Intervista a Rita Charbonnier 

Autrice di racconti, sceneggiature, monologhi teatrali, romanzi che ruotano attorno a indimenticabili figure femminili, Rita Charbonnier è artista poliedrica, che unisce alla passione per la scrittura una solida formazione teatrale e musicale. Diplomata alla Scuola di teatro classico del dramma antico di Siracusa, ha lavorato con attori di rilievo come Nino Manfredi, Lucia Poli, Aldo Trionfo e tanti altri. Il suo romanzo La sorella di Mozart è stato pubblicato in dodici paesi. La strana giornata di Alexandre Dumas e Le due vite di Elsa completano un trittico al femminile che, nonostante l’ambientazione storica, racconta il nostro presente. Con una scrittura che coinvolge dalla prima all’ultima pagina, il suo ultimo romanzo Figlia del cuore (Marcos y Marcos editore) tocca tanti temi diversi: la difficile condizione di chi sbarca a Lampedusa in cerca di un futuro migliore, l’impossibilità per una persona non sposata di passare dall’affido all’adozione, l’incontro tra realtà sociali e culturali apparentemente inconciliabili, che invece si possono fondere in un comune percorso di crescita che mette radici profonde nell’anima e riempie il cuore di felicità.

Il tuo libro ci fa capire che i figli sono di chi li cresce, li educa, li ama e quanto sia difficile, ma non impossibile, il legame d’amore con una madre non biologica. Ti va di aggiungere qualcosa su questa importante verità che sembra essere l’asse portante del tuo ultimo romanzo? 
Hai ragione, l’idea centrale del romanzo è proprio questa: siamo figli di chi ci alleva, non di chi ci genera. In Italia si tende a dare un valore esorbitante al legame di sangue; è ancora molto diffusa l’idea che i figli appartengano in qualche modo a chi li ha “fatti”, che la famiglia sia una questione di biologia. A me sembra invece che il legame biologico valga poco, se non è sostenuto dal legame affettivo. La famiglia è un cerchio di persone; quel che conta è che, per citare una frase del libro, da cerchio si trasformi in un cuore. 

Ogni bambino ha bisogno di approvazione e lodi ma senza divieti c’è il rischio di trovarsi impreparati di fronte alle difficoltà della vita. Una famiglia accogliente, non significa assenza di regole. Sei d’accordo? 
Certamente, e la prima regola è il rispetto delle esigenze e delle personalità altrui. Vale all’interno della famiglia come di ogni comunità più estesa. 

Nel 2014 hai fondato “Scrittura a tutto tondo” per offrire consulenza editoriale e supporto ad autori e aspiranti scrittori. Che consigli daresti a un giovane di talento che non ha ancora trovato la sua strada? 
Uno solo: di non mollare mai. La tenacia è la componente fondamentale del successo in ogni campo. Le persone che riescono a realizzare i propri obiettivi hanno una dote in comune: la capacità di non arrendersi di fronte agli ostacoli, anche quando sembrano insormontabili; di non lasciarsi scoraggiare, nemmeno quando tutto sembra andare per il peggio. 

Raymond Carver diceva che non è difficile scrivere, difficile è trovare una maniera originale per raccontare il mondo. Quanto è importante trovare la propria voce per uno scrittore/trice? 
Credo senz’altro che lo sia moltissimo, anche se personalmente non sono del tutto certa di averla trovata… scherzo, ma mica tanto: io sono una di quelle persone che amano fare tante cose, anche diverse tra loro, quindi sono e si sentono perennemente “in cerca”.

La tua solida formazione musicale, in qualche modo ha influenzato il modo in cui scrivi? 
Alcuni dei miei romanzi hanno parecchio a che fare con la musica e i musicisti/e, quindi la prima ispirazione, sul piano degli argomenti, è stata quella. Credo inoltre di aver sempre ricercato un ritmo nella stesura della pagina, e una struttura nella costruzione della storia, che provengono anche dallo studio della musica. 

