Le putte di Vivaldi, stelle del Settecento musicale veneziano

Mentre nel Seicento sono i conventi a fornire alle donne un’istruzione musicale, a Venezia nel XVIII secolo i conservatori, nati ai tempi delle Crociate come ostelli per i/le pellegrini/e, si trasformano in orfanotrofi e istituti di accoglienza per dare un tetto e un mestiere ad un gran numero di ragazze povere, orfane oppure “esposte”, cioè abbandonate dai genitori. È un periodo in cui dilaga la prostituzione e la prole illegittima e le/i neonate/i indesiderate/i vengono lasciati davanti alle porte degli ospedali. Qui le bambine accolte ricevono un’istruzione religiosa e imparano a leggere, scrivere, cucire e svolgere i lavori domestici, ma soprattutto apprendono l’arte della musica e del canto. Col tempo diventano veri e propri centri di educazione musicale, scuole di alto livello e di notevole prestigio che hanno lo scopo, appunto, di conservare la musica, tramandandola. Nella città lagunare le “putte”, che in dialetto locale vuol dire “ragazze”, poi chiamate anche “figlie del Coro”, sono le trovatelle che vengono ricoverate in questi ospedali-conservatori. A tutte loro, che indossano un abitino rosso come “divisa”, viene insegnata l’arte dei suoni fino ai sedici anni, poi solo le più talentuose, le “profitienti”, proseguono per cinque anni il percorso formativo fino a diventare soliste e in taluni casi virtuose.  

Ospedale della pietà: targa marmorea 

A Venezia sono quattro gli ospedali-conservatori: la Pietà, i Mendicanti, gli Incurabili e l’Ospedaletto. Il più affollato e prestigioso di tutti è Santa Maria della Pietà. Gli altri tre accolgono un centinaio di ricoverate, invece l’Ospedale della Pietà, che sorge sulla riva degli Schiavoni, di fronte all’isola di San Giorgio Maggiore, fondato nel 1346, non solo è il più affollato nel 1738 ospita un migliaio di ragazze   ma anche il più rinomato, perché dal 1703 al 1720 per diciassette anni vi insegna, come maestro di violino, Antonio Vivaldi, il “prete rosso”, che scrive proprio per le “putte” molte delle sue mirabili sonate e concerti come l’Estro armonico. La prima composizione che destina alla Pietà, conservata a Dresda e risalente al periodo fra il 1704 il 1709, è una “sonata per Oboe, Violino, Salmoè ed Organo” (RV779), composta per Pelegrina dall’Oboe, Prudenza dal Contralto, Candida dalla Viola e Lucietta Organista. Segue nel 1716 il monumentale oratorio Juditha triumphans, interamente interpretato dalle ragazze della Pietà, che eseguono non solo tutta la parte vocale ma anche quella strumentale, suonando strumenti particolarmente rari come la viola d’amore e il mandolino. Le “ospealere”, come vengono anche chiamate le ragazze, sono eccellenti cantanti e qualificatissime concertiste. Suonano due o più strumenti: violino, violoncello, organo, flauto, oboe, fagotto, e sono pure geniali compositrici: potrebbero essere addirittura loro le autrici di molte opere attribuite ad Antonio Vivaldi.  

Il Pio Ospedale della Pietà a Venezia, prima della costruzione, all’inizio del XIX secolo, della facciata della chiesa. 

La stessa Pietà fornisce alle giovani i libri e gli spartiti rilegati, probabilmente a copiarli provvede una delle ragazze del coro.  L’organico mediamente risulta formato da diciotto cantanti, dieci strumentiste per gli archi, due organiste e due soliste. Ma per le occasioni solenni, le putte formano un’orchestra di maggiori dimensioni. Per accedere al coro vige una rigida selezione, un numero chiuso. Le ragazze devono superare un’audizione di prova e sono ordinate gerarchicamente secondo le loro capacità. Sul gradino più alto le “maestre di coro”, in numero di venti, che insegnano alle allieve più giovani; seguono le “privilegiate di coro” e infine le semplici “figlie di coro”.

Due maestre di coro hanno la funzione di supervisore generali; le altre diciotto svolgono varie mansioni musicali e amministrative. 

