Il numero 1 di Limes, uscito nello scorso mese di febbraio, si divide in tre parti: Guerra Larga in Medio Oriente, Ucraina alla resa dei conti, Cina, America e Coree agitano l’Indo-Pacifico.
L’editoriale di Lucio Caracciolo, molto lungo e ricco, come sempre, di spunti e citazioni stimolanti, si sofferma sulla figura di Robert Ardrey, dal pubblico italiano pressoché sconosciuto, e sulle sue considerazioni sulla società italiana. Vivamente consigliata la lettura. La parte che più ci interessa, però, riguarda il modo in cui la popolazione italiana guarda alla Guerra Grande che si sta combattendo in Ucraina: «La follia nostrana consiste nel crederci esterni alla guerra, (come descritta dai media n.d.r.) di potercela cavare armando gli aggrediti con armi che ci vergogniamo di dichiarare ufficialmente, non è chiaro se perché chincaglieria o perché temiamo di essere bollati parte in conflitto». A proposito, quali e quante armi abbiamo inviato fino ad ora? Siamo l’unico o forse tra i pochissimi Stati in cui non è dato saperlo, nel silenzio del Governo e del Capo dello Stato, che è anche il Capo delle Forze armate secondo la Costituzione. «Probabilmente ‒ aggiunge Caracciolo ‒ per entrambi i motivi. Resta che siamo militarmente ininfluenti in una guerra nella quale ci proclamiamo schierati con l’Ucraina a difesa dei valori occidentali. Se avessimo dubbi ce li toglie il nemico russo, per cui siamo “paese ostile”. Continuiamo a raccontarci parte di un universo pacifico, benevolo e privilegiato che non esiste più. Vittime di una truffa che ci siamo autoinflitti, con qualche divertito aiuto di amici e alleati: abbiamo abolito il principio di realtà, sostituito da narrazioni basate su sé stesse. Perciò inconfutabili. Atti di fede da nichilismo totalitario. Fondati sulla sostituzione del reale col sincero. Non esistono fatti veri, se non quelli in cui sinceramente crediamo, per convenzione a ripetere. Ce li rimbalziamo fra noi, eccitati dal piacere di pensarla allo stesso modo. Impermeabili alle dissonanze, veleni distillati dalla propaganda altrui. Molto più rassicurante credere nella propria. La propaganda dovrebbe influenzare il nemico a nostro vantaggio. Qui influenza noi a vantaggio del nemico, che la prende a ridere (”comici” russi insegnano). Risultato: siamo nella partita, ma in fuorigioco permanente. In caso di sconfitta pagheremmo un conto più salato di molti altri partner dell’Ucraina, se vincessimo saremmo esclusi dalla spartizione del bottino». Tanti sono i temi affrontati nell’editoriale del direttore. Tra le molte notizie che, tra una digressione dotta e l’altra, Caracciolo ci comunica, ce ne è una che mi ha fatto riflettere e che mi piace condividere con chi vuole capire le dinamiche geopolitiche tra Unione Europea e Usa. Parlando di Germania, il direttore responsabile di Limes ricorda qualcosa che è naturalmente passato sotto silenzio nel febbraio 2022, poco prima dell’inizio della Guerra Grande: il discorso di Biden avvenuto nella conferenza stampa congiunta tra lui e Scholz alla Casa Bianca il 7 febbraio 2022 («Biden and German Chancellor Olaf Scholz Hold Joint Press Conference», YouTube, 7/2/2022.). Biden: «Se la Russia invade ancora l’Ucraina non ci sarà più un Nord Stream 2». Giornalista tedesca eccepisce: «Ma come farete, visto che il progetto è sotto controllo tedesco?». Biden: «Le prometto che saremo capaci di farlo». Il cancelliere non obietta». Chi è stato il mandante del sabotaggio dei due gasdotti ufficialmente ancora non si sa.

