Caratteristiche del fascismo

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Durante la dittatura il regime fascista vive di un largo consenso popolare, ottenuto grazie a una massiccia campagna di propaganda e alla repressione dei pochi antifascisti rimasti. 

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Roma, elezioni del 1934. Palazzo Braschi

Verso le classi più deboli la propaganda fascista fa leva sulla rabbia dei reduci di guerra, sul nazionalismo e su un diffuso sentimento antisocialista dovuto alla delusione seguita al Biennio Rosso; verso le classi privilegiate invece il fascismo si pone come la forza antisocialista che ha saputo arginare la barbarie rivoluzionaria bolscevica e che sta riportando l’ordine nel Paese. Nonostante l’appoggio dell’alta borghesia, il Fascismo si pone agli occhi delle fasce sociali più disagiate come forza antiborghese. Fondamentali per alimentare il consenso al regime sono la scuola e soprattutto le organizzazioni giovanili e le adunate la cui partecipazione è obbligatoria. La nuova cultura considera pericolosa la lotta di classe in quanto disgregatrice della società e fuorvianti i valori liberali in quanto espressione di individualismo e di tendenza al lusso borghese. In quanto antisocialista e di conseguenza antioperaio, il Fascismo diffonde il mito del lavoro agricolo. Sul tema della propaganda agricola bisogna ricordare le grandi opere realizzate dal governo Mussolini, come la bonifica dell’agro pontino (vicino Roma), che prima era solo una palude malarica, e la costruzione di cinque città nuove, Aprilia, Pontinia, Pomezia, Sabaudia e Littoria (oggi Latina), in cui vengono forzatamente trasferite intere famiglie di contadini provenienti dal Veneto. Fondamentale per la propaganda è stata la diffusione della radio nelle case e la creazione dei cinegiornali dell’istituto Luce.

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Famiglia numerosa

Nei confronti della famiglia il regime ha un atteggiamento maschilista: la donna, tutt’altro che pari all’uomo, ha la sola funzione di generare i figli che faranno grande la Nazione da mietitori, da atleti e da soldati. Lo Stato si proclama titolare della gestione della fecondità nazionale e legifera sulla maternità e sulla moralità delle donne. 

Il Partito promuove l’aumento della natalità al punto da proibire non solo l’aborto ma tutta l’informazione sui contraccettivi in quanto «reato contro la sanità della stirpe»: decidere autonomamente sul proprio corpo ora è considerato «individualismo borghese». I manicomi si riempiono di donne: mogli “irriconoscenti” e madri “snaturate”, ragazze “libertine” e “indomabili” che vanno ricondotte all’ordine.

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In manicomio

Diversamente dalle altre dittature contemporanee, Mussolini non assumerà mai il ruolo di capo dello Stato, che rimane nelle mani del Re. Ed è importante ricordare che uno dei pilastri del regime è l’appoggio datogli dalla Chiesa sotto Papa Pio XII, che non ha protestato quando è stato sciolto il Partito Popolare cattolico. La filosofa ebrea Hannah Arendt, tedesca di nascita ma naturalizzata statunitense, definisce il Fascismo «un totalitarismo imperfetto» proprio in quanto non ha scardinato le colonne portanti dello Stato né preso il loro posto, tant’è vero che sarà proprio il Re a cacciare Mussolini dal governo molto più tardi. Eppure è stato proprio grazie alla connivenza di Casa Savoia che la dittatura è nata e stata in piedi.

Nonostante da giovane Benito Mussolini sia stato fortemente anticlericale, non può governare senza l’appoggio della Chiesa. Nel 1929 Mussolini e Pio XII firmano i Patti Lateranensi, un trattato diplomatico che riconosce reciprocamente i due Stati mettendo definitivamente fine alla questione romana e al Non expedit seguiti alla presa di Roma del 1870. Il Concordato stabilisce che la religione ufficiale dello Stato italiano è quella cattolica (come già sancito dallo Statuto Albertino), il cui insegnamento diventa obbligatorio in tutte le scuole del Regno, e i matrimoni religiosi avranno d’ora in avanti lo stesso valore di quelli civili. 

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La firma dei Patti Lateranensi

La fase legalitaria del Fascismo era stata segnata da un’economia liberista volta a rassicurare gli imprenditori e gli agrari, ancora legati alla vecchia élite liberale, ma l’inflazione aumenta e la lira perde valore rispetto alle monete straniere. Durante la dittatura sorge il mito dell’autarchia, ovvero l’autosufficienza economica dell’Italia dalle importazioni straniere. La più eclatante manovra mussoliniana per limitare le importazioni è chiamata «la battaglia del grano»: sbandierando l’indipendenza alimentare del Paese e il petto nudo del Duce, inizia un massiccio aumento della produzione cerealicola, accompagnato da un inasprimento dei dazi doganali per le importazioni. 

In risposta alla crisi economica del liberismo esplosa nel 1929, lo Stato italiano si fa imprenditore: per far fronte al tracollo delle banche e dei commerci internazionali, il governo istituisce grandi industrie di proprietà non più privata ma statale. Riprendendo la tradizione medievale e rinascimentale, l’economia fascista istituisce il corporativismo, dottrina che punta alla totale unità tra le classi superando il conflitto sociale attraverso un unico sindacato (legato al Partito Fascista) e leggi uniche per ogni categoria lavorativa.

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Le corporazioni

I vertici dell’esercito italiano sono il frutto di un compromesso tra il Duce e il Re: Mussolini riesce a far assegnare alti gradi ai generali Mario Roatta e Rodolfo Graziani, mentre il Re mantiene come capo delle forze armate il maresciallo Pietro Badoglio.
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Articolo di Andrea Zennaro

4sep3jNIAndrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.

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