Il vestito tradizionale delle putte 

Le putte, che vivono segregate senza nessun contatto umano ad eccezione degli insegnanti di musica, si esibiscono nelle chiese degli ospedali tutti i sabati, le domeniche e i giorni festivi per accompagnare le celebrazioni religiose dalle quattro circa del pomeriggio fino a poco dopo le sei all’interno di un coro formato da 40 elementi. Nella cantoria della Cappella o nei matronei nessuno le può vedere, separate come sono dietro una fitta grata, ma al di là dell’inferriata che le nasconde agli occhi del pubblico il suono dei loro strumenti e le loro angeliche voci toccano l’orecchio e il cuore di chi ascolta, nobili e gente comune, che chiedono di poter mandare le loro figlie a pagamento in questi ospizi per studiare la musica. La fama della loro bravura si diffonde in tutta Europa. Vengono a migliaia da ogni angolo del continente visitatori, turisti, musicofili, ai quali però non è consentito nemmeno applaudirle. Tra essi Goethe, che resta estasiato e arde dal desiderio di conoscere i loro visi, e Jean-Jacques Rousseau, che durante il suo soggiorno a Venezia scrive: «Una musica a mio giudizio superiore a quella delle opere, e che non ha pari né in Italia, né nel resto del mondo, è quella delle scuole. Le scuole sono delle opere di carità istituite per educare le giovinette prive di beni, a cui la repubblica fornisce la dote per il matrimonio o per la clausura. La musica è il primo tra i talenti che vengono coltivati in queste giovani. Tutte le domeniche nella chiesa di queste quattro scuole, durante i vespri, si danno mottetti a grande coro e grande orchestra, composti e diretti dai più grandi maestri d’Italia, eseguiti attraverso tribune grigliate da ragazze la più vecchia delle quali non ha vent’anni. Io non riesco a immaginare nulla di così voluttuoso, di così toccante come questa musica: la ricchezza dell’arte, il gusto squisito dei canti, la bellezza delle voci, la perfezione dell’esecuzione, tutto in questi concerti concorre a produrre un’impressione di cui sono certo che nessun cuore d’uomo sia al riparo». Dopo aver assistito a un sublime concerto, Rousseau riesce a farsi presentare alcune delle prestigiose esecutrici, ma rimane molto deluso quando vede che a voci tanto soavi non corrisponde la bellezza che si aspettava: «Quello che mi dava fastidio erano le grate che lasciavano passare i suoni ma impedivano la vista di quegli angeli di bellezza… Il Signor Le Blond, che sapeva il mio desiderio, mi presentò una dopo l’altra quelle cantanti celebri di cui non conoscevo che la voce e il nome. “Venite, Sofia…” era orribile. “Venite, Caterina”, era guercia. “Venite, Bettina”, il vaiolo l’aveva sfigurata. Quasi nessuna era priva di qualche grave difetto. Le Blond rideva crudelmente della mia sorpresa. Ero desolato. Ma la bruttezza non esclude la grazia, e loro ne avevano. Pensavo: non si può cantare così senz’anima: e loro ne hanno. Infine mi abituai talmente alla loro vista, che uscii di lì che ero innamorato di quasi tutte quelle bruttezze». 

Venezia, Palazzo Querini Stampalia, La cantata delle orfanelle per i duchi del nord, Gabriele Bella‎

Tra le testimonianze dei visitatori più illustri ricordiamo quanto scrive nel 1698 il gentiluomo russo Peter Andreevic Tolstoj: «Ci sono a Venezia conventi di donne, dove queste suonano l’organo e altri strumenti, e cantano così meravigliosamente che in nessun’altra parte del mondo si potrebbero trovare canti così dolci e armoniosi». Charles De Brosses, colto viaggiatore francese, racconta che gli appassionati si spostano da un istituto all’altro per non perdersi le “accademia” (i concerti) delle putte più dotate, senza tralasciare i conventi dove, tra le virtuose più brillanti, vi sono delle religiose. Lo stesso De Brosses in una lettera indirizzata a un amico annota: «Qui la musica senza confronti è quella degli Ospedali. Ve ne sono quattro, tutti popolati di fanciulle bastarde, oppure orfane, oltre a quelle che i genitori non sono in grado di mantenere. Sono allevate a spese dello stato ed esercitate unicamente ad eccellere nella musica. Perciò cantano come angeli e suonano il violino, il flauto, l’organo, l’oboe, il violoncello e il fagotto; insomma non c’è strumento, per quanto grosso, che riesca a intimidirle. Vivono in clausura come le monache. Soltanto loro partecipano alle esecuzioni ed ogni concerto può contare su di una quarantina di ragazze… E vi giuro che nulla uguaglia il piacere di vedere una monachella giovane e carina, vestita di bianco, con un mazzolino di fiori di melograno all’orecchio, dirigere l’orchestra e battere il tempo con tutta la grazia e la precisione immaginabili». Sembra poco probabile che l’abbia potuta intravedere al di là dell’inferriata, forse è solo frutto della sua immaginazione.   

