Indovinato, come sempre, e pieno di richiami culturali e di contributi di autori e autrici tedesche, il titolo di questo sesto numero di Limes, curato da Giacomo Mariotto. Ricorda volutamente L’uomo senza qualità di Musil e leggerlo ci aiuterà a capire perché.
La Germania si trova in una fase di transizione tra quello che immaginava di essere fino a tre o quattro anni fa, una grande Svizzera, dove tutto era tranquillo e si viveva abbastanza bene, e i tre grandi problemi che si sono accumulati, scuotendone le fondamenta. Come ricorda Lucio Caracciolo in un incontro di presentazione del volume sul canale youtube MappaMundi, il primo elemento è la questione migratoria. Oggi in Germania più di un quarto della popolazione è di origine straniera e una buona parte di questa vive in comunità più o meno parallele e protette, molte persone non parlano la lingua tedesca e i rapporti tra questi gruppi sociali ed etnici sono spesso tesi. Questa situazione ha favorito la nascita del partito di destra estrema, l’AfD e ne ha alimentato il consenso. Il secondo problema è stato l’impatto del Covid, non solo sanitario ma anche sociale e mentale. Si è diffusa all’interno della società una tendenza al complottismo, che immagina che il Covid sia l’invenzione diabolica di qualche gruppo o Kabala, di ispirazione ebraica, con effetti divisivi e devastanti. Il terzo è la guerra. La Germania credeva di essersene liberata per sempre e invece «si trova quasi al fronte», con un riarmo senza precedenti. Tutto questo si è innestato sulle crisi economica ed energetica. Scrive Caracciolo nel suo illuminante editoriale Il vincolo di Teutoburgo, che ricorda Arminio e la sconfitta delle truppe romane di Varo nel 9 d.c.: «nel bilancio del mondo post-24 febbraio la Bundesrepublik si sorprende nella colonna dei minus. Perdente secca. In un colpo solo: senza gas via tubo russo, in ritirata dal mercato cinese, sotto schiaffo americano, destituita dalla cattedra di praeceptor Europae».

Su questo punto sono illuminanti gli approfondimenti di Heribert Dieter, analista al German Institute for International and Security Affairs di Berlino e Professore associato all’Università di Potsdam, L’industria tedesca ha un problema e di Jan Otmar Hesse, Esportare, un’ossessione tedesca.
La prima parte del volume si intitola La Bundesrepublik fuori asse e affronta le contraddizioni di uno Stato ancora impregnato dal senso di colpa per lo sterminio delle persone ebree (la Germanofobia, la paura dei tedeschi verso se stessi) e da tanti luoghi comuni. A tale proposito è illuminante la conversazione della redazione con Nancy Fraser, Giorgio Fazio e Roberto Mordacci, Censura e wokismo uccidono l’Università tedesca. Alla docente della New School for Social Research di New York, filosofa e critica sociale, è stato impedito di tenere una lezione già programmata all’università di Colonia, a causa di un suo scritto, Philosophy for Palestine, in cui, lei stessa ebrea, condannava sia l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso sia la conseguente reazione israeliana, culminata con l’invasione della Striscia di Gaza e l’uccisione di almeno 39 mila persone, in maggior parte donne e bambini, per tacere dei cadaveri sepolti sotto le macerie e di quelli morti per denutrizione e malattie contratte a seguito dell’intervento del governo israeliano. La docente, autrice del saggio fondamentale Capitalismo cannibale, ricorda che l’Università dovrebbe essere un luogo di confronto aperto e libero e afferma: «La difesa a oltranza delle azioni di Israele si è trasformata in una questione che attiene alla ragion di Stato. Ciò condiziona le relazioni che i tedeschi hanno con gli ebrei e, dal mio punto di vista, comportandosi così essi tradiscono le loro responsabilità storiche. Il punto, oggi, non è sostenere incondizionatamente qualsiasi cosa facciano gli ebrei, ma chiedersi quali ebrei supportare. La tradizione ebraica, nella sua storia, è estremamente complessa e stratificata. Ha mille rivoli e milioni di correnti. Ridurre il supporto agli ebrei al supporto al nazionalismo israeliano significa rinunciare a comprendere questa storia. Per me la tradizione ebraica è quella che va da Spinoza a Freud. Non me la sentirei di dire che l’ebraismo culmina con Netanyahu!».

La libertà di manifestazione del pensiero è in crisi in Germania, emarginando tutti coloro che non si allineano alla narrazione dei media mainstream. Ce lo ricordano gli articoli di Luca Steinmann, in particolare Il Grande Fratello parla tedesco? e di Zumbini, Da Kant all’Ipermorale, da leggere con attenzione, per capire le ragioni del successo elettorale di AfD. Molto illuminanti anche i testi di Werner J. Patzeit, La prevedibile ascesa dell’AfD e Perché l’ex Ddr è una colonia occidentale di Dirk Oshmann.

