura italiana e storia nei licei, è ora presidente dell’Istituto lodigiano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea.

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