Della prima parte meritano di essere segnalati alcuni articoli: Chi, con chi e contro chi in Medio Oriente, di Lorenzo Trombetta, che dà un quadro esauriente delle forze in campo, delle diverse alleanze e degli schieramenti, la conversazione con la professoressa Ḥanān ‘Ašrāwī portavoce della delegazione palestinese ai colloqui per gli accordi di Oslo del 1993 e con il generale israeliano Giora Eiland, e l’approfondimento della giornalista e studiosa Paola Caridi sulla possibilità di una riconciliazione tra Hamas e Fath. Della conversazione con Ḥanān ‘Ašrāwī vorrei riportare alcuni passaggi: «[…] Questa storia di orrore e sangue non nasce il 7 ottobre. […] prima e dopo il 7 ottobre sono state uccise decine di migliaia di bambini, donne, anziani palestinesi. Cos’è questo se non terrorismo di Stato, che non trova giustificazione alcuna nel diritto di difesa? Non nasce il 7 ottobre 2023 la guerra d’Israele contro i palestinesi. I palestinesi, non Ḥamās […] Bisognerebbe vivere per qualche tempo a Gaza. Intere generazioni sono cresciute nella disperazione più assoluta, hanno conosciuto solo paura e violenza. Gaza è un inferno in terra. E all’inferno non crescono sentimenti positivi. Crescono rabbia e odio, il bisogno di giustizia si trasforma in desiderio di vendetta. Non ci sono santi in Terrasanta. La propaganda israeliana ha fatto il resto. Colpiscono al cuore le immagini del bambino israeliano che ha compiuto un anno in cattività. Ma qualcuno ha potuto vedere le foto dei diecimila bambini palestinesi uccisi dall’esercito israeliano? Il 7 ottobre Israele, lo Stato fortezza, ha capito di non essere tale. È stato sorpreso e questo ha minato la sua pretesa d’invincibilità. Una macchina da guerra, l’esercito più agguerrito al mondo sconfitto da combattenti palestinesi. È questo che in molti hanno festeggiato…».
Sulle conseguenze degli attacchi degli Houti alle navi occidentali nel Mar Rosso è illuminante l’intervista a Salvatore Mercogliano, storico della navigazione professore associato alla Campbell University e marinaio, Il Mar Rosso svela la cecità marittima dell’America, dove ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, si conferma l’inadeguatezza degli Usa in politica estera.

Sono ben 19 gli articoli dedicati a quanto sta succedendo in Ucraina. Accuratissimo, come sempre, l’approfondimento di Maronta, dal titolo La guerra economica insabbia il numero uno. Vi si afferma questo in conclusione: «Che le sanzioni non fermino la macchina bellica russa è ormai assodato. Che in prospettiva facciano male a economia e società russe è più che verosimile, data l’entità dell’embargo e malgrado i molti modi di aggirarlo.» A rimetterci è incredibilmente il dollaro, e l’esperto di economia internazionale ne spiega in modo dettagliato perché.
La conversazione/tavola rotonda tra competenti analisti militari (che abbiamo imparato a conoscere nei precedenti numeri della rivista di geopolitica) su chi stia perdendo la guerra incuriosirà chi si intende di queste questioni, anche se risulta in parte superata dalla sostituzione del generale Zalužnyj a opera di Zelens’kyj. Come ricorda Dottori, l’Istituto internazionale di sociologia di Kiev certificava, nel dicembre 2023, un crollo di oltre venti punti (dall’84% di un anno prima al 62%) del grado di fiducia nel presidente e l’irruzione nel sentiment degli ucraini del generale Valerij Zalužnyj, comandante in capo delle Forze armate, assente nelle precedenti rilevazioni ma allora accreditato di un grado di fiducia dell’88%. Nel frattempo, come in molte altre occasioni, il cosiddetto difensore dei valori occidentali e della democrazia, ha destituito chi ne poteva offuscare l’immagine.
Alla domanda della redazione di Limes, «Possibile che, alla fine della guerra, gli unici effettivamente sconfitti siano i paesi europei?» Ilari, uno degli analisti, risponde: «Questa è l’unica cosa sui cui falchi e colombe sono d’accordo.
Fosse dipeso da noi, non avremmo allargato la Nato, meno che mai a Ucraina e Georgia, il cui ingresso fu bloccato nell’aprile 2008 da Merkel, Sarkozy e Prodi (negli ultimi giorni del suo governo), avremmo completato il Nord Stream 2 e probabilmente l’Ucraina sarebbe intera e prospera…».

Di parere diametralmente opposto e convinto della imminente disgregazione della Russia è Janusz Bugajski, Senior Fellow alla Jamestown Foundation, che collabora con il Forum delle libere nazioni della post Russia. Sulle difficoltà dell’Occidente, e in particolare quelle statunitensi, riguardo alle armi da inviare in Ucraina scrive Mirko Mussetti che si sofferma su alcune dichiarazioni dei rappresentanti Usa e ucraini che è bene riportare. Biden: «Sosterremo l’Ucraina finché possiamo» (J. Politi, «Joe Biden says US will back Ukraine “as long as we can”», Financial Times, 13/12/2023). «Continueremo a fornire armi ed equipaggiamenti critici finché è nelle nostre possibilità. Ma senza finanziamenti supplementari, giungeremo al termine della nostra capacità di ausilio nel rispondere alle urgenti richieste operative». Qui il riferimento è allo stallo al Congresso americano dovuto ai repubblicani che si sono opposti al pacchetto da 61 miliardi di dollari promesso dall’amministrazione Biden a Kiev per il 2024. Blinken a Davos: «Non esiste una pentola magica piena di soldi. Se non otteniamo quel denaro, è un vero problema. Sicuramente lo è per l’Ucraina. Ma penso che lo sia anche per noi e per la nostra leadership in tutto il mondo. Ma il punto è questo: dei soldi che chiediamo, ben 50 miliardi di dollari verrebbero spesi proprio negli Stati Uniti per procurare articoli per la difesa dell’Ucraina. Sono prodotti in America; sono posti di lavoro per gli americani». Ed ecco la replica di Kuleba, Ministro degli Esteri ucraino, proprio a Davos: «Vi offriamo l’accordo migliore: non sacrificate i vostri soldati. Dateci armi e denaro e noi finiremo il lavoro». Confermando però involontariamente, come ricorda Mussetti e come ormai abbiamo capito tutte e tutti, la natura del conflitto: si tratta di una guerra per procura tra Russia e Occidente, “fino all’ultimo ucraino”.