Oltre che nella narrativa, ami cimentarti nel cinema e nel teatro. Vincenzo Cerami diceva che «la letteratura è scrittura fine a se stessa, il teatro è scrittura tridimensionale destinata alla scena, il cinema è scrittura bidimensionale per la macchina da presa». Sono idee che condividi? 
Anni fa ebbi modo di conoscere Cerami nonché di intervistarlo per una rivista, pensa un po’. Era un grande scrittore: Un borghese piccolo piccolo è un classico. Tra i tre tipi di testi, la sceneggiatura è il meno letterario e quello dalle caratteristiche più squisitamente progettuali. La sceneggiatura non è un’opera compiuta; trova il suo compimento nel momento in cui altre/altri artisti, numerosi peraltro, se ne impossessano e creano un’opera audiovisiva che vi è basata. Il testo teatrale, invece, possiede un valore letterario, tant’è che esistono drammi in versi o scritti in una lingua straordinaria, che è un piacere leggere, ma anche il testo teatrale trova la sua più alta realizzazione nel momento in cui viene messo in scena. Il romanzo, invece, è l’opera compiuta. Scrivere un romanzo è molto più complesso che non scrivere una sceneggiatura. Almeno, così è per me. 

Cosa hanno in comune una sceneggiatura, un copione teatrale, un romanzo? 
Lo sviluppo. L’evoluzione che l’autore o l’autrice mette in atto dal principio alla fine del testo, e che trasforma una serie di parole e frasi in qualcosa di organico. Nel cinema e nella televisione, la storia è l’elemento preponderante; occorre raccontare un’evoluzione, o un’involuzione, attraverso una serie di eventi che siano poi in grado di incollare lo spettatore/trice alla poltrona, come si dice. Nella letteratura teatrale e nella narrativa entrano in gioco molti altri elementi, ma a mio modo di vedere una storia ben costruita, così bene che la costruzione non si percepisca, è comunque imprescindibile. 

So che hai sempre letto di tutto, c’è un genere che prediligi? Quali sono i tuoi scrittori o scrittrici preferite?
Ti direi McEwan e Carrère, due grandissimi, e diversissimi, ma restiamo in Italia: ti citerò tre libri di autori italiani che ho letto di recente e molto amato. Due vite di Emanuele Trevi è bellissimo. E non lo dico perché ha vinto lo Strega; ci sono libri che hanno vinto lo Strega e non meritavano tutto quel clamore. Trevi è un grande scrittore, un grande intellettuale, ogni volta che incontro un suo articolo lo leggo religiosamente. Poi ti citerò un testo teatrale: Lehman Trilogy di Stefano Massini. Che quando fa i suoi monologhi televisivi a volte mi lascia perplessa, ma quel suo testo è davvero notevole e originale; non a caso lo mise in scena Ronconi. E infine ti citerò una scrittrice che appartiene al passato, un Premio Nobel: di recente mi è capitato di leggere La madre di Grazia Deledda, una sua opera minore se vogliamo, ma che scrittura meravigliosa, che prosa palpabile in quel suo breve, inquietante romanzo! 

«Le parole erano originariamente incantesimi, e la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico potere magico», scriveva Freud. Le parole svolgono per te una funzione benefica, evolutiva? 
Oh, sì, soprattutto quelle sussurrate all’analista… 

Stai lavorando a qualche progetto letterario? I tuoi romanzi saranno di nuovo ambientati nel passato? Incontreremo ancora figure femminili che lottano per affermare sé stesse e vivere un’esistenza ricca di significato?  
Quasi certamente sì. Proprio in questo periodo sto elaborando un’idea nuova che riguarda figure femminili come quelle che descrivi. Wish me luck… 

In copertina. Rita Charbonnier.

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Articolo di Gabriella Maramieri

Laureata in Lettere a La Sapienza, giornalista dal 1990, si è occupata di critica letteraria per L’Indice, Noi donne, Leggendaria, Minerva, Wimbledon. È autrice di romanzi, racconti, poesie, favole. Dal 2006 affianca alla passione per la scrittura l’attività di Consulente familiare Aiccef (Associazione italiana consulenti coniugali e familiari) e quella di Coach professionista Icf (International coach federation) e Aicp (Associazione italiana coach professionisti).

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