Carissime lettrici e carissimi lettori,
a una manciata di ore dall’apertura delle aule scolastiche era doveroso augurare a tutti e tutte coloro che ne sono protagoniste e protagonisti (ragazze e ragazze, insegnanti e loro collaboratori e collaboratrici, presidi, che preferisco chiamare ancora così, tutto il personale non docente nonché tutte le madri e i padri) un ottimo inizio d’anno.
Ma oggi occorre addirittura centuplicare l’auspicio di partire con il famoso piede giusto perché l’anno scolastico che sta per prendere l’avvio non è come gli altri passati, per i quali comunque era doveroso un approccio augurale.
Alle difficoltà che si presentano abitualmente ad ogni incipit, come la mancanza di insegnanti di ruolo e i relativi balletti di supplenze, l’edilizia scolastica in frantumi e altro ancora si aggiunge un unico problema, essenziale, scomodo, che ne implica altri a cifra indeterminata. Porta il nome e la gravità del virus della nostra ultima primavera: Covid-19 o Coronavirus.
Il fatto è che tra negazionisti e allarmisti c’è la via di mezzo (ci aiuta oggi la tradizione linguistica dei detti popolari!) dell’affermazione che il Covid-19, più o meno indebolito secondo le sopra citate opinioni, esiste e la Scuola, e in prima istanza il Governo, devono fare in modo che il virus causi il minor danno possibile e che, soprattutto, non si ritorni al lockdown con una didattica a distanza che, prima di tutto (e non è un problema di poco conto) non può essere presente ovunque e in modo capillare su tutto il territorio del Paese, perché non ci sono le condizioni tecniche. In più non tutti i ragazzi e le ragazze sarebbero giornalmente in grado di collegarsi da casa. É impensabile immaginare che ciascuna e ciascuno di loro abbia sicuramente un computer a disposizione per l’intero orario delle lezioni. Ogni famiglia ha mediamente più di un figlio o una figlia in età scolare e, spesso, l’oggetto, dove esiste (perché non sempre è presente nelle case, infatti lo Stato è dovuto intervenire durante il periodo del lockdown) deve essere condiviso con almeno uno dei genitori, quasi sempre con la madre, che lavora in smart working o, come si dice, da remoto, e questo ha fatto incrinare la popolarità del metodo della cosiddetta DAD, seppure per molti versi giustamente elogiata.
Ma come partirà la scuola? Banchi singoli e con le rotelle (ma sono arrivati?), impossibilità di scambiarsi i libri e oggetti, mascherina sempre, almeno per i più grandi, massima allerta a ricreazione e grande interrogativo sull’uso dei bagni perché di questo aspetto, così corporale e, aggiungerei, promiscuo, non certo rispetto al sesso ma al numero di persone che ne faranno uso, si è parlato davvero poco.
Soprattutto però saranno compromessi, in nome della sicurezza sanitaria, lo svolgimento delle lezioni e l’attività didattica in senso lato. Le insegnanti e gli insegnanti, dopo essersi letteralmente inventati/e il modo di fare lezione a distanza e avere escogitato soluzioni dal nulla, perché nessuno aveva impartito loro, come si è qui ricordato, un corso per l’emergenza con tanto di prove ed esercitazioni, come succede usualmente per i terremoti e gli incendi, si trovano di nuovo spiazzati. Ora, di nuovo in classe, si dovranno tenere le distanze, quelle di sicurezza e non quelle dettate dal rispetto che purtroppo negli ultimi anni a volte è mancato da parte di qualche alunno/a e soprattutto di alcuni irascibili (ma è un eufemismo) genitori pronti anche con le mani a difendere la propria/o figlia/o redarguito/a. Da lunedì chi tra gli/le insegnanti era abituato/a a girare per la classe, stare tra i banchi e guidare i propri alunni e alunne non lo potrà farlo più, come non potrà più creare piccoli gruppi di lavoro o, peggio ancora, non potrà progettare visite esterne, approfondimenti di gruppo sul territorio. Dovranno invece entrare in classe, soprattutto i e le più fragili fisicamente, con visiera e mascherina, bardati/e quasi come in assetto di guerra, tenendosi lontani/e dai e dalle proprie alunne e rimettendo in campo quel linguaggio bellico che si era cominciato ad usare all’arrivo di questo virus, un modo linguistico estremamente inadatto e lontano dai principi dell’educazione e dell’istruzione, veri protagonisti della scuola.
La spontaneità e la creatività, tipiche della professione dell’insegnante, è ciò che mancherà di più ai e alle docenti, ora che sta prendendo avvio questo strano nuovo anno scolastico, tutto in fondo ancora da progettare perché condizionato dall’andamento del virus e dei contagi, già purtroppo presenti nelle regioni dove la scuola è iniziata. C’è da dire, però, che questi primi episodi sono stati ben arginati, grazie alla formazione di classi con piccoli gruppi e ad un’immediata reazione della scuola. Per questo resta difficile questa partenza, perché la scuola più di ogni altro anno soffre la mancanza di docenti e di strutture logistiche maggiori che permettano la formazione di classi meno numerose. Il tempo ci dirà e noi con voi non finiremo di credere in una scuola attiva e costruttiva!
