Quel giorno, Galileo…

Quel giorno, quando il Signore diede a Israele la vittoria sugli Amorrei, Giosuè pregò il Signore e gridò alla presenza di tutti gli Israeliti: “Sole, fermati su Gabaon! E tu, luna, sulla valle di Aialon! Il sole si fermò, la luna restò immobile, un popolo si vendicò dei suoi nemici” (Giosuè, 10, 12- 14).
È il 13 febbraio 1633. Nel freddo di Piazza Sant’Uffizio, una carrozza rimane in attesa che il suo passeggero scenda lentamente dal predellino. È cristiano, Galileo Galilei, e cattolico (come peraltro il nome di battesimo testimonia chiaramente), ma è anche uno scienziato. Due giorni dopo quella gelida mattina del 13 febbraio compirà sessantanove anni, cinquanta dei quali dedicati allo studio della matematica, della fisica e dell’astronomia. È stato convocato davanti all’Inquisizione per via delle sue idee apertamente eliocentriche, che mal si sposano con il passaggio biblico citato in apertura. Le accuse sono dunque quelle di diffusione dell’eresia e di tentativo di sovvertire la filosofia naturale aristotelica e le Sacre Scritture. Immaginiamo questo vecchio scienziato, sicuro delle sue idee, ma certamente non disposto a morire per esse, conoscitore profondo del cielo, ma anche delle oscurità e degli strumenti meccanici presenti nelle celle delle torture, salire lentamente i gradini del palazzo della Santa Romana Inquisizione, col cuore in tumulto e nella testa decine di argomentazioni scientifiche, prove, evidenze astronomiche ricavate dal calcolo e dall’osservazione. È uno dei tanti che ci devono salire, su quei gradini (centinaia di migliaia tra uomini e donne, stando alle cronache ufficiali), che non sono più neppure quelli delle origini, perché il primo edificio sorto a Roma con questa finalità inquisitoriale, costruito da papa Paolo IV in via Ripetta, era stato così odiato dai romani, che alla sua morte, nel 1559, era stato devastato e dato alle fiamme. Da quegli anni, di acqua sotto i ponti ne era passata parecchia e, ingenuamente, Galileo aveva pensato che, con l’elezione nel 1623 di papa Urbano VIII, al secolo Cardinale Barberini, suo amico ed estimatore, i tempi fossero maturi e propizi per promulgare le sue idee e convinzioni scientifiche. Così, il 21 febbraio 1632 aveva pubblicato a Firenze il Dialogo di Galileo Galilei Linceo, dove nei congressi di quattro giornate, si discorre sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano. Si tratta di un finto dibattito scientifico e filosofico, in cui i due protagonisti (l’uno sostenitore della teoria aristotelica, l’altro della copernicana) argomentano con convinzione le proprie opposte posizioni. Il dialogo risulta accessibile nello stile e nella lingua ad un’ampia fetta di popolazione mediamente colta dell’epoca, e benché l’aristotelico Simplicio venga dichiarato vincitore della disputa, a chi legge risulta chiarissima la serietà e solidità degli argomenti portati dal copernicano, anche perché quest’ultimo parla in italiano, mentre Simplicio – in questo caso il nome è significativo – si esprime in latino.
Negli anni della Riforma, in cui la Chiesa irrigidisce le propria dottrina e i propri dogmi, pretendere di non subire alcun tipo di conseguenza è davvero un po’ troppo, persino per un amico del Papa. Il Tribunale dell’Inquisizione fa dunque la sua parte, processando lo scienziato esattamente 33 anni dopo la condanna al rogo di Giordano Bruno, altro dotto studioso giudicato eretico. Galileo ne conosce bene la storia, sa che il 17 febbraio del 1600 – un mese sfortunato per i processi ai liberi pensatori, a quanto pare – il filosofo teorizzatore dell’Universo Infinito era stato condotto in piazza Campo de’ Fiori, denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri furono gettate nel Tevere, le stesse acque che forse anche lo scienziato toscano aveva guardato dal finestrino della carrozza, mentre giungeva in Piazza Sant’Uffizio. Sa anche che Giordano Bruno era stato sottoposto a torture e, nell’ascoltare la sentenza, aveva pronunciato queste poche parole: «Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam» (Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla).
Galileo non è un eroe né vuole essere un martire. Sa perfettamente di avere dalla sua delle prove molto solide e delle evidenze scientifiche praticamente inconfutabili, ma sa anche che la Chiesa ha bisogno di affermare sé stessa contro ogni teoria che possa minarne l’autorità.

