Prima ancora di narrare il suo percorso attraverso i mari del Nord europeo Giulia Salvini si preoccupa di chiarire la natura dei suoi resoconti: si tratta di scritti amatoriali e come tali li propone al pubblico. Nella Prefazione ammette di aver acconsentito alla pubblicazione degli appunti solo in seguito alle pressioni familiari, non per ambizione personale ma per pubblicizzare luoghi tanto affascinanti quanto ancora sconosciuti: «se questi miei poveri scritti, che non hanno alcuna pretesa a lavoro letterario nella loro semplicità, potranno divertire quelli che avranno la bontà di leggerli e far nascere in alcuno di essi il desiderio di vedere coi propri occhi quei paesi che hanno destato in me tanto entusiasmo, e che ho cercato di descrivere alla meglio, il mio libro avrà ottenuto il suo scopo, ed io ne sarò lieta e fiera!». Non possiamo sapere se tali affermazioni siano dettate da una sincera preoccupazione o se si tratti di quella falsa modestia, diffusa negli scritti femminili, che mira alla captatio benevolentiae del pubblico; l’autrice, infatti, non si considera una scrittrice e percepisce la propria inadeguatezza per aver «ceduto alle insistenze di parenti e amici». Il volume è tuttavia ricco di informazioni originali: in questo primo percorso ci limitiamo allo sguardo sulla vita a bordo, dove chi viaggia trascorre la maggior parte del tempo, e all’osservazione dei paesaggi del Nord. La città di partenza è Amburgo da dove, dopo una giornata di compere, un vaporetto conduce i passeggeri sulla Prinzessin Victoria Louise, la prima nave da crociera.

La navigazione procede verso Cristiania per una breve visita, quindi per Göteborg e una gita alle chiuse e alle cascate di Trollhättan. La prima capitale visitata è Stoccolma, dove la nave si ferma due giorni e mezzo «di vero piacere»; segue Helsinki, e qui l’autrice sperimenta le difficoltà causate dal dominio russo. La tappa seguente è il porto di Kronstadt, con le complicate formalità necessarie per l’ingresso in Russia. È il 23 agosto quando i croceristi scendono a terra a San Pietroburgo e proseguono per Mosca, per rientrare poi in Italia attraverso Danimarca e Germania.
La seconda parte del libro descrive il percorso dell’estate successiva: porto di partenza è nuovamente Amburgo, questa volta sul piroscafo Fürst Bismarck, al tempo la nave più grande destinata a viaggi di lusso. L’autrice sottolinea la sua diversa disposizione di spirito, ma sottolinea anche, con un certo orgoglio, l’itinerario eccezionale: è infatti la prima crociera verso l’Islanda e Capo Nord. Da Edimburgo la navigazione procede nella nebbia fino a Kirkwall, nelle isole Orkney, quindi verso l‘arcipelago delle Faröer; dal mare spunta il getto d’acqua di una balena lontana. Il 14 luglio la nave attracca a Reykjavik e la mattina seguente i croceristi sbarcano per una visita alle «sorgenti calde» e al «fiume dei salmoni». Il giorno successivo in città sono organizzate alcune attività in loro onore: un’esibizione musicale con danze in costume, una corsa di pony e uno spettacolo di lotta fra robusti islandesi. Lasciata l’Islanda, ventiquattr’ore dopo viene oltrepassato il Circolo Polare e la navigazione procede nella nebbia fino a Capo Nord, quindi inizia il ritorno lungo la costa norvegese con tappe a Hammerfest, a Tromsø e alle isole Lofoten, pittoresche «oltre ogni dire»; qui il gruppo partecipa a gite e ascensioni, facendo fotografie. Dopo due giorni si risale il Geiranger Fjord fino a Merok, dove turiste e turisti trovano ad attenderli per le escursioni le cariole, le tipiche carrozzelle norvegesi adatte ai sentieri di montagna. È poi la volta del Sognefjord e del Neröfjord fino a Gudwangen, da cui il viaggio prosegue via terra fino a Bergen, utilizzando ancora le cariole verso Stalheim e Vossewangen. Rientrata a Bergen la coppia decide di abbandonare la crociera e proseguire per Cristiania passando per Odda, con il vapore postale che percorre l’Hardangerfjord. Dopo diverse soste sulle montagne del Telemarken, a Skien i coniugi Kapp assistono ai preparativi per il plebiscito che avrebbe proclamato l’indipendenza dalla Svezia. Giungono a Cristiania il giorno seguente: la città festeggia fino a notte, ma all’indomani ha già ripreso il suo consueto aspetto tranquillo e laborioso. Si riparte per raggiungere Uppsala e incontrare gli amici che li ospiteranno a Gefle [oggi Gävle], organizzando visite ai dintorni in battello, in carrozza e a piedi, prima di dirigersi alla volta di Copenaghen, proseguire verso Amburgo e da lì rientrare definitivamente in Italia, dopo circa due mesi di viaggio.
