L’incontro con Elsa Morante è stato un caso del destino?
Un giorno, all’Università degli Studi di Milano, uno studente che si voleva liberare dei testi studiati per un esame mi ha proposto di acquistare Pro e contro la bomba atomica. In quel particolare momento della mia vita non avevo ancora deciso l’argomento della mia tesi ma avevo l’idea, ancora nebulosa, di laurearmi in critica letteraria. Ebbene, da quel giorno e da quell’acquisto di seconda mano la mia vita è cambiata, sono entrata nel mondo incantato e terribile di Elsa Morante, della sua scrittura meravigliosa e della sua lingua incantatrice. Ho deciso che avrei fatto una tesi su di lei, ho cambiato piano di studi e ho chiesto la tesi in Linguistica italiana al docente con cui avevo sostenuto due esami superati con il massimo dei voti, contrattando in modo da poter lavorare su Elsa. Non mi interessava da quale punto di vista avrei affrontato la sua opera, l’importante era poterci lavorare sopra. Per due anni, quindi, ho vissuto scrivendo il saggio che vi consegno e che, a un certo punto, il mio relatore Andrea Masini mi ha ordinato di finire, anche se in realtà avrei voluto continuare per tutta la vita. Un po’ come se mi trovassi nella “camera” de Les enfants terribles. Con Elsa posso dire di essere diventata quella che sono oggi. Anche se ormai è passato molto tempo dalla compilazione della tesi, gli autori, le autrici, la musica e i luoghi che ho conosciuto attraverso l’analisi della sua opera sono ancora parte del mio immaginario e del mio mondo. Grazie ad Elsa, quindi, per avermi fatto conoscere Simone Weil, Beato Angelico, Sandro Penna, Mozart, Procida, Roma, l’Andalusia ecc.
La scelta della specializzazione non era, però, del tutto casuale. Ho sempre amato le parole. Mi hanno sempre affascinato sia dal punto di vista fonetico e morfologico che da quello etimologico e pragmatico. Ho pensato che scegliendo Aracoeli, l’ultimo romanzo della scrittrice, avrei avuto modo, a ritroso, di ricostruire la sua lingua, il suo idioletto, dalle parole al pensiero. E avrei avuto l’occasione di leggere tutta la sua opera, più e più volte, alla ricerca dell’evoluzione del significato, nel contesto, delle parole che si ripresentavano nell’opera romanzesca, da Menzogna e sortilegio a L’isola di Arturo, da La Storia a, ovviamente, Aracoeli.
Aracoeli, inoltre, era il romanzo apparentemente meno studiato e meno amato. Ma per me era attualissimo e di un’attualità personale quasi incandescente. L’ultimo romanzo, infatti, narra la quête di Emanuele, il protagonista, che da Milano va ad Almendral, alla ricerca della madre, nella doppia direzione del passato e dello spazio. E quest’ultima «sballata terapia per guarire da lei» lo porterà ad una sassaia deserta in cui lo spirito materno gli rivelerà l’inconoscibilità e l’incomprensibilità della vita. La ricerca di Emanuele era anche la mia. All’inizio dell’università, infatti, avevo iniziato anch’io un viaggio nel tempo e nello spazio alla ricerca di comprendere più profondamente il mio rapporto difficile e profondo con mia madre. La mia difficoltà ad affrontare la femminilità. E le parole di Elsa risuonavano in me rivelatrici: «Nessuno può sfuggire alla condanna della nascita: che in un tempo solo ti strappa dall’utero e ti incolla alla tetta […] Ma tu, mamita, aiutami. Come fanno le gatte coi loro piccoli nati male, tu rimangiami. Accogli la tua profondità nella tua voragine pietosa».
Come scrive Giovanna Rosa, la mia correlatrice di tesi, nel suo magnifico testo, Cattedrali di carta, «per la prima volta la scrittura accusa la contraddizione immedicabile inscritta nella natura femminile: quanto più la donna aspira a inverarsi nella maternità, sacralizzata dall’istituto matrimoniale, tanto più il corpo procreativo patisce gli assalti di un eros seduttore che distrugge ogni legame e altera il senso dell’io». Aracoeli come prima Elisa e Anna in Menzogna e sortilegio, Nunziatella ne L’isola di Arturo, Ida ne La Storia, hanno rappresentato quell’universo femminile che mi ha aiutato a capire chi ero e a chi avrei voluto, o non voluto, assomigliare.
