Crediamo nell’Unione europea e bocciamo il nazionalismo oltranzista 

Carissime lettrici e carissimi lettori,
«Dobbiamo recuperare lo spirito di Ventotene e lo slancio pionieristico dei Padri Fondatori, che seppero mettere da parte le ostilità della guerra, porre fine ai guasti del nazionalismo dandoci un progetto capace di coniugare pace, democrazia, diritti, sviluppo e uguaglianza». David Sassoli aveva iniziato così il suo discorso di insediamento sullo scranno più alto del Parlamento di Strasburgo. Era il 3 luglio del 2019. Oggi sentiamo, dopo la sua morte, avvenuta in una clinica oncologica nelle prime ore dell’11 gennaio, tutte e tutti un vuoto lasciato dalla sua morte, in fondo prematura. In quel discorso di inizio estate di quasi tre anni fa Sassoli aveva toccato tanti punti fondamentali del suo pensare politico: «sia chiaro a tutti che in Europa nessun governo può uccidere – aveva detto -, che il valore della persona e la sua dignità sono il nostro modo per misurare le nostre politiche…che da noi nessuno può tappare la bocca agli oppositori, che i nostri governi e le istituzioni europee che li rappresentano sono il frutto della democrazia e di libere elezioni». Aveva poi continuato mettendo il punto sull’uguaglianza, sulla necessità imprescindibile di non discriminare, la sua opposizione a quei muri di cui aveva parlato nel discorso di auguri per le festività di fine anno: «Nessuno può essere condannato per la propria fede religiosa, politica, filosofica – aveva continuato Sassoli nello stesso discorso d’insediamento – Da noi ragazze e ragazzi possono viaggiare, studiare, amare senza costrizioni…nessun europeo può essere umiliato e emarginato per il proprio orientamento sessuale…nello spazio europeo, con modalità diverse, la protezione sociale è parte della nostra identità…la difesa della vita di chiunque si trovi in pericolo è un dovere stabilito dai nostri Trattati e dalle Convenzioni internazionali che abbiamo stipulato. Non diremmo mai che siamo figli o nipoti di un incidente della Storia. Ma diremmo che la nostra storia è scritta sul dolore, sul sangue dei giovani britannici sterminati sulle spiagge della Normandia, sul desiderio di libertà di Sophie e Hans Scholl, sull’ansia di giustizia degli eroi del Ghetto di Varsavia, sulle primavere represse con i carri armati nei nostri paesi dell’Est, sul desiderio di fraternità che ritroviamo ogni qual volta la coscienza morale impone di non rinunciare alla propria umanità e l’obbedienza non può considerarsi virtù. Non siamo un incidente della Storia – ribadiva Sassoli evidenziando la forza di opposizione alle dittature e il veleno causato dai nazionalismi fatti ideologia – ma i figli e i nipoti di coloro che sono riusciti a trovare l’antidoto a quella degenerazione nazionalista che ha avvelenato la nostra storia. Se siamo europei è anche perché siamo innamorati dei nostri Paesi. Ma il nazionalismo che diventa ideologia e idolatria produce virus che stimolano istinti di superiorità e producono conflitti distruttivi». Un discorso per niente retorico, molto programmatico sul modo di procedere della sua Presidenza, che ci dà l’immagine di una persona capace di porsi dalla parte della democrazia e di chi soffre le ingiustizie dovuti ai pensieri distorti e degradanti fatti riguardo alle differenze. Sassoli lo abbiamo sentito spesso parlare contro la violenza, soprattutto sulle donne, e non può che trovarci d’accordo. Più volte lo abbiamo visto fautore di un incremento della presenza femminile sociale attiva, partendo dalla stessa istituzione europea che presiedeva: «le donne devono diventare più del quaranta per cento», aveva commentato parlando dei numeri e delle presenze di genere a Strasburgo.
