Cambiamo discorso. Genere e lingua italiana

Già conosciamo bene la professoressa ordinaria dell’Università Ca’ Foscari di Venezia Giuliana Giusti, non solo per l’articolo Conservazione e innovazione nella lingua italiana, pubblicato in Vitamine vaganti il 6 maggio 2023, ma soprattutto come esperta conduttrice, presso l’ateneo veneziano, di un corso sul linguaggio di genere molto piacevole e concreto, gratuito e che, dopo moltissime edizioni, ora si può seguire anche in differita. Noi lo abbiamo indicato – e continuiamo a consigliarlo – a tutte le nuove autrici della nostra rivista Vv, molto attenta al linguaggio che si utilizza, per un opportuno e corretto uso della grammatica e dell’educazione a parole rispettose di ogni differenza e “non ostili”: lo potete trovare qui https://learn.eduopen.org/eduopenv2/course_details.php?courseid=557.

Ora Giuliana Giusti, anche rappresentante effettiva del Comitato unico di garanzia dell’ateneo (Cug), sarà protagonista del webinar di maggio, precisamente giovedì 16 maggio 2024, nell’ambito del ciclo di incontri Cambiamo discorso-Contributi per il contrasto agli stereotipi di genere, organizzato da Reti Culturali, con un intervento dal titolo Lingua e genere.
In attesa di partecipare all’incontro online sul tema specifico, poniamo alcune domande alla relatrice, sul suo percorso personale e culturale, per presentarla al pubblico di lettrici e lettori di Vitamine vaganti.

Le scuole medie superiori, che hai frequentato, sono state importanti per la futura scelta universitaria?
Sì e no. Ho fatto il liceo classico perché durante le scuole medie anche l’insegnante di matematica mi aveva detto che il classico era un percorso di studio adatto a tutti gli sbocchi universitari. In realtà, il classico (e posso dirlo anche perché sono stata insegnante di lingua straniera in molte scuole, incluso il liceo classico) è come tutte le altre scuole: è efficace e motivante se ci sono insegnanti efficaci e motivanti ed è inutile e dannoso se ci sono insegnanti prescrittivi, normativi, quelli che oggi chiameremo “grammarnazi”. Io sono stata abbastanza fortunata, ma nella mia esperienza di insegnante ho trovato una grande disparità tra i colleghi.
L’unico motivo per cui ancora mi rallegro di aver fatto il liceo classico è che spesso chi (uomini e donne) cerca di spiegarmi che il maschile nelle professioni di prestigio rispecchia l’uso corretto della lingua, spesso aggiunge “io lo so, ho fatto il liceo classico”. A loro rispondo, “anche io l’ho fatto” e poi preciso che ho un dottorato di ricerca e ho superato tre gradi di concorsi accademici in linguistica (disciplina che non è studiata in nessuna scuola, nemmeno al liceo classico).

Quali tematiche, letture, incontri… ti hanno portata a interessarti della disparità di genere nel linguaggio?
Nel 1985 ho fatto un anno come visiting student con una borsa di scambio tra Ca’ Foscari e l’università di California. Negli anni successivi ho frequentato il dottorato in Italia con periodi in Germania, Austria, Svizzera e di nuovo negli Stati Uniti. In quei paesi la discussione sulla designazione delle donne nel linguaggio era una questione già nota e ben consolidata. Per questo, quando sono uscite le linee guida di Alma Sabatini, io e la mia collega Anna Cardinaletti abbiamo pensato di applicare l’analisi di sintassi formale a questi argomenti. Il lavoro è uscito solo nel 1991 Il sessismo nella lingua italiana. Riflessioni sui lavori di Alma Sabatini in “Rassegna italiana di linguistica applicata”, vol. XXIII. Credo sia il primo lavoro su questo tema pubblicato in una rivista scientifica italiana. Ho un aneddoto interessante su questo. Un influente collega linguista ci consigliò di non mettere questa pubblicazione in curriculum per le selezioni ai concorsi. Ed effettivamente questo è quanto ho fatto.

In base alla tua esperienza, nella scuola di base c’è attenzione e sensibilità per gli aspetti linguistici che rappresentano il maschile e il femminile?
Da parecchio tempo non ho un contatto quotidiano con le scuole. Negli ultimi anni forse c’è un maggiore interesse e sensibilità. Alcune scuole mi hanno anche chiesto di fare seminari di formazione per insegnanti o interventi direttamente rivolti a studenti. Una ventina di anni fa, il linguaggio non era considerato una frontiera per la parità di genere, soprattutto nei licei. Ora credo che le cose siano cambiate.

Sei spesso invitata a parlare nelle scuole della mancanza di parità di genere nella lingua italiana oppure no? Ci puoi raccontare di un’esperienza bella e significativa che hai avuto?
Direi non molto spesso. Rispetto a quanto appena detto, una ventina di anni fa ho fatto un progetto con il Centro Donna di Venezia e alcune scuole veneziane. Sono rimasta colpita dal fatto che al liceo scientifico le ragazze erano propense a farsi chiamare con nomi maschili (ingegnere, avvocato, neurologo) a dir loro per essere pari ai loro compagni e si sono ribellate alla mia lezione sulle declinazioni al femminile, mentre nelle scuole professionali, tutto è stato molto più semplice.

Dato che abbiamo una premier che ha dato indicazione di essere nominata al maschile, vedi in questo campo un regresso rispetto a quando, decenni fa, hai pubblicato un bel commento al Sessismo nella lingua italiana di Alma Sabatini?
In realtà c’è stato un forte progresso negli ultimi anni che non può essere azzerato. La prima richiesta di essere chiamata “Signor Presidente” è stata immediatamente ritirata. Moltissime testate la chiamano “la presidente”, come è naturale. Credo che il terribile tempo di “il direttore” per Bianca Berlinguer o Concita De Gregorio sia passato. Rimangono alcune parole ancora ostiche come “medica” o “(vice)-questora” nelle serie televisive, e ci si deve rammaricare di una politica linguistica che va contro la tendenza odierna. Ma ho la sensazione che i termini femminili avranno la meglio quando riferiti a una donna.
La nuova frontiera da non sottovalutare è l’uso di una forma non-maschile per il genere non marcato, con denotazione generica o per gruppi misti. L’esperimento dell’Università di Trento che ha adottato la misura di usare il femminile in questi casi mi sembra molto interessante e va percorsa in alternativa all’inserimento di vocali alternative, più adatte a mio parere a rappresentare il genere non binario.

Conosci progetti attualmente in corso per portare maggiore equità di genere nei libri di testo, per esempio, piuttosto che nel linguaggio usato dalla stampa?
Non che io sappia, ma ce ne sarebbe molto bisogno.

Ringraziamo la professoressa per il tempo che ci ha dedicato e per le interessanti risposte, e le diamo appuntamento al prossimo giovedì per il webinar di Cambiamo discorso.

Questo il link per effettuare la preiscrizione all’incontro online e ricevere poi le indicazioni per il collegamento: https://us06web.zoom.us/webinar/register/WN_R4A78ToATSeRzoIu-VAMqw.

Qui si possono leggere tutte le precedenti conversazioni del ciclo.

Chi non potesse partecipare alla diretta dell’incontro online, potrà rivederlo (come tutti i precedenti) sulla pagina fb di Reti culturali.

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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, già docente di filosofia/scienze umane e consigliera di parità provinciale, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. Giornalista pubblicista, è vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti.

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