Per chi fosse interessato/a all’economia politica e alle relazioni internazionali segnalo anche l’articolo di Fabrizio Maronta, Il boomerang austero, che ben si presta a essere utilizzato in classe per parlare di Fiscal Compact, Six – Pack, Mef e Keynes senza far morire di noia le e gli studenti.
La seconda parte della rivista di geopolitica si intitola Le Germanie in Germania e contiene articoli che spiegano la diversità, che persiste e anzi si è accentuata, tra quella che fu la Ddr e la Repubblica Federale di Germania, diversità abissali, che si manifestano anche nel successo nella parte orientale di AfD, benché i fondatori di tale partito siano tutti occidentali. Come scrive Dirk Oshmann, «Nel novembre 1989, parlando della riunificazione della Germania, l’ex cancelliere e presidente dell’Spd Willy Brandt aveva coniato una delle frasi più celebri della storia tedesca recente: «Ora cresce insieme ciò che si appartiene». Mai profezia fu più sbagliata. Nella Repubblica Federale solo il 2% circa delle posizioni di vertice è occupato da tedeschi dell’Est, sebbene questi corrispondano al 19% della popolazione… «Gli orientali restano indietro per esempio nelle prestazioni economiche, o quando si tratta di espandere la connessione Internet veloce, o ancora nella digitalizzazione. Ovunque si guardi, l’Est è in ritardo». Gli ossis, poi, considerano non senza qualche ragione i wessis come dei colonizzatori. E non è un caso che l’AfD sia il primo partito in tutti i cinque gli Stati orientali della Germania e il secondo partito davanti a tutti quelli che compongono l’attuale Governo federale.

Quella del 1991 non è stata una riunificazione, come ricorda Caracciolo, ma l’annessione della Germania comunista alla Repubblica Federale di Germania, con un forte risentimento, mai sopito, degli ossis, spesso canzonati dagli occidentali. Basti per tutti e tutte una battuta che circola in Germania: «Che cosa distingue un turco da un ossis? Il turco parla tedesco e lavora».

In questo numero si parla dei confini variabili della Germania, dei fiumi che ne delimitano le parti, della mancanza di un’identità tedesca condivisa e della lenta formazione della stessa nel tempo. A tale proposito, molto istruttiva è la conversazione con la storica Katja Hoyer, intitolata La Prussia sopravvive nella Germania senza storia.

Ma in questo sesto volume dell’anno si parla anche di filosofia, con I tarocchi di Hegel, a cura di Giuseppe De Ruvo e dello stato emotivo del paese: l’Angst , termine quasi intraducibile che può indicare sia la paura sia l’ansia. Molti sono gli interventi che riprendono la storia della Germania, su cui è d’obbligo richiamare le preziose lezioni di Geostoria di Lucio Caracciolo, reperibili sul canale youtube di Limes.
Due articoli ci danno dettagliate analisi sulla Sassonia e sulla Baviera, definita tempo fa da Der Spiegel la “Capitale segreta” della Repubblica Federale, sede della Siemens e della Bmw, con un sistema scolastico modello.
La Terza parte, La Germania isolata, racconta delle difficoltà della Ostpolitik attuale, si chiede Cosa vuole l’America dalla Germania e così si risponde, in un approfondimento di Federico Petroni: non più «americani dentro l’Europa, tedeschi sotto e Russi fuori», ma una Germania attore chiave in Europa sulla Russia e protagonista cruciale in campo militare, con l’obiettivo di europeizzare la Nato. Dopo l’invasione dell’Ucraina, con la posizione adottata dall’Unione Europea, il progetto americano sembra avere avuto successo. In questa parte si parla anche di una bomba atomica tedesca o europea, di deterrenza nucleare e di rapporti con la Cina.

Mentre scrivo la Corte di giustizia delle Nazioni Unite ha dichiarato che «Israele deve ritirare le sue forze da ogni parte dei territori occupati, compresa la Striscia di Gaza, e rimuovere tutti i coloni dalla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, illegalmente annessa».
Nonostante ciò, la Germania continua a essere «l’alleato più affidabile e importante di Israele, dal punto di vista economico, politico e militare […] L’Olocausto impone a Berlino di stare sempre al fianco di Israele e di sentirsi responsabile del futuro e della sicurezza dello Stato ebraico. Nel 2008, Angela Merkel ha portato questo impegno a un livello superiore quando ha dichiarato di fronte al parlamento israeliano che «la responsabilità storica della Germania fa parte della ragion di Stato del mio paese. Ciò significa che la sicurezza di Israele non è mai negoziabile per me in qualità di cancelliere» (Thorsten Hinz). E questo è stato ribadito anche da Scholz. Il vincolo di Auschwitz, lo chiama Caracciolo.

Perché dovrebbe interessare a noi italiani il destino della Germania? Perché geo-economicamente il confine meridionale germanico è proprio l’Italia settentrionale. «Noi italiani tifiamo Germania» — conclude il direttore della scuola di Limes nel suo editoriale. — In fondo, ne siamo un po’ parte. Per bimillenaria vicenda storica. Per intimità culturale, fra attrazione e repulsione. Per interdipendenza economica disegnata dal limes germanico In prosa: perché Berlino garantisce il debito di Roma – assicurazione non eterna. Infine, siamo in guerra. L’ultima l’abbiamo persa insieme. Non abbiamo finito di pagarne il prezzo». Non dimentichiamoci che secondo gli articoli 53 e 107 dello Statuto delle Nazioni unite siamo ancora, con la Germania e il Giappone, considerati «Stati nemici». E sui punti di contatto tra nazismo e fascismo in questo editoriale troveremo interessanti spunti di riflessione.
In questo numero abbiamo un “Limes in più” dedicato all’Impero di Genova, da cui segnalo l’interessante contributo di Alessandro Barbero, a cui si deve una biografia di Federico il Grande di Prussia, di cui consiglio vivamente la lettura, a chi vorrà approfondire questo numero di luglio.
Per la spiegazione della copertina e di alcune carte di Laura Canali di questo numero di Limes: https://www.youtube.com/watch?v=vqJ8nGQQAQ8
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.
