La “fangirl isterica”: la demonizzazione della fan dalla Beatlemania a oggi

Nella cultura pop contemporanea, i fan sono un aspetto fondamentale per chiunque crei contenuti: quando piratare musica, libri, film, serie tv, videogiochi, appare sempre più semplice e accettato, fidelizzare un gruppo di persone affinché comprino il tuo prodotto diventa imperativo se si desidera fare carriera in mondi competitivi come quelli artistici e digitali. Questo è vero soprattutto per l’universo musicale: applicazioni come Spotify, Tidal, Apple Music, Amazon Music hanno permesso di accedere a milioni di brani, podcast e contenuti audio tramite un abbonamento mensile. Difficile non essere disposti a spendere pochi euro al mese invece di comprare i Cd o album, sempre più costosi e spesso ingombranti. Una tendenza che sta mettendo in seria difficoltà il mondo della musica, col grosso degli introiti che vanno alle applicazioni musicali, mentre ad artiste e artisti non spettano che pochi centesimi a seconda degli stream ottenuti.

Nell’era pre-Covid, il grosso del guadagno veniva dai biglietti venduti nei tour, non dalla vendita degli album; in alcuni Paesi, fra cui l’Italia, si cercava un’ulteriore entrata in tour promozionali nei negozi di musica, per la firma delle copie degli album fisici previamente acquistati. La pandemia ha posto fine ad entrambe queste pratiche: in molti casi, si è dovuto scegliere fra il fermare la produzione del nuovo album, o pubblicarlo correndo il rischio di andare in perdita. Diventa quindi chiara l’importanza di instaurare un rapporto con persone disposte a pagare il prezzo pieno dell’album anche se disponibile su piattaforme musicali. Nell’era digitale, il legame artista-fan raggiunge intensità e genera implicazioni mai viste prima d’ora. Tuttavia, questo legame non esiste in un vuoto e, come tutto, è influenzato dalle norme e dalle aspettative della società.

In una intervista ai componenti della band 5 Seconds of Summer sulla rivista Rolling Stone, datata 26 dicembre 2015, i membri del gruppo lamentano il non essere presi sul serio come artisti, a causa del fatto che la maggioranza dei loro fan è composta da giovani donne. Quelle stesse giovani donne che hanno permesso loro di raggiungere il successo di cui si vantavano alcuni paragrafi prima. Poco dopo gioiscono dei pochi fan uomini che hanno presenziato ai loro concerti, affermando che sia questo il primo passo per raggiungere il vero successo e il rispetto dell’industria, come accaduto per i Beatles e i Rolling Stones. Anni dopo questa intervista torna saltuariamente agli onori della cronaca, soprattutto quando si discute della differenza di trattamento riservata ai fan di un artista a seconda del genere: dove i fan sono entusiasti, gioiosi, manifestano con calore il loro sostegno al loro beniamino/a, le fan sono urlanti, disagiate, isteriche.

La “fangirl isterica” è un epiteto molto frequente quando si parla di cosa piace alle donne, soprattutto se giovani: gli interessi di una adolescente sono costantemente ridicolizzati, sminuiti, al punto che questa luce negativa si riflette sull’oggetto del loro interesse. Nel caso di un cantante, o di un gruppo di cantanti interamente maschile, se le fan sono per la maggior parte donne, critici ed esperti dell’industria musicale non riescono a prenderle sul serio. A meno che gli uomini non diventino la maggioranza del fandom, come dimostrato da un noto precedente storico. Con il termine “Beatlemania” si intende un vero e proprio fenomeno sociologico e antropologico, da anni oggetto di studio, riguardo l’adorazione e la lealtà incondizionata che le/i fan avevano per i Beatles, la band inglese che rivoluzionò la musica negli anni Sessanta. L’amore per i quattro di Manchester trascendeva estrazione sociale, genere, età, differenze culturali: ovunque andassero, i Beatles erano accolti da assembramenti di folle euforiche, che spintonavano per poter vedere i propri idoli anche solo di sfuggita; ai concerti le urla sovrastavano la musica, le persone svenivano continuamente; qualunque oggetto con sopra l’immagine dei Beatles diventava introvabile in poco tempo. E, soprattutto all’inizio, queste masse erano composte principalmente da ragazze adolescenti.