Ho deciso di intitolare questo articolo rifacendomi al titolo di un saggio, a cura di Ada Neiger, che avevo letto durante la stesura della tesi, Maternità trasgressiva e letteratura. La letteratura in generale e le eroine di Elsa Morante mi hanno aiutato a sfatare il mito della maternità/femminilità che ancora durante la mia giovinezza aleggiava intorno a me. Il tema della maternità disturbata e della metamorfosi, la duplicità senza soluzione, il superamento della «madre oblativa [che] si piega al suo destino biologico […] e si annulla come persona per assumere il ruolo di genitore» mi hanno permesso di uscire da quella «mistica della maternità» e di entrare, in qualche modo, nel «mito della Grande Madre ovvero della Triplice Dea: la Vergine, la Madre Amorosa e la Madre terrificante».
Nell’ultimo romanzo, che l’autrice stessa definisce, attraverso le parole del protagonista, una «favola mammarola […] stantia, ovvio reperto da seduta psicanalitica, o tema da canzonetta edificante», infatti, troviamo la rivelazione dell’inconciliabilità fra istinto del piacere e maternità, il fallimento della coppia androgina di madre-figlio, il tema della patologia e della metamorfosi, la riflessione sulla morte e il senso della vita, l’inversione della tendenza morantiana alla trasfigurazione nel confronto con la modernità e la sua bruttezza che conducono all’espressionismo.
E per esprimere tutto questo, Elsa, ne «il [suo] povero ultimo, romanzo andaluso […] fabbrica d’ombre equivoche, per trastullo dei [suoi] giorni vani», propone un plurilinguismo che si esplicita su vari piani. Sul piano linguistico con la compresenza di termini culti, il romanesco, gli stranierismi e il bilinguismo italo-spagnolo («forastico» e «falotico», «povera marchetta digiuna», «ignaro pischelletto»,«trip», «niñomadrero», «muchachito clandestino). Sul piano morfologico con la creazione dei composti estremamente suggestivi e semanticamente densi: «leggenda-madre»; l’uso di prefissati, suffissati e alterati che rispondono alla ricerca di voci espressive e connotate: «scancellare»,«stradaiolo», «compagnuccio», «riccetto». Con l’inserimento di citazioni che vanno dal Vecchio Testamento al Don Giovanni, da Arthur Rimbaud a Simone Weil. Con la ricca e articolata aggettivazione, cifra stilistica morantiana: l’ossimoro («candore vizioso»), la sinestesia («lo sporco odore»), la personificazione («un velo di tepore ingenuo sulle mie palpebre invecchiate»); un’aggettivazione rivelatrice della duplicità senza soluzione («io ne subivo una fascinazione sacrale, eppure laida», «secondo l’immagine che le avevo dato io nella mia visione: ossia gigantesca, magica, di bruttezza orrida e meravigliosa», «certi suoni strani e desertici della sua voce sfigurata»), che arriva a straordinarie iuncturae callidae («una stravagante pietà di lui – repulsiva, sciagurata e tragica») e a cortocircuiti semantici («l’oscuro suo corpo di carne, quale una caverna di stupendi misteri e di tenebre cruente»). Con le similitudini che vanno a pescare nel campo semantico degli animali, del brutto e del patologico («E nelle sue pupille dilatate ardeva una linea scintillante, verticale, quale nell’occhio di certe creature subumane quando esplorano il buio», «Questo ammasso di carne matura, che oggi mi ricopre dall’esterno, dev’essere una formazione aberrante, concresciuta per maleficio sopra al mio corpo reale»).
E questa ricerca, che spero possa stimolarvi alla lettura dell’opera morantiana, mi ha portato al lavoro che faccio oggi. L’incontro con Elsa Morante non è, probabilmente, stato un caso del destino ma la risposta ad una domanda. E il sogno più grande sarebbe poter insegnare l’italiano partendo dai testi di Elsa.
La tesi integrale al link: https://toponomasticafemminile.com/sito/images/eventi/tesivaganti/pdf/99_Bertucci.pdf
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Articolo di Sara Bertucci

Docente di italiano L2, si è laureata in Filologia moderna all’Università degli Studi di Milano nel 2004, con una tesi in Linguistica Italiana sulla lingua dei romanzi di Elsa Morante.
Collabora con l’Università Ca’ Foscari di Venezia e l’Università per Stranieri di Siena. Lavora, ormai da molti anni, per una scuola privata di italiano L2 a Milano.