Carissime lettrici e carissimi lettori,
ci eravamo fatte/i gli auguri invocando la pace e invece questo 2020, a nemmeno una settimana dalla sua nascita, ha acceso, o meglio, ravvivato focolai di guerra in zone del mondo, oltre che vicinissime a noi, anche già molto agitate e piene di morte. I fatti appena successi dopo l’intervento americano in Iraq (altra terra tormentata da anni) che è costato la vita al generale iraniano Soleimani, ucciso all’aeroporto di Bagdad, o il nuovo bombardamento su una caserma di Tripoli, in Libia, ci danno la sensazione che il triste gioco della guerra e della violenza non accenna minimamente a finire. Tutto questo, tra minacce di nuovi attacchi logistici (sembra una squallida sfida a chi promette il numero più alto di siti da colpire), cyber attacchi (un nuovo modo di fare la guerra distruggendo i sistemi informatici nemici), progetti di rapimenti e minacce di distruggere, oltre i siti militari, anche i luoghi di valore culturale, che come tali non sono solo mèra proprietà dello Stato in cui sorgono, ma fanno parte della cultura e della storia dell’umanità intera. Ciò fa sentire noi tutte e tutti più insicuri e di fatto ci allontana da urgenze importanti da risolvere, dai problemi fondamentali della nostra terra la cui soluzione è necessaria e urgente perché venga salvata: dall’ambiente all’uguaglianza tra le donne e gli uomini, alla giustizia sociale, compresa l’accoglienza.
Uno sguardo al passato degli avvenimenti di cui cade in questi giorni l’anniversario ci preme ricordare, è doveroso, i quaranta anni dall’uccisione di Piersanti Mattarella, fratello del Presidente della Repubblica. Insieme all’appena celebrato ricordo (lo abbiamo fatto anche qui nel numero scorso) di Giuseppe Fava, il giornalista fondatore de I Siciliani, trucidato anche lui dalla mafia il 5 gennaio (nel 1984) ci ricorda che non bisogna mai abbassare la guardia contro chi, come ha detto la grande fotografa siciliana Letizia Battaglia proprio in occasione della commemorazione di Mattarella: “ha fatto vivere anni terribili non solo a Palermo e alla Sicilia, ma all’Italia intera”. Per ricordare ancora: la violenza iniziata (come un spartiacque tra minacce e messa in atto) cinque anni fa a Parigi, il 7 gennaio con i 17 morti dell’attentato al giornale satirico Charlie Hebdo inizio di un periodo oscuro, soprattutto per Francia.
Numero dopo numero in questa rivista non ci stancheremo mai di mostrare e di stimolare la curiosità in tutte e tutti voi nel vedere e conoscere che tanta parte della Storia di questo mondo è stata scritta anche dalle donne alle quali questo dato non è stato riconosciuto o misconosciuto e praticamente mai scritto nei libri, da quelli di Storia, delle Scienze tutte, dell’Architettura e della Medicina nonché delle Arti, dalla musica, alla Pittura e perfino alla Letteratura dove hanno avuto più spazio visibile, ma non certo un giusto riconoscimento del valore.
Allora continuiamo a scrivere di queste donne e anche di altre che comunque hanno lasciato il loro piccolo segno nella vita comune. Una donna coraggiosa raccontata qui è Amelia Earhart, “simbolo del femminismo e di ciò che le donne possono fare quando sono libere” come recita l’articolo a lei dedicato. Ma non è la sola presente in questo numero. Le fa compagnia la più nota Sibilla Aleramo. Ha una vita con un inizio pieno di tristi eventi e grandi sfortune, ma poi, saputasi ribellare a un matrimonio iniziato con una violenza sessuale e l’imposizione maschile, sboccia alla vita che voleva, diventando paladina dei diritti delle donne e frequenta, tra le grandi città italiani dove sceglie via via di vivere, stanca della ristrettezza della provincia, le migliori menti della sua epoca con libertà sentimentale anche e sessuale.