Insieme al Presidente del Parlamento europeo in questi giorni ci sentiamo tristi, soprattutto come donne, per un’altra assenza subita, anche questa prematura. Silvia Tortora, la figlia dell’indimenticabile Enzo, se ne è andata a 59 anni, fatalmente, come un richiamo del destino, alla stessa età del padre. Tortora ha avuto tutta la vita segnata dall’ingiustizia vissuta per ciò che aveva subito e vissuto il padre, da quel 17 giugno del 1983 in cui il conduttore di Portobello fu portato via da casa in manette, sotto gli occhi di tutti, a telecamere accese, accusato di essere camorrista e spacciatore di droga. Un’accusa infame la definiva Silvia Tortora, che ha portato con sé una insaziabile sete di giustizia, forte e mai completamente appagata, con la quale ha convissuto fino alla fine cercando di riscattare la memoria del padre con tutta sé stessa.
Ritornando a David Sassoli, contrario alla strumentalizzazione e desideroso promotore dell’abolizione delle differenze, è stato oggetto di speculazione proprio con la sua morte, usata, è il caso di dirlo, come conseguenza, che noi sappiamo falsa, delle reazioni ai vaccini contro il Coronavirus. Gli haters, gli odiatori, i cosiddetti leoni da tastiera che, secondo più di una voce psicoterapeutica, sono fortemente disturbati, hanno continuato la loro cattiva semina che, è cronaca, infuoca coscienze fragili, persone che se arrivano in ospedale esigono di imporre al personale sanitario le proprie scelte di cura. Certo che si può avere un pensiero diverso, ma non è questo, secondo noi, il modo di esercitare la libertà. Diventa un ulteriore atto di manipolazione di un dolore e per fortuna solo di una minima parte, se pur chiassosa, di persone. Certo che ciascuno/a paziente colpito/a dal Covid 19 deve essere curato alla stessa maniera. Ma non si può provare altro che tristezza per la manipolazione e l’uso obbrobrioso di una sofferenza e di un dolore che ha tolto una persona al mondo. Ma solo l’ultima in ordine di tempo.
Per questo bisogna parlare ancora di Covid-19. Ormai è inevitabile, addirittura è diventato necessario. Contro la scienza, la ricerca scientifica, ormai da tempo si sta scagliando chi di libertà di pensiero non sa nulla. Una piccola frangia (lo speriamo) di novax che pensa di piegare la scienza non con il dialogo e il contrasto della discussione civile, ma con le minacce. Così la settimana scorsa è arrivata l’ennesima intimidazione a una scienziata: ad Antonella Viola, l’immunologa di origini tarantine che lavora a Padova e ora, come tanti suoi colleghi e colleghe, deve vivere accompagnata dalla scorta per le minacce arrivate contro lei e la sua famiglia (ma che c’entra?!). La colpa: aver incentivato la diffusione del vaccino contro il Coronavirus per la salvaguardia dei e delle più giovani, dai cinque anni in su. Purtroppo un certo tipo di politica (“i bambini non si toccano”) può risultare, alla stregua di certi nazionalismi spinti di cui abbiamo parlato sopra, molto pericolosa e fuorviante.
«Due giorni fa ho ricevuto una lettera di minacce a me e alla mia famiglia, accompagnata da un proiettile, in cui mi si chiede di dichiarare pubblicamente che i bambini non devono essere vaccinati. Ecco a cosa siamo arrivati! – ha raccontato la professoressa Viola commentando l’accaduto – E questo anche grazie a quella parte della politica che strizza l’occhio a chi grida «giù le mani dai bambini» o stupidaggini di questo tipo. Siamo al punto che si rischia di finire sotto scorta per aver parlato di scienza e salute, per aver detto che tra una malattia potenzialmente grave e un vaccino sicuro non c’è discussione che tenga.  L’amarezza è ovviamente tanta –  continua il commento di Viola – sono due anni che tra laboratorio e divulgazione faccio del mio meglio per accompagnare gli italiani e le italiane in questa tempesta, per rassicurarli/e, per dare loro informazioni corrette. E so che questo impegno ha un senso, che raccontare le ragioni scientifiche alla base delle decisioni politiche è importante, che la persuasione è sempre lo strumento migliore perché basato su fiducia e libertà. Ma di fronte a gente che è così stupida, cattiva, violenta, meschina da arrivare alle minacce non c’è nulla da fare se non imporre la strada della razionalità. Mi auguro quindi davvero che questo passo del governo sia accolto da tutto il mondo politico senza discussioni e che i cittadini italiani continuino a sostenere le decisioni basate sulla scienza, sul buon senso, sulla solidarietà e sulla convivenza civile. Per quanto mi riguarda, continuerò a fare la mia parte al meglio delle mie possibilità: fare e parlare di scienza, con serietà e responsabilità».