Chi-era-Galileo-Galilei

Il processo si svolge dunque tutto attorno alle due posizioni dell’accusa e della difesa: la prima arroccata sulla Verità delle Scritture, la seconda abituata ad argomentare, a dimostrare, a ragionare per ipotesi ed evidenze. In Vita di Galileo, Bertolt Brecht fa dire allo scienziato che, mentre Copernico aveva potuto solo calcolare, lui ha osservato col cannocchiale, quindi è ben più certo di ciò che ha scoperto, perché lo ha visto coi suoi occhi. È la terra che si muove attorno al sole e non il contrario. L’Inquisitore, per nulla impressionato, gli fa notare che guardare dentro un tubo di metallo non dà allo scienziato maggiore dignità né certezze di quante ne abbia un semplice matematico che fa calcoli sui suoi fogli, dentro una stanza. Quando si dice che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Del resto, lo abbiamo detto, siamo negli anni della Riforma: la Chiesa di Roma, attaccata da più parti, pressata dalla necessità di fornire certezze, è costretta ad irrigidire ulteriormente la sua posizione sulle Scritture, ad interpretarle sempre più alla lettera.
Galileo abiurò, dunque, senza dover passare dalle celle delle torture, di cui gli era bastato sentire parlare. Ma la strada al libero pensiero era ormai aperta ed il suo principio di inerzia, ripreso da Descartes, diventò la prima legge della meccanica di Newton nel 1687. Tuttavia, come sempre, le Istituzioni secolari hanno i loro tempi per riconoscere errori e distorsioni. Fu infatti solo nel 1983, con papa Giovanni Paolo II, che si pose finalmente fine alla disputa fra Galileo e la Chiesa. Per canto suo, lo scienziato toscano trascorse gli ultimi otto anni della sua vita agli arresti domiciliari, nella casa vicino a Firenze. La tradizione descrive il vecchio astronomo intento a camminare verso il cortile di casa, sospirando un “eppur si muove” riferito alla terra, pieno di una amarezza insufficiente a scalfirne le convinzioni. In effetti Galileo fu eclettico e a suo modo sovversivo fino alla fine: mentre il suo corpo fu sepolto nella Cattedrale di Santa Croce, per volere di alcuni suoi discepoli, un suo dito medio venne conservato ed è oggi esposto al Museo Galileo di Firenze. A volte, in fondo, il mondo non ha bisogno di eroi. Certe volte è sufficiente moltiplicare le voci, sostenere insieme e con forza una causa (sia essa scientifica, etica o semplicemente umana), per far sì che il mondo intero diventi migliore. Oggi gli alunni e le alunne di tutti i licei d’Italia leggono parti del Dialogo attorno ai due massimi sistemi di Galileo. E, grazie alle mille battaglie condotte nei secoli da uomini e donne di tutte le estrazioni sociali e in ogni parte del Paese per difendere il libero pensiero, gli/le studenti possono ora anche permettersi di farsi due risate di fronte agli strafalcioni astronomici del sommo Aristotele. Senza rischiare la pelle nelle segrete del Palazzo della Congregazione per la dottrina della fede. 

 

 

Articolo di Chiara Baldini

BALDINI-PRIMO PIANO.jpgClasse 1978. Laureata in filosofia, specializzata in psicopedagogia, insegnante di sostegno. Consulente filosofica, da venti anni mi occupo di educazione.

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