Le storie come quelle di Agitu Ideo Gudeta si dovrebbero conoscere sin dall’inizio e non alla fine, ma si debbono, soprattutto, ricordare prima che l’emozione del momento ceda il passo alla dimenticanza. L’omicidio di questa donna, il 29 dicembre scorso, mi ha addolorato, come trafitta. Per questa ragione ho sentito il bisogno di mettermi sulle sue tracce per poterla raccontare. La scrittura deve essere anche questo: custodia della memoria, riparazione di un torto, tessitura di vite da raccontare.
A volte, guardando la televisione, mi chiedo se la società in cui viviamo è davvero così brutta, cinica e volgare; se il passare dei giorni può solo essere guardare un tutorial per imparare a fare ogni cosa: dal cucinare al truccarsi, da come vestirsi a come diventare un/una influencer! O se i programmi pomeridiani ci debbano, per forza, raccontare la più orrenda cronaca nera, i sentimenti più intimi, rasentando quasi la prostituzione dell’interiorità, o frivolezze per anestetizzare i momenti bui come quelli che stiamo attraversando.
Abbiamo, veramente, bisogno di una perenne distrazione o di qualcuno che ci racconti la speranza? La gioia? Il sacrificio? La rinuncia? La sofferenza? Quale impatto ha tutto questo nel nostro cuore, nella nostra anima, nel modo di sentire l’altro/a?
Quella della pastora Agitu Ideo, ad esempio, non era una speranza fondata sull’astrazione quanto piuttosto sulla volontà di chi, nonostante tutto, decide che sì… vale la pena di viverla questa vita restando fedele al senso della terra.
Qualcuno/a si domanderà: qual è?
Ho tentato di capirlo guardando molte delle interviste di Agitu facilmente reperibili su Internet, osservando i dettagli delle foto con le sue capre felici. Ne ho tratto delle parole che, ruotando attorno al senso della terra, mi serviranno per dire qualcosa di lei.
Donna: «davanti a me vedo una donna con un bagaglio di esperienze e che ha ancora voglia di realizzare i suoi ideali. Sono una donna che ha sofferto, amato e che vuole vivere».
A cosa si riferisce? Agitu era andata via dall’Etiopia all’età di diciotto anni per venire a studiare in Italia Sociologia, facoltà nella quale si era laureata con una tesi che riguardava il fenomeno del land grabbing ossia la sottrazione delle terre ai contadini locali per cederle alle grandi multinazionali estere.
In Etiopia, infatti, la terra non è di chi la coltiva ma dello Stato che la affitta a 1 euro all’ettaro agli stranieri. I contadini sono costretti a lavorare per 85 centesimi l’ora e, se si rifiutano, i militari possono fucilarli. Agitu scappa per rifugiarsi in Italia nel 2010 non portando nulla con sé, ricordandosi solo di qualche amico/a nel nostro Paese, poiché è stato spiccato contro di lei un ordine di arresto con l’accusa di atti terroristici. Quali sarebbero? L’aver partecipato alle proteste pacifiche contro la spoliazione dei campi della sua Nazione.
Terra: «La Capra felice nasce come un progetto per il recupero delle terre abbandonate e delle razze rustiche locali in via d’estinzione. Bisogna conservare, al meglio, per le generazioni future il territorio perché tutti hanno il diritto di usufruire di questo bene. Il formaggio che produco è a km zero e lo vendo solo in Trentino: non volevo che fosse un business. Nel suo sapore voglio trasmettere la passione e l’amore per la natura, gli animali e i consumatori. Le minacce razziste? Vado avanti, magari si tratta d’invidia da parte di chi ha lasciato la terra.»
Le capre di Agitu sono ottanta, ciascuna con un nome che lei ricordava perché rappresentavano un valore e non semplicemente un animale da sfruttare per il latte o per trarne guadagno. Le capre di Agitu sono felici perché nessuna di loro è destinata alla macellazione, perché libere di mangiare nei pascoli, perché lei le accudiva con rispetto e tenerezza.
Mi auguro che saranno felici a lungo… che qualcuno/a continui questo progetto di amore e cura.
Lei diceva di aver scelto le capre in virtù della loro simpatia, per la loro capacità di adattamento, per il loro accontentarsi del cibo che trovano. Li definiva animali che chiedono poco.
Contemplazione: «Portare le capre al pascolo non è lavorare, è contemplare. Stai in armonia con quello che fai, armonia con la natura e con il tutto. Il tramonto con loro è un’esperienza che mi fa stare bene. Durante le ore passate con loro ascolto la musica, leggo un libro, medito vedendole mangiare. Così mi sento connessa».
Scrive Papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’: «Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza quest’apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati».
La storia di Agitu è la piena realizzazione di uno stile di vita che ha creato e trovato l’armonia, non in un luogo astratto della mente, ma attraverso l’integrazione della fatica e della sofferenza nella realtà concreta. Il suo meditare nei gesti del quotidiano, di cui parla Chandra Livia Candiani, nel suo magnifico Il silenzio è cosa viva, quando dice di «entrare in intimità con il sentire stesso, con il flusso vitale da non lasciare spazio nemmeno all’io».
Nelle sue parole non ho trovato mai astio, rabbia, commiserazione. Non ho rintracciato alcuna notizia dei suoi familiari, della nostalgia che chiude, di rimpianto. Agitu sarà per sempre la giovane pastora dal riso argentino, dalla voce dolce, ritratta felice accanto alle sue capre.
Possa il suo messaggio aprire varchi inediti, tracciare rotte audaci, mettere radici nei nostri deboli e incerti sogni così da trasformarli in speranzose quotidianità: «non tutte le persone che vengono in Italia vengono per togliere ma le culture che si mescolano possono diventare arricchimento. Chi la dura la vince!»
Cara Agitu, tu hai vinto! La tua non è la vittoria dei forti che con superbia e arroganza s’impongono al prossimo, la tua è la vittoria che nasce dalle crepe, dalla fragilità, cioè dall’umano, e ne hai fatto un trionfo mite, solidale e compassionevole. Possa questo tuo soffio rimanere con noi.
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Articolo di Giovanna Nastasi

Giovanna Nastasi è nata a Carlentini, vive a Catania. Si è laureata in Pedagogia e Storia contemporanea e insegna Lettere negli istituti secondari di II grado. La sua passione è la scrittura. Ha pubblicato un romanzo, Le stanze del piacere (Algra editore).