La violenza non può essere uno stile di vita. Fa male constatarlo, ma è davvero triste che dei ragazzini la esercitino per divertimento, per celebrare, ritrovandosi a formare un “branco” improvvisato, con tutte le caratteristiche dell’essere tale. É quello che è accaduto la notte di Capodanno a Milano, in piazza Duomo, dove tante ragazze, italiane e straniere, hanno subito molestie e si sono sentite doppiamente violentate perché non aiutate. Non specifichiamo il loro numero perché sicuramente sono più di quelle che hanno avuto il coraggio di denunciare, permettendo l’apertura di un’inchiesta. A noi sinceramente non importano il colore della pelle, il luogo di nascita o le convinzioni religiose dei ragazzini (i più piccoli sono ancora minorenni e i più grandi non superano i 21 anni!) che si sono trovati insieme a portare avanti questa triste “bravata”. Ritorna in mente un altro capodanno, quello del 2016 a Colonia, ma non certo è l’unico. L’origine di questi giovanissimi maschi potrebbe deviare la condanna che deve essere contro l’azione, perché si è parlato di “fatti gravissimi”, di “molestie e abusi orribili”. La condanna di ciò che è accaduto, chissà forse non solo a Milano, nella notte di San Silvestro, non può essere usata come mezzo di propaganda politica e di conseguente diffusione dell’odio di stampo razzista. Deve essere considerata per ciò che è: una condanna decisa contro l’uso del corpo di una donna, la considerazione che il corpo femminile sia unicamente a servizio del piacere maschile. Soprattutto deve passare, vista la giovane età dei colpevoli, un messaggio educativo che deve arrivare a chiunque senza preconcetti. «Agire in branco è un’aggravante – è stato giustamente scritto -, ci si nasconde dietro gli altri e ci si conforta vicendevolmente, annullando il valore delle vittime. Soprattutto quando, aggredendo una ragazza, si parte dal presupposto che la donna possa sempre essere trattata come una merce, un oggetto, un giocattolo da utilizzare e poi buttare via». (Michela Marzano).
Il ricordo di altra violenza, di altro stampo, ma provocatrice di morte, fa arretrare la nostra mente di dieci anni e ci porta in Toscana, nel mare di fronte all’isola del Giglio quando, il 13 gennaio 2012, la nave da crociera Costa Concordia urtando degli scogli a 500 metri dal porto, si curva su sé stessa provocando la morte di 32 persone, 80 feriti e due dispersi.  Morti inutili, dovute a errori evitabili, forse non ancora pagati fino in fondo e chiariti.
Volevo parlarvi in questo numero dei nostri amici animali non umani. Avevo desiderio di dirvi e di raccontarvi della collaborazione e dell’aiuto che ci offrono. Con tutto il rispetto, ma mi è apparso davvero uno scivolone additarli come colpa per un calo delle nascite dei figli e delle figlie della donna e dell’uomo. Personalmente ho provato due volte ad avere in casa questa compagnia. Abbiamo capito, con la nostra esperienza, che un animale non umano (perché apparteniamo alla stessa famiglia dei viventi, del creato, in qualsiasi modo lo intendiamo) arricchisce, persino responsabilizza, fa compagnia, più volte aiuta, sotto tanti aspetti. Se si evitano inutili e sempre deprecabili fanatismi, che poi fanno soffrire soprattutto i nostri/e amici e amiche a quattro zampe, loro ci insegnano e lo fanno anche con i nostri e le nostre figlie, un afflato con la Natura con la quale proprio questa brutta e interminabile pandemia ci obbliga a fare i conti per un rapporto diverso. Per non parlare di Pet therapy e di possibile presenza di animali non umani in strutture dove occorre affetto, come potrebbero essere le Rsa, per incoraggiare le persone anziane (se ne è parlato a lungo) e persino nelle scuole, nelle carceri e, con le dovute precauzioni sanitarie, negli ospedali.