La crociera è caratterizzata dalla presenza costante di Carlo Kapp, il consorte a cui l’autrice è profondamente legata e che la sostiene sia emotivamente che nella pratica quotidiana: non visita nessun luogo da sola, non ha avventure da raccontare se non quelle vissute in sua compagnia e su suo incoraggiamento. Il marito occupa quindi un ruolo insostituibile nel viaggio; la sua presenza è indispensabile, con lui la donna condivide tutti i momenti importanti, a lui delega le decisioni in merito all’itinerario. In questo ambiente nuovo, pur rassicurata dalla presenza di vecchie conoscenze, Giulia è in preda alla malinconia e spesso vorrebbe rinunciare a scendere a terra, ma già a Edimburgo Carlo pianifica la prima escursione nella maniera più adeguata a lei: «[…] pel desiderio che avevo io di non trovarmi in mezzo all’allegra compagnia dei passeggeri, Carlo preferì fare l’escursione ai laghi solo con me, e gliene sono ben grata». Il marito continua anche nelle altre tappe ad assecondare l’umore della moglie, predisponendo le gite o diversificando gli itinerari per aiutarla a svagarsi. Incontri ed escursioni sono quindi filtrati dal consorte, «che non mi perde mai di vista» e condivide con lei anche l’eccitazione di fronte allo spettacolo del sole di mezzanotte a Capo Nord. In ultimo, è ancora Carlo a decidere di lasciare la nave e proseguire via terra. L’onnipresenza del marito influenza il discorso narrativo, determinando l’apparente assenza del punto di vista dell’autrice, che infatti solo nella Prefazione adotta il pronome di prima persona singolare io, mentre successivamente si nasconde dietro un più confortevole noi, che non rappresenta mai direttamente la sua opinione ma comprende la coppia inseparabile, e qualche volta l’intera comunità di chi viaggia con loro. Inoltre, la negazione del proprio io narrante adempie ad un’altra, importante funzione: permette alla scrittrice di adottare un punto di vista impersonale, obiettivo, genderless, più consono al ruolo di cronista che si è assunta. Sarà tale ruolo a permetterle di mantenere una certa distanza, di riconoscersi nell’ambiente di bordo, di considerare con una moderata superiorità, pur sempre benevola ma non per questo meno convinta, i «nativi» con cui viene a contatto. Con questo sguardo Salvini descrive innanzitutto gli altri croceristi: è infatti essenziale, per la buona riuscita del viaggio, crearsi una ristretta cerchia di conoscenze con le quali intrattenersi a bordo e condividere le escursioni sulla terraferma. Già dall’inizio del primo viaggio nel Baltico rivela che, appena il piroscafo è salpato «cominciò la rivista dei nostri compasseggeri, che riuscì soddisfacente, perché sono tutte persone appartenenti alla buona società […] ho già osservato diverse coppie che mi paiono molto simpatiche, e tutt’insieme credo che farà piacere far conoscenza con molti di quei passeggeri». È importante riconoscersi e creare sodalizi fra persone simili, quindi con altre coppie piuttosto che con viaggiatori solitari o gruppi eterogenei. Anche l’anno successivo il suo interesse si rivolge subito agli altri: «già a bordo del tender avevamo passato in rivista i nostri compagni di viaggio, osservando molte fisionomie simpatiche […] scoprimmo fra i passeggeri alcuni dei nostri compagni dell’anno scorso sulla Prinzessin Victoria Louise, il buon sig. R., viaggiatore infaticabile e appassionato fotografo, e un sig. S. poi ancora una conoscenza! il capitano V.L. cugino di una mia cara amica, e così ci siamo ritrovati in buona e simpatica compagnia fin dal principio del nostro viaggio». L’autrice «osserva» le «fisionomie», quindi si basa soprattutto sulle apparenze e mantiene sempre uno stretto riserbo sulle sue conoscenze, delle quali riporta fedelmente gli eventuali titoli onorifici ma mai i nomi, sostituiti dalla lettera iniziale puntata. L’anonimato mantiene la distanza e tutela dal pericolo di un possibile riconoscimento indesiderato da parte di chi legge. Perfino dopo l’incontro casuale di una coppia di amici svedesi a Stoccolma continuerà a indicarli solamente come «i signori R.».
