Giuliana Misserville si occupa di critica letteraria femminista e narrativa fantastica. Ha contribuito alla fondazione della Società italiana delle letterate (SIL). Collabora con varie riviste cartacee e online e fa parte della redazione di Leggendaria per cui ha firmato nel 2018 lo speciale Trans/Scritture. Tra le sue pubblicazioni, il saggio Donne e fantastico. Narrativa oltre i generi (Mimesis 2020) sull’emersione del fantastico nell’opera di alcune scrittrici italiane in connessione con i romanzi delle grandi autrici straniere di fantascienza e fantasy. Nel 2024 ha pubblicato Ursula K. Le Guin e le sovversioni del genere (Asterisco edizioni), che offre una rilettura queer del romanzo The Left Hand of Darkness. Sempre nel 2024 ha curato l’antologia di racconti queer Stasera faremo cadere il cielo (Zona 42). Suo il podcast sulle storie fantastiche La mano sinistra.
Femminismo/femminismi: è possibile l’unità nella pluralità?
Questa domanda sull’unità nella pluralità mi sollecita parecchio. Di primo acchito l’unità sembrerebbe l’obiettivo più alto, il più appropriato, ma onestamente nella formulazione c’è qualcosa che non mi suona. Mi pare una trappola linguistica o, meglio, sentimentale: la questione dell’unità — ovvero “Stiamo unite perché più forti” — mi ha riportato agli anni Settanta, quando nel movimento sindacale c’era il problema di non rompere l’unità tra i tre sindacati confederati CGIL-CISL-UIL: era un tabù, per non rompere l’unità sindacale si accettava qualsiasi cosa, anche indigesta. Credo che parlare di unità sia entrare dalla porta sbagliata: come femministe non abbiamo l’obbligo di essere unite, perché arriviamo da storie diverse e conserviamo le nostre differenze; piuttosto è possibile costruire una rete di apporti di senso, mantenere il dibattito aperto, capire se c’è un orizzonte comune. Mi piace di più la pluralità, perché parla di dialogo e di rete, di alleanze e di discussioni, l’unità mi rimanda a qualcosa che invece tende a smorzare il dialogo. Preferirei non parlare di unità, non avere questo problema, ma essere aperta alla pluralità.
Femminismo/femminismi: mi chiedo se sia opportuno (e strategico) privilegiare ciò che divide e distingue (che pure non nego e a cui riconosco legittimità) rispetto a ciò che unisce e accomuna. Che ne pensi?
Cercare ciò che unisce sembrerebbe una strategia ovvia. Io però a questa domanda accosterei un altro elemento: la questione dell’ambito. Se noi ci spostiamo nell’ambito della politica del femminismo, dei femminismi, le cose infatti cambiano un po’: parlare di privilegiare ciò che unisce (e per me, come detto, si tratta di un’entrata sbagliata nella questione) presuppone che i femminismi abbiano avuto la stessa presa, lo stesso spazio. Non è stato così: in Italia il femminismo della differenza ha espresso un pensiero risultato egemone rispetto alle elaborazioni di teoriche femministe che non si identificavano in quel quadro di riferimento (vedi femminismo materialista francese). È più facile per me rispondere a questa domanda privilegiando un altro punto di vista: quello delle diversità, delle elaborazioni differenti, senza pensare che si debba trovare l’unità, perché altrimenti alcune posizioni verrebbero silenziate. E in effetti in passato alcune posizioni hanno rischiato di sparire: quindi la domanda, per come è formulata, presuppone un retroterra storico che non è stato tale. Per il resto è ovvio che bisogna lavorare su elementi che possano trovare la partecipazione e la convergenza di più persone possibili. Ancora, la domanda, secondo me, rappresenta una posizione superata, per quanto riguarda la battaglia politica culturale: ci sono ora elaborazioni teoriche estremamente interessanti e variegate che stanno arrivando nel dibattito italiano; quello dell’unità è un falso problema, andiamo piuttosto a leggere queste voci, che sono molto feconde, ci interrogano, spostano quello che abbiamo nella testa (che è un po’ cristallizzato nel tempo) e rappresentano ventate positive. Parlo di studi, analisi, narrative che si riconnettono ai queer studies, un campo che apre piste molto interessanti e liberatorie.
Per mia parte, per esempio, non ho condiviso le posizioni espresse da alcune femministe della differenza sul Ddl Zan; faccio ancora fatica ad accettare il fatto che alcune femministe siano andate in una direzione piuttosto che in un’altra: è un punto che mi ha portato a pensare che quel femminismo appartenesse al passato e che non fosse più in grado di connettersi con le istanze contemporanee.