Mai prima di allora si era visto qualcosa di simile, in nessuna parte del globo, dalla patria dei Beatles fino all’altro capo del mondo: quando i quattro arrivarono in Giappone, la folla entusiasta di ragazze che li accolse all’aeroporto fu oggetto di profondo sgomento per la popolazione locale, che mai aveva visto un gruppo di adolescenti comportarsi in un modo considerato così sconveniente. I media di tutto il mondo giudicavano con malcelato disgusto il comportamento delle fan, spesso sfociando in vere e proprie prese in giro; il fatto che le fan non avessero timore ad esprimere la loro attrazione per i Beatles, anche di natura sessuale, creò scandalo e prese di posizione estreme, al punto che il gruppo fu oggetto di vere e proprie minacce di morte. L’atteggiamento del fandom si rifletteva anche sui Beatles: la società condannava l’influenza che avevano sulle donne, capace di far degenerare in atteggiamenti considerati volgari perfino ragazze rispettabili e di buona famiglia; non si badò ai motivi di una tale passione, specie tra le giovani. Nell’epoca delle proteste studentesche, dei movimenti per i diritti civili, dei primi germogli della seconda ondata femminista, i testi dei Beatles, pieni di malinconia per una generazione che si sentiva tradita dalle promesse dei propri genitori, insofferente verso una società severa e timorata, risuonavano attuali e trascendevano qualunque differenza. Sarebbe bastato essere poco più attenti per comprendere che i Beatles avevano semplicemente dato voce ai disagi di una generazione, ma la società preferì concentrarsi sulle fan, schernendole e cercando di costringerle a tornare nei ranghi della rispettabilità.

Sul finire della carriera del gruppo, la forbice che divideva le fan dai fan andò diminuendo e, proporzionalmente, aumentò il rispetto che la critica musicale e la società avevano per loro. Quando i quattro andarono ognuno per la propria strada, i Beatles erano ormai entrati nella storia come rivoluzionari, i primi ad aver espresso pienamente i pensieri della gioventù degli anni Cinquanta e Sessanta. Tutte cose che i Beatles erano da tempo, e di cui la pubblica opinione si era accorta solo dopo che i maschi erano diventati la maggioranza dei fan.

La Beatlemania fu il primo atto di un rapporto contradditorio fra artisti musicali maschili e le proprie fan, destinato a durare decenni: un artista non sarebbe mai stato preso sul serio se la maggioranza del proprio fandom rimaneva costituito da donne; tuttavia, sono quelle stesse donne, specie le più giovani, le più disposte a supportare i loro beniamini, in ogni modo a loro concesso. Fin dai tempi dei Beatles si assiste a episodi di solidarietà e condivisione assai rari al di fuori del contesto fandom: gruppi di fan si organizzano per analizzare i testi delle canzoni, si fanno traduzioni in più lingue di quei testi di modo che il loro messaggio possa essere condiviso in più Paesi; si impara la lingua madre del cantante, e cresce l’interesse verso il suo luogo di provenienza; in alcuni casi si verifica un beneficio anche per altri artisti provenienti da quel Paese, che possono cogliere qualche fan approfittando di quell’ondata di interesse. Aspetti da sempre presenti, e che internet ha solo reso possibile osservare più da vicino. Inoltre, le fan sono le più disposte a supportare artiste e artisti preferiti con i propri soldi, come dimostrano i tour sold out e il maggior numero di album fisici venduti da cantanti con un fandom a maggioranza femminile. Una tendenza in linea con quanto illustrato da un articolo dell’Harvard Business Review che mostra il potere delle donne in quanto consumatrici: più disposte a spendere degli uomini, e in modo molto più calcolato. Un fattore che fa gola alle case discografiche, che hanno tutto l’interesse a tenersi strette le consumatrici quel tanto che basta per poter ricevere immensi guadagni, spremendo per bene i propri artisti prima di gettarli via al primo accenno di calo di popolarità.

Nonostante ciò, permane la convinzione che solo un largo pubblico maschile può permettere di raggiungere il successo imperituro. Anche se poi a permettere ai Beatles, ma anche ai Rolling Stones, ai 5 Seconds of Summer, e a tanti altri artisti, di poter mantenere il proprio stile di vita sono state centinaia di giovani fan la cui unica colpa era essere entusiaste, in una società che vede con disprezzo qualunque passione di una donna che non sia relativa all’essere madre o moglie. Da più parti viene sottolineato il rapporto inverso fra intensità dell’affetto delle fan per un artista e la durata di questo affetto; ma come si può chiedere lealtà da queste ragazze se in cambio del loro supporto ricevono solo sorrisi forzati e sguardi disgustati, continui commenti su quanto siano pazze, isteriche, degenerate e in ultimo perfino demonizzate? Quanti artisti, una volta raggiunto il successo, smettono di ringraziare il proprio fandom e ne parlano con crescente fastidio, per poi disperarsi quando perdono il supporto? C’è un enorme potere nelle mani delle consumatrici, ma c’è troppo poco rispetto nei confronti delle donne per poterlo conquistare per lungo tempo.

In copertina. I Beatles, anni ’60.

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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