Le persone che si spostano in crociera e si dirigono verso il Grande Nord sono esponenti di un’Europa benestante e cosmopolita, desiderose di vivere “avventure” senza correre pericoli e curiose di visitare le zone meno conosciute, più suggestive e selvagge del Vecchio Continente. Invece il piroscafo rappresenta una residenza rassicurante, protettiva e confortevole, alla quale si fa ritorno dopo le escursioni in un mondo estraneo, interessante ma talvolta anche inquietante, ritrovando un ambiente tranquillo e volti noti. Se rispetto ai compagni di viaggio l’autrice è molto discreta, nelle lettere alla madre si diffonde in lunghe descrizioni della nave, la Victoria Louise: «Il bastimento è tanto carino, elegante e comodissimo; di fuori è tutto bianco con una bella striscia verde alla chiglia che ci sta tanto bene, di forma elegantissima. Anche all’interno è tenuto in colori chiari, con mobili e decorazioni di gusto squisito […] Abbiamo una bella cabina, spaziosa, comoda e ben arredata, come una stanza d’albergo. Figurati che abbiamo due armadi, due lavabi, due grandi cassetti, eppoi attaccapanni e scansie, e perfino due cesti a coperchio per la biancheria sudicia! Spazio abbastanza per tenere i nostri due bauli, due valigie e due sacchette senza che ingombrino. […] I letti pure sono grandi e comodi, e quel che mi piace molto, è che non ci sono letti superiori […] Non parlo poi delle cabine di lusso […] dei veri appartamentini, eleganti, col salottino e ogni comodità». In un’altra lettera vengono descritte le zone comuni: «Qui a bordo si sta bene come non sono ancora mai stata in nessun vapore: tutto è così bello, così comodo, che par d’essere in un albergo di prim’ordine. Il vitto è eccellente, come pure il servizio. […] Il salotto, elegantissimo, spazioso, tutto addobbato di celeste, con quantità di piccoli sofà e poltroncine, permette alla società di stare insieme, o dividersi in piccole comitive, come chi direbbe ognuno nel proprio salottino, contiene uno splendido pianoforte, uno Steinway […] c’è poi il salottino di letture, con una ricca biblioteca e dove sono pure tavoli per scrivere, che è un vero gioiello di eleganza e comodità. Abbiamo anche una sala da ginnastica, con tutti gli apparecchi più moderni, a elettricità, per la ginnastica svedese, c’è il cavallo, con belle selle da uomo e da donna, il quale si muove a elettricità e dà l’identico movimento d’un cavallo vivo, al passo, al trotto e al galoppo, e così per il cammello, e circa altri venti apparecchi tutti utili e divertenti. Ci sono ore per gli uomini e quelle per le signore, e la sala è sempre piena. Il ritrovo più simpatico è sempre la sala da fumo, anche quella tutta nicchie […] ci sono anche dei tavolini fuori dalla sala, ma ben riparati di tettoia e pareti, che noi chiamiamo la veranda, e dove si sta molto bene quando il mare è calmo e non c’è vento. […] Oltre alla coperta principale del bastimento che serve di passeggiata e di soggiorno all’aria aperta, e dove sono schierate tutte le sedie, vi è anche una coperta superiore, che pare una sala […] insomma, la vita a bordo è forse la parte più piacevole del viaggio!». Salvini evidenzia così tutti i dettagli della confortevole navigazione, dilungandosi nel riportare le conversazioni a pranzo o descrivendo la distribuzione delle poltrone sul ponte, o ancora le serate in musica dove, sempre accompagnata dal marito, fa nuove conoscenze.