Quali sono state le ragioni profonde e quale l’occasione spinta che ti hanno portato al femminismo?
Fin da piccola ho utilizzato la narrativa come un elemento primario del mio costruire il mondo intorno a me: la letteratura era una finestra da cui mi arrivavano tante cose e allo stesso tempo un modo per cercare di costruire il mio senso dello stare al mondo.
Alcune letture mi hanno influenzato più di altre: innanzitutto l’opera intera di Simone de Beauvoir mi ha aperto spazi enormi, preceduta dalla lettura di Matrimonio e morale di Bertrand Russel, che per me è stata uno spartiacque; mi ha poi catapultato nel femminismo L’invenzione della donna di Maria Rosa Cutrufelli, un libro piccolissimo ma importante: se Beauvoir mi ha affascinato per molti anni anche grazie al tema della ricerca della felicità, con Cutrufelli mi sono spostata, il suo libro mi ha preparata a ragionare su femminismo e stereotipi nella letteratura.

Menzogna e sortilegio, Einaudi 1948
Fondamentale, da questo punto di vista, è stata la lettura di Menzogna e sortilegio di Elsa Morante: leggevo e pensavo che una scrittura così immaginifica non l’avevo mai incontrata; all’epoca Morante era ‘solo’ la moglie di Moravia, quindi una figura di secondo piano, e io pensavo che non era davvero possibile… Il tempo l’ha ricollocata diversamente, ma nella ricollocazione di Morante e della scrittura delle donne ha contato moltissimo l’attività della Società italiana delle letterate (SIL): quando Anna Maria Crispino (che mi coinvolse anche nell’avventura di Leggendaria) e Liana Borghi lanciarono a Firenze l’idea di una associazione femminista che sostenesse e approfondisse le scritture delle donne, sentii che si trattava di una scommessa che mi stimolava, e che mi sarei sentita onorata di lavorare perché alcune cose si concretizzassero. Poi, con Anna Maria, Paola Bono e altre socie abbiamo organizzato dal 2000 e per diciotto anni il Seminario estivo residenziale della SIL, che ha registrato sempre tra le quaranta e anche sessanta partecipanti, insieme a discutere per tre giornate attorno a un tema; tutta l’attività messa in piedi dalla SIL ha contribuito a spostare la ricezione delle opere delle scrittrici, recuperando figure dimenticate e lavorando su alcune autrici, mettendo in rilievo come insieme formassero un canone imprevisto, un oltrecanone. Con Nadia Setti (attuale presidente SIL), una sera, abbiamo ragionato del nostro desiderio di tributare un omaggio a Elsa Morante, e (nel 2012, anno in cui avrebbe compiuto cento anni) ci siamo inventate la passeggiata letteraria su Elsa Morante che percorse Roma alla ricerca dei luoghi della sua vita e della sua opera; da quella venne fuori il convegno e il volume Morante la luminosa, la rilettura femminista di un’autrice che meritava una risonanza maggiore di quella che fino ad allora aveva avuto.

E come sei arrivata a occuparti di narrativa fantastica?
La battaglia politica e culturale perché la narrativa delle scrittrici fosse considerata in maniera adeguata, non semplicemente come narrativa rosa e intimista, è rimasta una costante della mia attività e si è approfondita nel fantastico. Per uno dei Seminari scoprii due scrittrici, Chiara Palazzolo e Loredana Lipperini, che avevano pubblicato romanzi gotici e fantasy nei quali erano centrali le istanze femministe: iniziai allora a pensare come la narrativa di genere potesse essere un veicolo eccezionale per spostare l’immaginario delle persone e arrivare al loro cuore: di qui è nato il mio libro Donne e fantastico.