C‘è Anna Cerchi Ferrari, partigiana, c’è Charlotte Perriand (le si sta dedicando una mostra), che ha fatto la storia dell’arredamento del XX secolo, c’è Eleonora Pimentel Fonseca, patriota politica e giornalista. Ci sono le Pastore, donne forti, audaci, che non si mettono paura della solitudine e delle condizioni del tempo spesso in montagna avverse, che non temono la stanchezza. Sono donne anche con un dolore nascosto che con le loro compagne del regno animale si sentono protette dalla cattiveria del mondo, come succede alla pastora nata con caratteri sessuali promiscui la cui difficile storia di vita è raccontata nell’articolo che leggerete, provata dall’odio e dal male già nella famiglia e per questo allontanata.
Belle tutte le donne a cui è stata intitolata ultimamente una strada, una piazza, un giardino, o posta una targa a ricordo del loro fare. Sono le donne ricordate in un altro articolo riguardante le nominazioni nel territorio toscano della città di Pistoia e della sua provincia. Semplicemente entusiasmante ci appare come sempre la vita di Fernanda Pivano alla quale noi di Toponomastica femminile speriamo le sia intitolata al più presto una piazza, oggi negata, nel centro della sua Genova. Amica di Fabrizio De Andrè, di don Gallo, che la chiamava la signorina americana, alunna e poi compagna di lavoro di Cesare Pavese, la troviamo qui in un articolo insieme al suo amico cantautore, insieme alle parole dedicate dal Faber alle donne, a tutte le donne, soprattutto a quelle che non si vedono socialmente. Fernanda Pivano darà a De Andrè le parole, dalla traduzione delle poesie e delle canzoni.
Invece non ci sembra buono e giusto quello che è successo sulle nostre strade in questo periodo di feste appena trascorso, sulle morti premature e inutili di tante (sono casualmente soprattutto ragazze) e tanti giovani, anche questo un dato casuale, ma risultato preminente rispetto a casi che hanno riguardato (e ci sono stati) persone di età adulta. Mi ci ha fatto pensare il post trovato su un social: “Roma, Brunico, Senigallia – è scritto -, sono i nomi delle stragi stradali che si sono consumate in questi giorni. Che cosa hanno in comune? Guidatore maschio, giovane, italiano, ubriaco. Se fosse stato uno straniero ci sarebbe stata una guerra civile. Invece, nessun commento per una tragedia tutta italiana che riguarda i giovani, la dipendenza dall’alcool e la noia del sabato sera. Ne stiamo perdendo tanti ma questo, da un punto di vista elettorale, non paga. Questo per gli odiatori social non è appetibile”. Chi ha scritto, (Giovanna Nastasi) nella sua pagina privata, è un insegnante. Questo ci consola perché rafforza (e comunque la composizione di Toponomastica femminile lo conferma) che la scuola può fare molto. Può allontanare da quella mentalità dell’odio, aggiungerei facile e di pancia, che invade tutto e va per categorie (immigrati, donne, ideologie ecc.) senza nessuna analisi. La scuola può molto sullo sguardo diverso nei confronti delle ragazze che poi diventeranno donne libere nel mondo. Le insegnanti e gli insegnati possono stimolare uno sguardo di genere che vuol dire uno sguardo paritario, di rispetto reciproco. La scuola poi, stando proprio al post citato, può spronare le e i giovani a vedere come inutile e assolutamente non gratificante all’interno del gruppo, così importante in adolescenza, lo sballo, l’uso di sostanze, alcool compreso, e rafforzare l’importanza di non mettersi mai al volante in condizioni anche minimamente pericolose. Dall’altro lato di non usare la sfida al pericolo come una roulette russa perché, come tale può uccidere. Questo è, in ritardo, l’augurio per la scuola, per questo nuovo decennio, per chi ci lavora e studia, per quella scuola a cui i Governi troppo spesso hanno dato un’importanza davvero secondaria, per volontà di riforma e per finanziamenti!