La crociera è rilassante e divertente; la sera i passeggeri ballano in due punti distinti del ponte, «colla banda e col pianoforte»; oppure si festeggia danzando l’arrivo a qualche meta particolare, con «la metà del ponte preparata, come si fa abitualmente su questi vapori, con tende ornate di bandiere e ghirlande di fiori, e lampadine elettriche a colori». Ogni pretesto è buono per organizzare eventi estemporanei: «una Corte d’Assise in parodia: tre passeggieri erano accusati e processati per caccia illegale al Capo Nord! C’erano i giudici, gli avvocati e i testimoni» e l’atmosfera è rallegrata da giochi di società, soprattutto lo shuffle board in un’apposita sala; due ragazzi, due mozzi, intervengono durante le partite: «due simpatici piccoli mozzi ci raccolgono i dischi, segnano i punti […] ragazzi dai 14 ai 16 anni, tanto carini e intelligenti, che noi abbiamo battezzato Hapag, dalle iniziali della società che hanno sul berretto». Questo termine oggettiva i mozzi con il nome della compagnia di navigazione, mostrando superficialità verso il personale di bordo. Durante la navigazione fra l’Islanda e Capo Nord la nebbia e il freddo costringono spesso i croceristi a rimanere all’interno del piroscafo, ma il passaggio del Circolo Polare è un’occasione per spezzare la monotonia: «Nel pomeriggio […] un fischio prolungato della nostra macchina mi fece correre sul ponte per vedere di che cosa si trattasse. Speravo che fosse in vista un Eisberg, una di quelle montagne galleggianti di ghiaccio che si incontrano sovente a queste latitudini, e che avevo tanto desiderio di vedere; ma invece trovai che si trattava di una mascherata che i marinai sogliono fare al passaggio del Circolo Polare, come fanno al passaggio dell’Equatore. […] Di lì a poco comparve la grottesca processione. Precedeva un araldo con una trombetta, poi tutta la musica che suonava strane melodie; quindi Nettuno col tridente, e accanto a lui sua moglie, entrambi con lunghi capelli, e Nettuno anche con lunga barba, fatti di stoppa. Venivano poi tutte le figure fantastiche del loro seguito; una coppia di negri, un legale, un generale, il dottore, il ciambellano e altri. Con gran sussiego il monarca del mare è andato a salutare il Capitano, e ha fatto poi il giro di tutto il bastimento col suo seguito, distribuendo dignitosi saluti ai passeggieri che applaudivano e ridevano. Scesero poi tutti dal ponte di sbarco; i sovrani cogli alti dignitari salirono sulla piattaforma della cala, mentre gli altri si schieravano intorno. Lì ci furono dei discorsi e dopo quelli si procedette al battesimo del Circolo Polare, che consisteva nel far cadere in una mastella d’acqua tutti i poveri mozzi che si dibattevano, ed erano mandati via tutti bagnati, con un colpo alla parte battezzata. Finita questa cerimonia, un paggio che portava un cuscino pieno di decorazioni si accostò a Nettuno, il quale con gran gravità decorò prima il capitano, poi tutti gli ufficiali e qualcuno dei passeggieri, al tusch della musica e fra gli applausi degli astanti e con non poche risate. Finalmente il buffo corteo nello stesso ordine colla musica in testa, si ritirò e disparve. Tutto serve a rompere la monotonia del viaggio e a divertire i passeggieri». Un evento straordinario per contrastare la noia, che l’autrice non mostra però di gradire, definendolo «una mascherata», avrebbe di gran lunga preferito avvistare un iceberg e non manca di disapprovare il crudele battesimo dei mozzi.
