Per i nostri e le nostre ragazze che dal mese di marzo dello scorso anno hanno convissuto con il cigno nero della pandemia e hanno dovuto accettare la chiusura delle scuole e la DAD fino a giugno, la riapertura delle scuole in ddi, con protocolli sanitari rigorosissimi e poi di nuovo la DAD, è indispensabile inserire nelle lezioni di economia, geopolitica e relazioni internazionali, accanto ai manuali che si occupano delle crisi come qualcosa di lontano, un testo che li spinga a ragionare su come reagire alla pandemia, su come questa crisi non debba essere sprecata ma al contrario debba essere vista, come dicono i cinesi, come un’opportunità di cambiamento. Non possiamo lasciare che l’unica narrazione di ciò che stiamo vivendo sia quella sanitaria/securitaria dei media, ma nello stesso tempo non dobbiamo neppure fare come se niente fosse e procedere col raccontare un mondo che probabilmente non ci sarà più.
Proseguiamo dunque nella lettura del libro di Mazzucato, che abbiamo introdotto nelle nostre classi, per suggerire alle e ai nostri studenti qualche idea per non sprecare la crisi attuale. Le affermazioni di questa economista potranno rappresentare spunti di discussione e occasioni per scoprire le idee di altri ed altre economiste contemporanee, stuzzicando l’immaginazione e stimolando il confronto.
«Quando l’economia è in crisi, a chi ci rivolgiamo per chiedere aiuto? Non alle aziende, ma allo Stato. Quando l’economia prospera, però, ignoriamo lo Stato e lasciamo che a guadagnare siano le imprese».
L’intervento dello Stato nell’economia, lo Stato sociale e la sua crisi, il neoliberismo come pensiero unico dominante e le politiche di austerity, l’eterna diatriba tra keynesiani, neokeynesiani o keynesiani bastardi e monetaristi sono il tema dei corsi di economia politica delle nostre scuole. Da quasi trent’anni questo è il focus: quanto Stato e quanto mercato devono esistere in economia? Che cosa spetta allo Stato e che cosa al mercato? Neanche tanto nascostamente il pensiero sottostante è che ciò che è pubblico non funziona, funziona male e spreca risorse, ciò che è privato, per definizione, funziona bene. Come stupirsi? Questa è stata la narrazione comune a pressoché tutti i media negli ultimi trent’anni, ai think tank di destra e della cosiddetta sinistra liberal, con alcune sporadiche eccezioni, considerate dai più “fuori tempo massimo” e non sintonizzate coi tempi. In occasione dell’approfondimento di questi temi si possono introdurre le osservazioni di Mariana Mazzucato, per sollecitare una riflessione e una discussione all’interno delle nostre classi.

