Genova nell’opera di Fabrizio De André

Genova è una città particolare, complicata e bellissima, difficile da immaginare per chi non la conosce. Per i latini Genova era Ianua, la porta sul mare detto Nostrum, ma oggi nel porto si sente parlare italiano e genovese ma anche arabo inglese francese spagnolo, tutte le lingue di un Mediterraneo più che mai cosmopolita. I suoi strati mostrano il sovrapporsi di epoche e culture, un minestrone multietnico dove l’architettura araba si erge accanto alle rovine romane a pochi passi da eleganti quartieri ottocenteschi. La forma della città è quella di un abbraccio per chi viene dal mare, casa aperta per viaggiatori marinai viandanti naufraghi pescatori migranti. Genova è una città accogliente e solidale. I suoi abitanti, per quanto abili risparmiatori (lo stereotipo li vuole tirchi in quanto tradizionalmente mercanti non agiati), sanno essere a volte di una generosità sorprendente. Con il suo centro storico dove si intrecciano gli stretti carruggi, Genova è fatta di palazzi arrampicati su monti che sembrano appena usciti dall’acqua, formando stradine in ripida pendenza. Nella canzone dedicata al capoluogo ligure, Francesco Guccini omaggia la «Genova che si perde in centro nei labirinti di vecchi carruggi».

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Tra i carruggi. Foto di Andrea Zennaro

Qui si incontrano due mondi, quello dei marinai e dei pescatori e quello dei montanari. La canzone Crêuza de mä, tratta dall’omonimo album, datato 1984 e interamente scritto in dialetto genovese, mostra questo incontro, che avviene «nella taverna di Andrea che non è un marinaio» («Int’à cä du Dria che u nu l’è mainà»). La locanda dà da mangiare agli uomini di mare e a quelli di terra, questi ultimi definiti «gente di Lugano, facce da pellicciai, quelli che del luccio preferiscono l’ala («gente de Lûgan facce da mandillä, qui che du luassu preferiscian l’ä»), espressione con cui i pescatori deridono i montanari, che non saprebbero distinguere un pollo da un pesce. Questa bettola si trova in cima a una crêuza de mä, una mulattiera del mare, una delle ripide stradine (spesso più simili a scalinate che a salite) che dalla Genova alta conducono al porto: la crêuza è forse la forma più caratteristica dell’urbanizzazione ligure. Il brano continua descrivendo il cibo servito nella bettola di Andrea. Il menù mischia i piatti dei pescatori, come «frittura di pesciolini e bianco di Portofino» («frittûa de pigneu giancu de Purtufin»), irreperibili fuori dal mare, a quelli dei montanari, come «cervella di agnello […] e pasticcio di gatto in agrodolce» («çervelle de bae […] paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi»), pietanza inconcepibile per un marinaio. È da notare che, come i pellicciai confondono un pollo e un pesce, così i marinai non sanno distinguere un gatto da un coniglio (il gatto è detto «lepre delle tegole»). Con l’ultima frase, il poeta prende chi ascolta e lo conduce nella sua città: «padrone della corda marcia di acqua e di sale che ci lega e ci porta in una mulattiera del mare» («bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä»). Sembra di essere appena usciti dalla locanda profumata di olio e di basilico e di trovarsi in quei vicoli sporchi e scoscesi marci di umidità, con il mare di fronte e i vecchi palazzi ai lati. La stessa sensazione si ha alla fine del pezzo, dopo la parte cantata, quando il grido di una donna e la risposta di alcuni uomini portano in un mercato o in un porto, di certo non in un quartiere ricco.

Anche dal punto di vista sociale, Genova è incontro di due mondi. La canzone La città vecchia mostra i poveri i vecchi gli ubriachi i ladri e gli assassini che un tempo frequentavano il Porto Antico e tuttora riempiono parte dei vicoli (in particolare le zone di via Pre e via della Maddalena), ma fra questi vi è un intruso: un vecchio professore va da una prostituta, «forse quella che sola ti può dare una lezione, quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie, quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie». Oggi il centro storico, solo in minima parte gentrificato, continua ad accogliere viaggiatori viandanti artisti di strada migranti e giovani con i cani, che si fondono con turisti ricchi e borghesi benestanti, mentre i vecchi professori continuano ad andare “a lezione” dalle lavoratrici del sesso. Una camminata per via San Lorenzo, tra l’odore di pesto fresco e quello di focaccia alla cipolla, rende l’idea di questa Genova variegata, questo mondo che riunisce insieme mondi diversi.

Guccini definisce Genova «repubblicana di cuore, vento di sale d’anima forte». La Liguria fu il primo territorio italico ad abbandonare la monarchia e istituire la repubblica nel 1797. L’anima forte della città è orgogliosamente conservata in un’epigrafe sotto i portici di via XX Settembre, che ricorda al mondo la medaglia d’oro per la Resistenza conferita dalla Repubblica alla bella città sul mare dallo spirito indomito e antifascista.

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Genova, la bandiera. Foto di Andrea Zennaro

Scrive don Andrea Gallo, a proposito della sua città e della canzone del suo amico: «Crêuza de mä, con le sue combinazioni fonetiche di parole provenienti dall’arabo, dal greco, dallo spagnolo, dal francese, è la prova vivente che l’alterità è un valore aggiunto. Genova, capitale del mare e dei migranti, dei viandanti e dei marinai. Genova, capitale della frittura di pesciolini bianchi d Portofino e del pasticcio in agrodolce di lepre delle tegole […]. Genova, capitale di un Mediterraneo […] e di un’economia che all’altalena della borsa preferisce il pane fatto in casa e le litanie laiche e civili dell’amore e della democrazia. Crêuza de mä mi fece di nuovo innamorare della mia città come poche volte. […] C’è la vita di tutti i giorni. […] Questo bel Mediterraneo mi sbuffa in faccia le sue onde cariche di storie di uomini veri ogni giorno di buon maestrale. Pescatori e marinai, viaggiatori di mille leghe sotto i mari, immigrati e clandestini». Poi, a proposito di migranti e clandestini da accogliere, il prete di strada continua: «Credo in un’Europa fatta di colori e tradizioni diverse. Credo in un’Europa plurale! […] È inutile, non si può fermare i migranti».

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In copertina. Genova, l’abbraccio dal mare. Foto di Andrea Zennaro

Articolo di Andrea Zennaro

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Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.

Un commento

  1. Sono genovese e ho molto apprezzato sia la lettura dettagliata di Creuza de ma, sia lo sforzo di spiegare lo spirito di una città così piena di contraddizioni da essere difficilmente definibile. Vorrei solo aggiungere che, nei caruggi, nella zona storica di Genova, non ci sono solo case modeste di pescatori, ma vi sorgono sontuosi palazzi principeschi, ricchi di magnifiche opere d’arte (che il genovese, notoriamente schivo, tende a nascondere), alcuni dei quali visitabili. Nel centro storico bisogna guardare i portoni per capire che genere di dimora si cela dietro

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