Mi piace aspettare una lettura, che mi ha consigliato vivamente una cara amica: Teologia degli animali di Paolo De Benedetti, un teologo e biblista (1927-2016) che è stato docente di Giudaismo alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano e di Antico Testamento agli Istituti di scienze religiose delle università di Urbino e Trento, un’affinità, sembra, con la problematica sollevata. «Per elaborare una teologia che non abbia più al proprio centro soltanto l’uomo – scrive Gabriella Caramore a commento del libro – ma, assieme a lui, l’animale, e ogni essere vivente, ci voleva un teologo come Paolo De Benedetti. Il cui pensiero si articola non intorno ad assiomi, evidenze, certezze. Ma intorno al “forse”. Al dubbio. Alla logica dei “doppi pensieri”. Solo chi, come lui, ha un senso così forte della precarietà dei giudizi umani e della imperscrutabilità di quelli divini, può arrivare a elaborare una teologia che metta continuamente in discussione sé stessa: fino a spostare il centro della propria attenzione dalla creatura umana, che lo ha da sempre altezzosamente occupato, alle creature minori, che sempre sono state ai margini». Allora questa settimana voglio accogliere doppiamente di nuovo il suggerimento amicale e scegliere una poesia proprio di Paolo De Benedetti. La scelgo da atea, da non credente in una religione, ma cogliendo, con quel pizzico di ironia che vi troverete leggendola, tutta la spiritualità di un amore verso chi ci ha accompagnato, non umano, nella nostra vita e ci ha affiancato, ma non ci ha impedito nessuna scelta.

Dove sei

Ti avevamo chiamato Dove sei
perché a questo appello tu venivi
e avevi scelto che fosse il tuo nome.
Ma ora non rispondi, e non sappiamo
dove sia la tua anima pensosa
di grande gatto, che scrutava il mondo
con ansia, confidando in pochi affetti
e fuggendo nel sonno. Forse Dio
ti ha detto: Dove sei? Perché voleva
qualcosa di morbido nel grembo,
fra tanti Santi un poco soffocanti.
Ma ti ha rapito a noi, che nel tuo esserci
credevamo che al mondo pur ci fosse
qualche spiraglio ancor di Paradiso,
e che il creato fosse “molto buono”.
La morte è amara, ma più amaro assai
è veder morire. Forse questo
potevi risparmiarcelo, Signore,
ancora un po’. Ora conserva l’anima
piccolina del nostro Dove sei
per quando arriveremo, e se tu puoi
consolala. Ma forse tu non puoi.
perché la morte è troppo anche per te.

(a Nives, gattina andata via quasi due anni fa e alla mia indimenticabile cagnolina Milou).

Buona lettura a tutti e a tutte.