Se tutti sono d’accordo sul ruolo dello Stato in azioni di salvataggio dai fallimenti del mercato, nessuno considera che in un sistema in cui, come ebbe a dire Milton Friedman, neoliberista per eccellenza, «Nessun pasto è gratis», non ci si è mai chiesti che fine fanno i soldi dei/delle contribuenti che lo Stato assegna alle imprese in difficoltà. Concederli è giusto, ma lo Stato, soprattutto in momenti delicati come quello che stiamo attraversando, deve vincolare chi li riceve a comportamenti corretti o evitare di darli a chi tiene comportamenti scorretti, perché lo Stato deve diventare “investitore di prima istanza” ed orientare il cambiamento. Un esempio virtuoso citato da Mazzucato è quello dell’Alaska che paga un dividendo di cittadinanza attraverso il Permanent Fund legato al petrolio, mentre il Governatore della California ha chiesto che venga riconosciuto a cittadini e cittadine un «dividendo dati» per l’utilizzo dei loro dati personali, «in un sistema in cui operano miliardari del settore tecnologico che non avrebbero potuto fare soldi senza investimenti pubblici». Quando lo Stato in epoca di Coronavirus, come sta facendo in tutto il mondo, sovvenziona le imprese o concede prestiti, dovrebbe subordinarli a condizioni certe: mantenere i posti di lavoro, consentire alle/ai dipendenti di lavorare in condizioni dignitose, rispettare i diritti umani, pagare nello stesso modo uomini e donne, impegnarsi a ridurre le emissioni e limitare il ricorso al riacquisto di azioni. La Danimarca ha concesso la cassa integrazione a quelle imprese che si sono impegnate a non licenziare lavoratori e lavoratrici e ha escluso dagli interventi di salvataggio le imprese domiciliate nei paradisi fiscali, oltre a vietare l’uso dei fondi stessi per il pagamento di dividendi e il riacquisto di azioni. Si tratta dunque di socializzare non solo i rischi ma anche i guadagni, non solo le perdite ma anche gli utili. E questa potrebbe essere una buona e giusta prospettiva e un cambio di rotta che la crisi da Coronavirus ci suggerisce.
Un altro tema molto importante nelle nostre lezioni è quello del valore, centrale in economisti come Smith, Marx e Schumpeter. Purtroppo, da quando la teoria economica neoclassica è diventata il Verbo in economia politica, abbiamo confuso il prezzo con il valore e ciò è stato all’origine della disuguaglianza, distorcendo il ruolo del settore pubblico. Secondo tale teoria solo ciò che ha un prezzo ha un valore e si misura col Pil, indice peraltro da molto tempo considerato inadeguato a misurare la ricchezza di una nazione. Nel libero confronto tra le posizioni gli allievi e le allieve potranno rendersene conto. Dopo questo dibattito potremo inserire alcune considerazioni di Mazzucato: «Una miniera di carbone che immette anidride carbonica nell’atmosfera aumenta il Pil e l’inquinamento non viene sottratto dai ricavi dell’azienda. L’assistenza prestata agli anziani e ai bambini nelle case normalmente non ha prezzo». E magari ricordare il discorso di Robert Kennedy sul Pil, riportato in qualche box di approfondimento nei nostri manuali più illuminati, ma quasi mai nel testo. Anche queste sono scelte delle case editrici e di chi scrive i libri che adottiamo. Sono solo tre esempi ma ci fanno capire come il modo di valutare i beni e la produttività delle persone oggi sia solo legato al denaro. Nel Pil noi ricomprendiamo in modo forfettario l’economia sommersa e l’economia illegale, compresa la prostituzione. Ma di tutto il Welfare familiare, quello assicurato in Italia soprattutto dalle donne, non c’è traccia. C’è qualcosa che non va in questo sistema e se ci pensiamo lo avvertiamo anche senza possedere conoscenze economiche. Un tempo simili discorsi in economia non si potevano fare, ma oggi il dibattito è vivo anche sulle colonne del Financial Times e questa forma di intervento statale condizionata non è più un tabù, come la revisione del Pil, cominciata con la Commissione Sarkozy/Sen/Stiglitz, Fitoussi nel 2010.

Cominciamo a farlo intravvedere alle/agli studenti, consultando le fonti e dandovi la giusta importanza. Prendiamoci il coraggio di riassumere le teorie neoclassiche sul prezzo di equilibrio e sulla sovranità del consumatore in poche lezioni e di dire che i prezzi non rappresentano necessariamente il valore dei beni. Ricominciamo a discutere sul valore, differenziando chi estrae valore da chi lo crea. Si tratta di una vera rivoluzione copernicana.
Ma il valore è anche quello che, con i soldi dei/delle contribuenti, le grandi imprese hanno utilizzato per fare profitti. Quando si definiscono le società piattaforma «colossi tecnologici» si lascia intendere a chi legge che abbiano effettuato investimenti nelle tecnologie da cui traggono i loro profitti e invece sono stati i contribuenti a finanziare le innovazioni che sono alla base della loro attività, da Internet a Gps a Siri. Questo bisognerebbe cominciare a dirlo: bisognerebbe che tali soggetti pagassero le tasse dovute, utilizzassero in modo corretto i dati dei contribuenti, non ricorressero abitualmente all’arbitraggio fiscale e al lavoro a contratto per evitare i costi dell’assicurazione sanitaria e di altre prestazioni, ecc.

Forse è venuto il tempo, anche grazie alla pandemia, di un ruolo nuovo per gli Stati: non solo correggere i fallimenti dei mercati, per poi ritirarsi e lasciare mano libera ai privati, ma orientare e plasmare i mercati «per garantire che il valore creato sia messo al servizio di scopi collettivi». Gli esempi riportati da Mazzucato, tratti dalle esperienze di tutto il mondo, saranno il pretesto per cominciare a discuterne nelle classi, immaginando un diverso modo di attribuire valore alle cose e un diverso ruolo dell’operatore-Stato nel mercato, fuori dagli opposti schieramenti, con una visione finalmente davvero nuova.
***
Articolo di Sara Marsico

Abilitata all’esercizio della professione forense dal 1990, è docente di discipline giuridiche ed economiche. Si è perfezionata per l’insegnamento delle relazioni e del diritto internazionale in modalità CLIL. È stata Presidente del Comitato Pertini per la difesa della Costituzione e dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano. I suoi interessi sono la Costituzione , la storia delle mafie, il linguaggio sessuato, i diritti delle donne. È appassionata di corsa e montagna.