Il saggio che mi ha accostato alla critica letteraria femminista è stato I lumi e il cerchio di Emma Baeri, che racconta la ricerca su una figura storica siciliana, con verve, ricchezza, passione del tutto particolari.
Baeri mi ha insegnato che una persona che fa ricerca non è neutra rispetto al soggetto della propria ricerca, vi entra a pieno titolo, come strumento e materia, e ciò modifica il soggetto studiato che viene illuminato di una luce diversa; è questa una postura adottata anche dalla critica letteraria femminista, di contaminazione tra autrice e soggetto, ed è qualcosa che ho trovato estremamente fecondo: scrivere un testo di critica letteraria, un saggio, per me è stato da allora non un esercizio scolastico o didascalico, ma un impegno intellettuale e politico in cui mettere in gioco tutta me stessa. Lo trovo affascinante. E il fantastico si è coniugato, in un primo tempo attraverso la figura della vampira, con il mondo della narrativa lesbica e queer. Il colpo di fulmine l’ho avuto durante lo spettacolo dei Motus, MDLSX con Silvia Calderoni che buttava a mare le soggettività cristallizzate nell’essenzialismo e apriva ai desideri più visionari: e leggere Paul Preciado e Filo Sottile ha fatto il resto.
Il mio libro più recente è su Ursula K. Le Guin: studiando lei, io ho continuato a spostarmi; nel suo saggio del 1983 Una visione non-euclidea della California come luogo freddo, Le Guin afferma che dobbiamo imparare a cambiare le categorie con le quali interpretiamo la realtà, perché le nostre categorie non sono universali, il mondo è una interconnessione di esistenze e di senso, e dunque, se vogliamo allargare il nostro orizzonte, dobbiamo rischiare persino l’esperienza del vuoto. È un’affermazione connessa alla narrativa fantastica, quando nutre in sé una tensione politica (che non vuol dire fare proclami), trasformativa e spesso sovversiva (così è stata spesso la fantascienza delle scrittrici), grazie a scritture che riescono a spostare chi legge dalla propria confort zone al “territorio selvaggio” (come teorizza Laura Pugno), offrendo nuovi strumenti di interpretazioni e visioni e possibilità di vita diverse al di fuori della società eterocispatriarcale e antropocentrica.

Quale istanza vorresti fosse prioritaria nel femminismo, nei femminismi?
Sostanzialmente l’antispecismo, l’animalismo, l’alimentazione non carnivora: sono istanze che dovrebbero essere recepite da chi si ritiene femminista. Se parliamo della fine del patriarcato, di strategie per uscire dal patriarcato o dal capitalocene, le cose si tengono, non si può evitare di pensare alla sorte che riserviamo a milioni di animali. Non si tratta solo di ecologismo, ma di diritti degli animali, di non cibarci con modalità che comportano crudeltà e sofferenza inaudite. È soltanto per “mancanza di immaginazione” che non si diventa tutt3 animalist3 e vegetarian3.

a cura di Giuliana Misserville
Come vedi il futuro per i diritti delle donne, delle persone non binarie, di tutte le minoranze?
Non so come sarà il futuro. Ci sono segnali inquietanti intorno, però io penso che sia necessario rimboccarsi le maniche.
Ricordo al riguardo un’intervista che ho fatto a Porpora Marcasciano, nella quale lei disse una cosa che mi ha colpito molto rispetto ai contrasti che lacerano le comunità femministe e LGBTQ+: io le chiesi come e se si potesse lavorare per l’obiettivo comune di abbattere il patriarcato, lei rispose che potevamo farlo attraverso le pratiche, le situazioni virtuose. L’antologia di racconti queer che ho curato per Zona42, Stasera faremo cadere il cielo, si pone in connessione con quello che mi aveva risposto Porpora: ho chiamato persone che sapevo appartenere a comunità diverse, a volte in disaccordo; metterle a lavorare insieme per un progetto comune per me è stata una pratica positiva e il risultato è una serie di racconti che trovo strepitosi. La speranza è che questa esperienza possa essere contagiosa.
In copertina: tre testi di Giuliana Misserville: Donne e fantastico (Mimesis 2020), Leggendaria 132 – Trans/scritture (novembre 2018), Ursula K. Le Guin e le sovversioni del genere (Asterisco edizioni 2024).
La galleria fotografica qui presentata comprende opere di Giuliana Misserville e testi che l’autrice ritiene fondamentali per la propria formazione femminista.
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Articolo di Laura Coci

Fino a metà della vita è stata filologa e studiosa del romanzo del Seicento veneziano. Negli anni della lunga guerra balcanica, ha promosso azioni di sostegno alla società civile e di accoglienza di rifugiati e minori. Dopo aver insegnato letteratura italiana e storia nei licei, è ora presidente dell’Istituto lodigiano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea.