La vita sulla nave non è solo fatta di socializzazione ma anche di sguardi su paesaggi insoliti e affascinanti. Di notevole emozione è l’arrivo a Stoccolma durante il primo viaggio, riportato con toni entusiastici: «È impossibile descrivere la bellezza dell’entrata in Stockholm, pel suo Fjord, tutto sparso d’isolette, grandi, piccole e minuscole, fra le quali si naviga per circa 3 ore, prima di vedere la città. […] Il bastimento si ferma come spaventato da quella vista, e viene a bordo il pilota svedese […] Poi il piroscafo riprende il suo cammino, e va coraggiosamente ad affrontare quella barriera ridente di isolette varie e graziose […] un vero labirinto di isole di tutte le dimensioni, di canali che si aprono da ogni parte, allargandosi come laghi, restringendosi come per non lasciar passare […] tutte quelle isolette sono coperte di boschi rigogliosi, si offrono alla vista tutte verdi, o rocciose, come un bel paesaggio alpestre, con collinette e piccole baie». L’entusiasmo è condiviso da tutti i passeggeri, che consumano «un pranzo sfuriato e sempre interrotto» per correre sul ponte «a guardare, a fotografare, salutare e sventolare i fazzoletti». Chi legge rivive così lo spettacolo emozionante: «La città di Stockholm si presenta stupendamente, sul mare, dalla sua parte più bella, e c’è il vantaggio che si può sbarcare nel punto più centrale e più bello della città – come se a Milano uscendo dalla stazione ci si trovasse in Piazza del Duomo. La sera poi quella parte della città è un vero mare di luci elettriche, tanto è bella e ricca l’illuminazione».
L’arrivo a Helsinki, al tempo città capitale di un granducato soggetto alla Russia, è turbato dal complesso sistema di controllo doganale, particolarmente severo: «Appena ancorati vennero a bordo dei militari e doganieri russi, che stettero lì a far la guardia […] prima che fossero compiute tutte le formalità si persero tre ore di tempo prezioso […] Il tempo era bello, e per fortuna le autorità ci permisero di portare a terra le macchinette fotografiche, perché era giorno di mercato e la grande piazza che dà sul porto era piena di gente, popolani e contadini [corsivi dell’autrice]». Dal ponte della nave viene comunicata nuovamente a chi legge la gradevole immagine della città che si avvicina: «come Stockholm, Cristiania e Gotenburg si presenta subito all’occhio del forestiero che arriva, dalla sua parte più bella, e in questo le città nordiche sono differenti da quelle degli altri paesi, che per lo più hanno nelle vicinanze del porto o delle stazioni, i loro quartieri più poveri e più brutti». L’uscita dal porto è nuovamente connotata dal controllo russo: «il forte di Sveaborg chiude l’entrata alla baia, in modo che nessun battello potrebbe entrare o escire senza il permesso di quella formidabile fortezza»; ma quando il piroscafo si allontana suonando l’inno tutti i soldati escono, salutando in formazione militare mentre la nave abbandona la Fennoscandia e prosegue verso la Russia e verso altre avventure.
La seconda crociera offre un maggior numero di paesaggi naturali affascinanti. L’Islanda rappresenta una meta remota: dal piroscafo Fürst Bismarck, che conduce per la prima volta delle persone in visita all’isola, si scorgono «nevai e ghiacciai di estensione straordinaria […] l’immenso Vatnajökull […] il famoso vulcano Hecla», le isole Westermannen [oggi Westermannaeyjar] «annebbiate» dalla presenza dei numerosissimi uccelli. La giornata di avvicinamento al porto trascorre interamente «guardando, osservando, ammirando» la meta sconosciuta, fino all’attracco, all’una di notte, nell’inconsueta luce crepuscolare. Anche l’arrivo a Tromsø avviene di notte: «alle due del mattino, con un bel sole splendente, il nostro bastimento è stato attorniato da numerose barchettine piene di belle ragazze che vogavano, sole, e che cantavano allegramente». Durante l’operazione si verifica un episodio particolare, che mette in luce un aspetto inatteso: il carattere profondamente empatico dei nordici; infatti, per accogliere il Fürst Bismarck le giovani intonano in coro Wacht am Rhein, un motivo caro al popolo tedesco; a questo canto un passeggero svedese, presto imitato da altri, risponde intonando l’inno norvegese. Quest’ultimo è più di uno scambio di cordialità e stabilisce una simpatia fra cittadini di nazioni confinanti, la Svezia e la futura Norvegia, che stanno per affrontare l’incognita di un referendum separatista.
