Elogio alla gentilezza 

Due temi sono stati protagonisti indiscussi delle cronache politiche di questa settimana: il balletto dei pronostici per la prossima elezione del Presidente della Repubblica, un copione così logoro da esser poco sentito dalla popolazione; la morte del Presidente italiano del Parlamento europeo, una notizia drammatica arrivata in modo dirompente.

Unanime il dolore, unanime il cordoglio, unanimi le parole con cui viene espresso il ricordo di una persona come David Sassoli, molto apprezzata e molto amata. Tra esse una in particolare ricorre nella ricostruzione della vita e del carattere dell’uomo e nel resoconto delle esperienze di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo: la parola ‘gentile’. Gentile il suo tratto, gentili il suo sorriso, la sua voce e il suo sguardo, quanto coraggiose le sue idee, decisi i suoi atti. 

In quanto gentili vengono rimarcati come anomalia, felice eccezione in un mondo che – in preda a una regressione culturale e morale – conosce ben altri registri. Vengono evocati con una sorta di sperduta nostalgia, di fronte agli spettacoli indecorosi cui ci siamo troppo facilmente abituati.

Quanto ci paiono belle, quando le incontriamo, le persone gentili.

Pochi aggettivi come questo – pur essendo comuni – presentano tanta complessità e significati così lontani dalle radici etimologiche. Oggi, a millenni di distanza dal riferimento alle gentes patrizie, chiamiamo gentile chi possiede qualità morali e comportamentali come la sensibilità, il garbo, la grazia, la cortesia. Chi rispetta e cerca di comprendere ogni persona. Chi non umilia, non offende. Chi mantiene il dialogo a un livello civile.

Potremmo approfittare di questa imprevista unanimità per domandarci che cos’è la gentilezza, per ricordare che la correttezza verbale non è ipocrisia, perché forma e sostanza camminano insieme. E smettere di chiamare spontaneità il linguaggio sbracato e il pensiero sbracato che lo produce e ne è prodotto.

Nel 1988 è nato  il Movimento mondiale per la gentilezza, che promuove l’attenzione verso il prossimo; ha celebrato il suo più recente congresso a Singapore e ha una sezione italiana, www.gentilezza.com. Il 13 novembre si festeggia la Giornata mondiale della gentilezza, internazionalmente conosciuta come World Kindness Day.Si potrà essere scettici verso queste iniziative, accusarle di buonismo o di perbenismo, ma il fatto stesso che qualcuno abbia sentito l’esigenza di creare un movimento simile merita una riflessione. 

Le abitudini cortesi semplificano la vita, gratificano, distribuiscono segnali di quel riconoscimento di cui tutti abbiamo bisogno: perché dovremmo privarcene?

Non è una faccenda di galateo: è un problema politico di frustrazione individuale e di anomia sociale. Nella gentilezza si può trovare quella forza rivoluzionaria che l’astio e il livore non conoscono.

C’è da pensare che proprio nella mancanza di misura consista la cifra unificante della stagione di eccessi e di incontinenza in cui viviamo da almeno trent’anni. Per nessuno sarà facile riappropriarsi del modello civile di convivenza che è forza della democrazia e fondamento della sua credibilità: pensiero critico senza astio, rigore senza fanatismo, ironia senza schiaffi, pacatezza senza ruffianaggine, energia senza isteria. 

Imbarazzante, una classe dirigente che fa sentire “non popolo” chi sia minimamente beneducato.

Fosse pur stato ipocrita in alcuni, il politicamente corretto discendeva dall’intenzione virtuosa di far convivere le diversità, di diffondere tolleranza. Per questo – non certo per considerazioni lessicali – le destre populiste, interessate a suscitare fobie sociali, lo odiano. Proprio loro, i ‘conservatori’, si nascondono dietro il comodo paravento dell’apertura mentale, dei costumi evoluti e della nuova morale, della strizzata d’occhio postmoderna. “Non sapete nemmeno scherzare!” è una frase che si utilizza spesso per ridimensionare le maschere grottesche, i gesti triviali, ogni trucida gag da cabaret espletata nello svolgimento di incarichi istituzionali. 

L’idea che le istituzioni si debbano aprire alle peggiori pratiche della quotidianità per essere più vicine al popolo è povera e inefficace. 

Il leaderismo finto-plebeo congiunto al voyeurismo televisivo ha forgiato una rozza mitologia della spontaneità, per cui l’abolizione dei freni inibitori si gabella per rivincita degli umili: sbandierata nei comizi, ostentata nei talk show, ha riempito le nostre orecchie di parolacce, le nostre teste di luoghi comuni. Non tutti si accorgono che essa lascia inalterati i ghetti che la vicenda sociale ha creato. Che la volgarità compiaciuta della propria arroganza condanna alla mediocrità e alla subalternità. Che a forza di sciatteria generalizzata, di sottovalutazione del rispetto e dell’attenzione, della precisione e della cura, questo Paese ha un pessimo paesaggio, dei pessimi professionisti, una pessima politica. 

Mentre il nostro lessico si riempiva di parolacce le nostre città si riempivano di rifiuti, le nostre campagne di capannoni, le nostre spiagge di ecomostri. Vale l’eterna massima della filosofia scolastica: iustum, bonum, verum et pulchrum convertuntur.

Se anziché abbandonarsi alla sbornia di totonomine e all’inseguimento dei magheggi di corridoio si dedicasse un po’ di tempo ad abbozzare un identikit del candidato o della candidata ideale per il Quirinale, forse queste riflessioni potrebbero esser tenute presenti. Forse basterebbero per escludere qualcuno, forse potrebbero aiutare a prendere in considerazione figure inusuali. Forse potrebbero risvegliare qualche sussulto di orgoglio in un Paese troppo accomodante.

Pessimi cittadini, gli accomodanti: sono quelli che con desolante cinismo non si indignano mai. Manifestare indignazione – con gentilezza Sassoli lo faceva spesso ed era tutt’altro che accomodante – è un gesto morale ma anche profondamente politico. È un gesto pedagogico di coraggio civile.

***

Articolo di Graziella Priulla

Già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi, Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo, Viaggio nel paese degli stereotipi.

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