Mussetti conclude così la sua disamina, riprendendone il titolo: «La carenza di munizioni e mezzi di mobilità, la penuria di soldati e la realizzazione di linee difensive contrapposte potrebbero condurre fisiologicamente allo “scenario coreano” più volte paventato dall’intelligence militare degli Stati Uniti. Una guerra senza fine, ma anche senza morti». Di vite spezzate e di morti inutili, come sono sempre inutili le morti in guerra, ce ne sono state già troppe. La soluzione coreana potrebbe forse essere la più indolore, anche se tardiva e se far risolvere alla diplomazia il conflitto che parte dal 2014 sarebbe stata la soluzione più “umana” (n.d.r.). In Urss addio, viva l’Urss di Orietta Moscatelli si sostiene che la guerra in Ucraina sia l’onda lunga della disgregazione dell’Unione Sovietica e il prologo alla rinegoziazione di un ordine nelle periferie dell’ex colosso comunista. L’analisi è complessa e articolata, ma di questo sui nostri media non c’è traccia, purtroppo. Se Moscatelli si occupa dei rapporti di Putin, prossimo al quinto mandato, con le Repubbliche ex sovietiche, in uno sguardo tutto interno, il pezzo di F.Luk’janov,
Direttore di Russia in Global Affairs, sostiene che La Russia si vuole riferimento della maggioranza mondiale, del cosiddetto Sud Globale e della recente evoluzione dei Brics.
Sulla crisi della Germania, dopo il sabotaggio dei due Gasdotti Nord Stream 1 e 2, si sofferma Giacomo Mariotto, riferendo le posizioni filotrumpiane di Afd e la voglia di una parte delle forze politiche tedesche di uscire dall’Unione Europea, con una Dexit). L’interessante contributo ha un titolo molto esemplificativo: La Germania travolta da se stessa. Sindrome da Zeitenwende (svolta epocale).

La terza parte del volume di febbraio è dedicata a Cina, Taiwan e alle due Coree.
Mentre sta per uscire il numero di marzo, tutto sull’Italia, è utile riferire i recenti contributi su questa guerra tratti da altre fonti. In particolare la Newsletter dell’8 marzo di Roberto Jannuzzi Intelligence for the People parla di isteria e allarmismo nel dibattito europeo sulla guerra. «Ciò che guida la politica europea in questo momento è la paura», ha scritto recentemente il Telegraph in un articolo del 3 marzo, in cui si legge: «Uno spettro s’aggira per l’Europa. Lo spettro di un’alleanza tra Donald Trump e Vladimir Putin». Wolfgang Streeck, direttore emerito dell’Istituto Max Planck di Colonia, una delle poche voci fuori dal coro, scrive: «È ora di chiedersi chi ha messo gli ucraini in questo pasticcio – chi ha detto all’estrema destra ucraina che la Crimea sarebbe tornata in mano loro? Per evitare tali domande, la classe politica europea è disposta a lasciare che il massacro continui sulla linea congelata del fronte ucraino – cinque anni, dieci anni – nessun problema, tanto saranno solo gli ucraini a combattere. Ma cosa succederà se si rifiuteranno di stare al gioco e di morire per i “nostri valori»?

Jannuzzi afferma ironicamente che la «politica europea perdente non si cambia», che secondo alcuni governi dell’Ue bisogna fermare il nemico russo alle porte, che Macron fa la chiamata alle armi e ricorda, a chi se lo fosse dimenticato, che la connivenza tra Cia e servizi segreti ucraini, dai tempi di Jevromaidan, è stata ribadita anche recentemente dal New York Times. Così conclude: «Per salvare l’Ucraina, sarebbe molto più utile la ricerca di un compromesso con Mosca, come del resto vorrebbe la maggioranza delle opinioni pubbliche europee. Ma si sa, nelle cosiddette “democrazie” occidentali, raramente i governi si fanno interpreti della volontà delle rispettive popolazioni».
Sento la necessità di ricordare che all’interno delle opinioni pubbliche di queste democrazie le voci meno ascoltate sono quelle delle associazioni femministe e femminili. Pur avendo le donne ottenuto da tempo la parità ed essendo cittadine a pieno titolo, anche più consapevoli, e pur avendo stilato molte proposte insieme a Comitati per la pace e a ong per i diritti umani, continuano, come su molti altri temi, a essere ignorate dai decisori.
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.