Dietro la grata

Una volta raggiunta la maggiore età, le putte, fiore all’occhiello della Serenissima, o si sposano e lasciano per sempre la carriera musicale o restano vergini, illibate, e vivono per tutta la vita come monache di clausura all’interno dello “spitale” della Pietà insegnando alle più giovani. Quelle che restano sono trattate bene, ricevono un’alimentazione privilegiata, e se hanno bisogno di cure mediche o di riposo lasciano momentaneamente il convento per passare un periodo in campagna oppure vengono ospitate presso famiglie patrizie e trattate con ogni riguardo. Le più brave vengono anche pagate per le loro esibizioni. Chi sceglie in seguito di sposarsi mette da parte i soldi per la dote, altre che optano per la vita monastica e l’insegnamento della musica hanno comunque una riserva di denaro per le loro necessità. Essendo trovatelle, le putte non hanno cognome. Sappiamo però i loro nomi perché Vivaldi li ha meticolosamente annotati quando nelle partiture assegna a ognuna la sua parte. Così conosciamo Bernardina del violin, Caterina della viola, Lucrezia del violon, Mariarosa del violon, Adriana e Prudenza della tiorba, Tonina dell’organo e Fortunata cantora. Nel canto eccellono anche Polonia e Gertrude. E non mancano i nomi curiosi, come Apollonia, Albetta, Bolognesa, Chiaretta. 

Annamaria, la migliore allieva di Vivaldi, primo violino del coro, virtuosa del violino, sa suonare anche il clavicembalo, il violoncello, la viola d’amore, il flauto, il mandolino e la tiorba, dimostrando nel suo eclettismo strumentale un’abilità eccezionale che le fa meritare una fama internazionale e gli apprezzamenti di alte personalità straniere in visita a Venezia.  

Per Anna Maria 

Annamaria è maestra a sua volta di un’altra prestigiosa figlia di coro, Chiara del violin, che diviene poi maestra di coro, anche lei virtuosa del violino, una bambina a suo tempo abbandonata sulle scale della Pietà a soli due mesi. “Per la sig.ra Chiara” (così lui stesso annota) Vivaldi compone un grande concerto per violino e orchestra. Quando poi lascia definitivamente Venezia per Vienna, sempre per Chiara, ormai quarantenne, un altro quotato insegnante, Antonio Martinelli, scrive bellissimi concerti per viola d’amore. La donna muore nel 1791, a 73 anni. Da povera orfanella venne elevata a virtuosa strumentista, conosciuta in tutta Europa e rinomata come una rockstar di oggi. 

Tre delle tante trovatelle ammesse all’Ospedale della Pietà, dopo l’accurata educazione musicale ricevuta nel coro fin dalla prima infanzia, diventano brave compositrici: Michielina, Agata e Santa della Pietà.  

Michielina o Michieletta della Pietà (1700-1744 circa), prima organista e rinomata violinista nell’orchestra del conservatorio, dove insegna dal 1726, nel 1740 compone una litania per la Festa della Natività e nel 1741 una scenografia dell’inno Pange lingua.  

Agata della Pietà non può studiare nessuno strumento poiché nasce senza quattro dita della mano sinistra, ma si fa apprezzare come soprano solista, insegna canto e diventa direttrice della scuola. Ci restano due mottetti, un Aprili Novo in Fa e una versione, sempre in Fa, del Salmo 134 per la Compieta, ma di questa abbiamo solo la parte strumentale del basso. Per una sua allieva, una solista contralto di nome Gregoria, attiva tra il 1746 e il 1777, scrive un testo pedagogico, dal titolo Regali per Gregoria

Eccellente cantante è Santa, nota anche come Sanza o Samaritana della Pietà, vissuta tra la prima e la seconda metà del Settecento; studia violino con Anna Maria della Pietà, la famosa “Anna Maria dal violin”, e le succede alla direzione dell’orchestra della scuola intorno al 1740. In questi anni esegue almeno sei dei concerti scritti da Antonio Vivaldi per Anna Maria. Ci resta solo un suo pezzo: i Vespri del Salmo 113 in Re. 

Vincenta da Ponte, cantante e concertista attiva nella seconda metà del XVIII secolo, avendo un cognome, non è una trovatella, ma una studente, forse di nobili origini, regolarmente iscritta alla scuola. Compone intorno al 1775 quattro danze, il cui manoscritto è custodito nel Conservatorio di Musica Benedetto Marcello a Venezia.  

Fino alla caduta della Serenissima nel 1797 nessun posto al mondo fornisce alle donne un’istruzione musicale così accurata e rigorosa come il Pio Ospedale. Le putte veneziane, con l’universalità della loro fama che dalla laguna si espande a macchia d’olio fino all’Atlantico e al mar Baltico, rappresentano un fenomeno straordinario e irripetibile in tutta la storia della musica e come fari inestinguibili additano la strada maestra del virtuosismo coniugato con l’umiltà alle giovani allieve di scuole e conservatori di tutto il mondo. 

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Articolo di Florindo Di Monaco

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Docente di Lettere nei licei, poeta, storico, conferenziere, incentra tutta la sua opera sulla Donna, esplorando l’universo femminile nei suoi molteplici aspetti con saggi e raccolte di poesie. Tra i suoi ultimi lavori, il libro La storia è donna e le collane audiovisive di Storia universale dell’arte al femminile e di Storia universale della musica al femminile.

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