Cominciamo così la visione degli articoli di questo numero della rivista. Elogio alla gentilezza è un articolo che parte dal ricordo di un uomo gentile e garbato come il Presidente del Parlamento Europeo che incarnava una virtù preziosa, quella della mitezza, che non esclude ma implica la capacità di indignarsi. Continuiamo con la donna scelta da Calendaria, Agnodice, forse la prima ginecologa e ostetrica ateniese, che lottò contro i pregiudizi per affermare l’accesso delle donne alla professione medica. Perché è così difficile avere una donna al Quirinale? Se lo chiede lautrice di un articolo, riflettendo sugli ostacoli e i pregiudizi di una politica e di una società misogine, che da 74 anni hanno visto solo uomini alla Presidenza della Repubblica e del Consiglio. Di sterminio dei gorilla a causa della epidemia di Ebola si è tornato a parlare in tempo di pandemia, riguardo alla zoonosi, altrimenti detta Spillover, dal titolo di un libro che tutte e tutti dovremmo leggere, Dian Fossey, di cui in questa settimana ricorre l’anniversario della nascita, la zoologa statunitense che ha dedicato la sua vita a questi primati, ci è raccontata in un articolo che mette in luce le sue tante battaglie per i diritti degli animali e la sua triste sorte, simile a quella dei tanti e delle tante che hanno condotto battaglie scomode per il potere e per una parte della società. Le donne colte e sagge hanno sempre fatto paura, e in Bernardino da Siena: un santo contro le donne sapienti potremo apprendere della lotta di quest’uomo, proclamato santo soltanto sei anni dopo la sua morte, contro le “streghe”, mandate al rogo con sua massima soddisfazione. Un altro anniversario sarà l’occasione per ricordare la vita e l’incredibile produzione di un esempio di artista a tutto tondo, nell’articolo Storia di una donna formidabile: Cecilia Mangini, a un anno dalla scomparsa. Ma sono proprio i film che ci introducono all’amore per alcuni e alcune artiste. È questo ciò che è capitato all’autrice di Molière, vita o teatro? che, grazie alla visione di un film diretto da una donna, si è appassionata al teatro e a questo grande genio, di cui ricorre il quarto centenario della nascita. A proposito di arte, di una recente ma ormai conosciutissima, ne parla un’autrice nel suo articolo Street art: un’arte maschile?
Di her-story attraverso la biografia e i resoconti dei viaggi femminili apprenderemo nel terzo articolo della serie Viaggiatrici del Grande Nord, Tre precorritrici del viaggio nel Grande Nord: Mary Wollstonecraft, Léonie d’Aunet, Ida Pfeiffer, in particolare soffermandoci sulla vita anticonformista e i libri di una scrittrice «razionale» che possedeva «un cuore amorevole» (George Eliot), la madre di Mary Shelley, Mary Wollenstonecraft.
Che significato ha oggi la teologia e che cosa vuol dire essere teologhe in una Chiesa Cattolica fortemente segnata dal patriarcato e in «questo strano clima che a parole respinge il sacro ma nei fatti è pieno di idoli?». Nella bella e interessante Intervista a Lucia Vantini, Presidente del Coordinamento delle Teologhe Italiane si cerca di rispondere a questa e ad altre questioni, dando la parola a chi nella Chiesa ha ancora pochissima voce. Di voce e soprattutto di parole resistenti ne hanno davvero tante il rapper DH e Les Saltimbanks, Gilets Jaunes e movimento eterogeneo, descritti/e con le loro canzoni in contrapposizione alla politica securitaria di Macron. Sia l’articolo su Les Saltimbanks che l’intervista alla Presidente del Citi affrontano il tema della libertà. Alle loro parole e riflessioni si aggiunge lIntervista a Susanna Schimperna, «eterna adolescente», che ama studiare, è curiosa del mondo e delle relazioni e che ci parlerà di anarchia e libertà in modo originale ed eccentrico.
«L’ospitalità è la logica divina inscritta nella creazione». Questa riflessione della teologa Vantini si collega al tema di La Conferenza finale del Progetto Migration Mainstreaming. Seconda giornata che insiste «sul nuovo modo di avvicinarsi al e alla migrante, l’interazione, che presuppone il riconoscimento reciproco di tutti noi come esseri umani e il nostro uguale diritto di spostarci e visitare la Terra».

Ci congediamo con la ricetta di questa settimana di gennaio: Linguine con vongole, carciofi e arancia, un piatto quasi unico che dopo le feste natalizie sarà digeribile, leggero e, allo stesso tempo, gustoso. Buon appetito!

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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