Di scuola si parla, infondo, anche in un libro presentato in questi giorni: Il coraggio delle cicatrici. Storia di mio figlio Arturo e della nostra lotta (Utet) scritto a quattro mani dalla professoressa Maria Luisa Iavarone e dal giornalista Nello Trocchia. Maria Luisa Iavarone, docente di Pedagogia sperimentale all’università Partenope di Napoli, ha voluto raccontare la storia di suo figlio Arturo, lo ricorderete, il ragazzino diciassettenne accoltellato a Foria (un quartiere di Napoli) in una sera di dicembre di tre anni fa da una cosiddetta baby-gang (l’età dei componenti era tra gli 8 e i 17 anni, le coltellate furono ben 20!). Iavarone ha parlato di un triplice dolore da lei provato: «Il dolore di una madre, di una professionista e di una cittadina. Arturo quella sera – precisa ricordando i settanta secondi della mattanza mai testimoniati da nessuno dei presenti – non era solo un ragazzo ferito, ma anche il simbolo di una città ferita in un sistema di relazioni». Sono le relazioni che anche la scuola deve provare a tessere, soprattutto dove la famiglia latita e non trova capacità di capire, come è stato per la madre che la Professoressa Iavarone ha tentato di contattare offrendo un supporto, non facendosi vittima, ma attrice coinvolta, anche professionalmente come pedagoga, in quello che le è accaduto. La madre di Arturo parla di dispersione scolastica relazionandola anche con lo spazio vuoto lasciato dall’arrivo del Coronavirus: «Oggi noi dovremmo provare a disarticolare il linguaggio, la comunicazione, la relazione. Oggi più che mai questi ragazzi abbandonati a sé stessi, che con il Covid non hanno frequentato la scuola per oltre sette mesi, saranno quelli che faremo ulteriormente fatica ad intercettare. La dispersione scolastica è sempre un terreno di coltura di marginalità sociale». Per questo la professoressa Iavarone ha fondato A.R.T.U.R (adulti responsabili per un territorio unito contro il rischio) «che fa il focus sulla responsabilità degli adulti. Se un minore devia la responsabilità non è solo sua, ma anche di tutti quegli adulti che avrebbero dovuto fare da argine e non sono riusciti ad impedire che lui sbagliasse».
C’è un altro ragazzo in questa storia raccontata nel libro di Iavarone- Trocchia, è Vito: «Un ragazzo meraviglioso – racconta la professoressa – che io chiamo e lo somiglio a un cammeo. Aveva subìto poco prima la stessa provocazione di Arturo e, dopo una notte insonne, parla con la mamma e decide di andare in questura a testimoniare, l’unico».
«Lo Stato e gli enti di formazione dimenticano o non vedono questi ragazzi» aggiunge Trocchia commentando il libro e la mente va ai fatti più recenti, a Willy Monteiro Duarte, il ragazzo di origine capoverdiana di appena ventuno anni, morto ammazzato di botte su una strada, a non molti chilometri dalla Capitale del Paese, che accoglie anche la sede del Governo. Anche Willy, che voleva sedare una lite, è stato aggredito e ucciso da coetanei, come lo erano gli aggressori di Arturo, che per fortuna è vivo. Ma lasciamo che la Giustizia faccia il suo corso.
«Dobbiamo ripristinare la normalità – dice con forza il giornalista Nello Trocchia – che ha linguisticamente in sé il significato di norma, di regola accettata dalla comunità. Bisogna abbandonare l’anormalità prima che diventi abitudine». Questo è uno dei compiti della scuola che, tra gli altri problemi, sta finalmente affrontando, come mai prima, anche il triste fenomeno del bullismo, spesso nato in classe, tra quei banchi che ora accoglieranno di nuovo ragazzi e ragazze nel loro percorso formativo.
Lascio a voi la ricerca e la lettura degli articoli contenuti in questo numero di colore blu, casualmente (e necessariamente, per dirla con Monod) coincidente con il suo supplemento per la scuola (Vitamineperleggere), per l’avvio che celebra, delicato e complesso, in bilico su sé stesso, sul dubbio di iniziare o aspettare ancora.
Da notare, tra i cinque articoli della rivista di oggi, l’inizio di una bella serie intitolata Corpi. Il corpo guardato, nascosto, abusato, desiderato, oggetto di piacere per l’altro (al maschile), ma visto anche dagli occhi del maschio, sul proprio corpo. Troppo spesso il corpo nel tempo è stato condannato, complici ideologie e pensieri religiosi e filosofici. Quel corpo che, mal guardato e mal interpretato, scatena irragionevolmente liti e provoca persino la morte (come sembra sia successo nel caso della morte di Willy Monteiro Duarte). Eccessivamente esposto o voluto, nascosto, ma anche ritrovato, riscattato e fonte, finalmente, di piacere e gioia. Sarà un viaggio nella storia, su come il corpo è stato interpretato, sui silenzi e sulle grida che lo hanno oppresso o portato alla ribalta per una possibile rivincita, spesso sacrificato quando invece dovremmo considerarlo il grande soggetto che ci appartiene in esclusiva, completamente nostro, che la natura ci ha donato per entrare nell’universo.
Soffermiamoci alla fine per dare gli auguri a una dolce signora, la senatrice Liliana Segre che qualche giorno fa ha computo 90 anni! Auguri a lei, alla ragazzina che non è potuta essere, sacrificata all’inutile banalità del male che lei splendidamente ha tramutato in voglia di amore. Insegni a noi la sua lezione senatrice Segre! Faccia comprendere a tutti i nostri figli e figlie quanto sia preziosa la vita e quanto sia inutile odiare.
Editoriale di Giusi Sammartino
Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.