Continua, per la seconda settimana, la serie tratta dalle storie preparate per Le Mille. Iniziata con la vita di Eva Mameli, la prima donna ad ottenere la cattedra di Botanica, prosegue oggi ancora con una donna di scienza, una matematica, Maria Gaetana Agnesi, vissuta nel XVIII secolo, milanese di nascita e con un primato anche lei: quello di aver pubblicato il primo manuale di matematica. Due storie di scienziate che negano sonoramente tesi come quelle di Giovanni Keplero o, più recentemente, in epoca fascista, di Nicola Pende (uno dei dieci scienziati firmatari del manifesto della razza!) e di altri ancora a noi, incredibile, contemporanei. Qui si afferma con vigore ciò che loro, sopracitati, hanno negato e negano: la possibilità delle donne alla comprensione e all’ accesso alle scienze, alla scienza dei numeri, alla fisica, come alla chimica e all’ingegneria. Sul perché vi rimando alla lettura dell’articolo che qui narra di questa illustre matematica colta e intelligente, soprannominata oracolo delle sette lingue, perché tante ne comprendeva, e votata, nell’ultima parte della sua vita, alla carità.
Comincia invece oggi una nuova serie di racconti al femminile. Parallelamente alle Mille racconteremo le storie semplici, tuttavia non meno interessanti, di donne che vengono da lontano, eppure che finiscono per appartenerci, perché vivono con noi o affianco a noi.
Si intitolerà Siamo qui per la forza e la volontà di ciascuna di loro a ricostruirsi qui la loro vita, sapendo rimettersi in gioco, riuscendo a inventarsi di nuovo la vita e ritornando a ridare realtà alle abilità acquisite nella terra di origine arricchite dell’esperienza presente, delle opportunità trovate.
Avrà per ora cadenza mensile, ma pensiamo di “accorciare” l’appuntamento a frequenza quindicennale man mano che troveremo racconti di vita interessanti e vivaci da presentarvi. Sono storie che vengono da lontano, ma che, come detto sopra, ci appartengono perché queste donne non solo stanno vivendo accanto ai noi, hanno curato o curano tutt’ora la nostra casa, i nostri genitori, le nostre figlie e i nostri figli, ma spesso aiutano a superare le difficoltà economiche della nostra Italia. Perché le donne non nate nel nostro paese sono molto attive nella creazione e delle conduzione di imprese economiche oltre a essere il 54 per cento della presenza migrante sul nostro territorio.
Saranno storie di donne non nate in Italia, ma anche di ragazze figlie di genitori (anche solo uno dei due) stranieri e nate o venute in Italia da piccole, in età utile per iniziare qui le scuole. Sono le cosiddette appartenenti alla 2G (che vengono anche chiamate G2). Sono le seconde generazioni, quelle di cui si parla per la concessione dello ius soli moderato, che si avvale appunto dello ius culturae. Perché queste ragazze (e ragazzi) che sono nate qui o sono venute qui da piccolissime, comunque hanno studiato, imparato a scrivere e far di conto insieme, nella stessa classe, nella stessa scuola dove noi mandiamo a studiare le nostre figlie e i nostri figli e con loro hanno ascoltato le stesse e gli stessi insegnanti e si sono fatti interrogare studiando sugli stessi testi: dall’abecedario all’università.
Perché molte figlie e i figli dei genitori venuti da lontano, come molte figlie i figli di italiani immigrati, hanno studiato fino ai più alti gradi dell’istruzione, in molti si sono laureate e laureati dando onore a chi, lasciando la propria terra per bisogno economico, costrizione (il caso delle e dei richiedenti asilo o vittime delle guerre) o per i più svariati motivi, hanno sofferto, ma hanno anche sognato per le generazioni successive un mondo e una vita migliore.
Mentre l’Australia continua a bruciare, con i suoi alberi, con i suoi tanti esseri del mondo animale, sofferenti e in grave pericolo di estinzione.
Buona lettura a tutte e a tutti.
Editoriale di Giusi Sammartino
Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.