Le isole Lofoten, «sparse […] in gruppi oltre ogni dire pittoreschi» catturano gli sguardi a bordo e l’autrice e il marito rimangono a lungo sul ponte, confusi dalla quantità di fiordi e sund che separano le innumerevoli isole. Lo stupore assume il sapore della maraviglia manieristica: «[…] ci trovavamo davanti a quel che pareva un capo di lago, chiuso da tutte le parti […] pareva proprio di dover andare contro le montagne! Poi, a poco a poco, sembrava che una di queste a destra o a sinistra si avanzasse, si distaccasse dal fondo, e aprisse un piccolo passaggio, che al nostro avvicinarsi si allargava, e allora si vedeva un nuovo braccio di mare in mezzo ai monti, nel quale il nostro bastimento s’internava maestosamente, scoprendoci nuove viste meravigliose». La vegetazione, a causa del vento, è del tutto assente, ma questo esalta la fisionomia del paesaggio: «le forme di queste isole Lofoten sono varie e bizzarre, e illuminate da quella luce vivida indescrivibile, con quei riflessi sul mare, facevano un’impressione profonda» mentre il sole che scompare «trasforma il mare in un lago di fuoco». La breve permanenza a Capo Nord è nuovamente fonte di emozioni, che ancora una volta viene condivisa solo con il marito: «Quasi tutti i passeggeri erano riuniti attorno alla capanna o all’obelisco, chiacchierando allegramente e ridendo. Questo chiasso e quest’allegria, d’altronde, stuonava, al mio modo di sentire, colla maestà della natura […] Preferii esser sola e mi allontanai dal gruppo […] Carlo ebbe il buon pensiero di seguirmi, e insieme godemmo in silenzio, religiosamente, del grandioso spettacolo che si svolgeva sotto i nostri occhi».
Terminata la crociera, altri paesaggi incantati attendono la coppia; dopo l’impatto visivo con la natura selvaggia l’aspetto della Norvegia interna si mostra invece rassicurante, quasi familiare, poiché ricorda quello ben noto delle vallate alpine. Dal «villaggetto» di Merok si prosegue in cariole, fra montagne «in piena vegetazione», presso cascate «poderose», su strade «ben costruite, ma ripide e strette». L’autrice soddisfa il suo desiderio di fotografare e insiste sull’aspetto pittoresco delle montagne che precipitano nel mare, delle acque limpidissime, dei cieli variopinti: da Vossevangen, che «rammenta le valli dell’Engadina», il panorama non desta più stupore e assume i caratteri familiari della Svizzera. Anche la navigazione lungo l’Hardangerfjord, «rinomato e riconosciuto per essere il più bello della Norvegia» con le sue coste frastagliate e le numerose diramazioni, propone una natura riconoscibile, fatta di «amene valli, ricche di vegetazione e popolate, con molti graziosi paesetti».
Con la permanenza a Odda il viaggio riassume le caratteristiche elitarie della crociera: la rinomata località turistica, «punto favorevole e preferito per il lungo soggiorno, specialmente dagli inglesi», dove anche il kaiser di Germania, Guglielmo II, era solito trascorrere una vacanza, è dotata di diversi alberghi eleganti e consente molte passeggiate sulle splendide montagne circostanti. Lo scenario cambia nuovamente e torna selvaggio quando l’itinerario prosegue nel Telemark, attraverso un paesaggio stupendo punteggiato da soeters, le cascine norvegesi. Il passo Dyreskard è ancora innevato e, lungo la discesa, è addirittura necessario procedere a piedi, essendo la via pessima. Da Dalen finalmente si può proseguire in battello, sul Bandaksvand prima e poi sul canale artificiale attraverso le chiuse, ammirando cascate potenti, finché l’arrivo a Skien, con le sue costruzioni in mattoni, segna il definitivo ritorno alla civiltà e apre la strada verso Cristiania.
In copertina: Kapp Kaiser Wilhelm.
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Articolo di Rossella Perugi

Laureata in lingue a Genova e in studi umanistici a Turku (FI), è stata docente di inglese in Italia e di italiano in Iran, Finlandia, Egitto, dove ha curato mostre e attività culturali. Collabora con diverse riviste e ha contribuito al volume Gender, Companionship, and Travel-Discourses in Pre-Modern and Modern Travel Literature. Fa parte di DARIAH-Women Writers in History. Ama leggere, scrivere, camminare, ballare, coltivare amicizie e piante.