FABRIZIA RAMONDINO, UNA NAPOLETANA COSMOPOLITA

Nel 1981, quando uscì la sua opera Althenopis, Fabrizia Ramondino (Napoli, 31 agosto 1936 – Gaeta, 23 giugno 2008) fu annoverata subito tra le grandi scrittrici del Novecento italiano. Fu premiato il suo talento e il suo legame con la città di Napoli. Era partenopea di nascita e nonostante la sua educazione cosmopolita (visse da bambina a Maiorca dove il padre era console) e i suoi viaggi in tutta Europa, sempre forte rimarrà il suo legame con questa città. Nel 2022 è uscito per Fazi Editore Guerra d’infanzia e di Spagna proprio su questa fase della sua vita. Sostenuta da una madre intelligente e colta, ha avuto modo di girare l’Europa per imparare a vivere, come dirà lei stessa nel libro Taccuino tedesco 1954-2004: «Lavorare significava guadagnare soldi, amare fare l’amore».

Accanto al suo genio letterario va riconosciuto il suo impegno sociale. Insegnò a leggere e scrivere nei Quartieri Spagnoli a Napoli, partecipò alle lotte dei disoccupati organizzati, sempre a Napoli. Questa esperienza è riportata in Napoli: disoccupati organizzati, Ed. Enaudi 1977. Tale formazione culturale la spinse a percorrere altri ambiti. Collaborò ad esempio con il regista Mario Martone per il quale scrisse la sceneggiatura del film Morte di un matematico napoletano, che vinse il David di Donatello nel 1993. E ancora, nel libro L’isola riflessa, Ed. Enaudi 1998, racconterà la sua permanenza a Ventotene e a Ponza. Anche la sua morte fu un fatto fuori dell’ordinario come la sua vita. Morì infatti, dopo una lunga nuotata, sulla spiaggia tirrena, a Itri vicino a Gaeta, dove si era ritirata a vivere.

Taccuino tedesco, di cui ci occupiamo, uscì la prima volta nel 1987 per l’Edizione La Tartaruga, mancante della terza parte. Ci fu un’altra edizione, questa volta completa, a cura di Valentina Di Rosa, Edizione Nottetempo nel 2010. Il libro è diviso in tre parti, in ordine di tempo dal 1954 al 2004. La prima parte tratta del suo primo impatto con la cultura tedesca. Nella seconda parte vengono rappresentati attraverso immagini di persone e di luoghi gli anni Ottanta. Nella parte finale (fino al 2004) la scrittrice parla del suo rientro in Germania, a distanza di tempo, dove si è trasferita a vivere la figlia Livia. L’opera è complessa e raccoglie in forma diaristica il rapporto della scrittrice con la cultura tedesca in cinquant’anni. Ma è qualcosa di più di un diario, forse una guida turistica raffinata e a tratti poetica, da tenere con sé quando si viaggia ancora oggi in Germania, ora che non portiamo più in tasca guide turistiche ma usiamo internet. Il libro ci fa conoscere l’anima vera e palpitante dei tedeschi, mescolando stupendi paesaggi geografici e complesse storie umane. La scrittrice ebbe modo di incontrare tedeschi dell’Ovest e tedeschi dell’Est, di visitare Berlino prima e dopo la caduta del muro, nel 1989.

Entrando nello specifico, Fabrizia Ramondino da giovane arrivò in Germania con il cugino: visitò per prime le città di Francoforte, Herdelberg e Monaco di Baviera, nelle quali soggiornò per qualche tempo. Studiò con passione la lingua tedesca, visse accanto ai suoi coetanei germanici. Così racconta: «Io e Veronika partimmo per una settimana intera con lo zaino, il sacco a pelo, un cartone di provviste, per boschi e villaggi, lei era appena tredicenne. Ritrovavo la gioia della bicicletta che avevo sperimentato in Francia e che non si può usare a Napoli. Dormivamo nel più folto dei boschi oppure in ostelli della gioventù, case di contadini, foresteria di conventi. Non incontrammo mai il lupo cattivo». Nelle sue narrazioni emerge uno sguardo attento alla condizione femminile e alle differenze culturali tra i due paesi, l’Italia e la Germania. Ci dice che le ragazze sono lasciate più libere, si vestono in modo comodo e sportivo, stanno in compagnia dei loro coetanei maschi. E ironicamente afferma: «Non somigliano ai nostri ragazzi del film Il tempo delle mele, ma a quelli di Il posto delle fragole, il grande film di Bergman». Nella terza parte del libro Fabrizia Ramondino è di nuovo a Essen Werden, per andare a trovare sua figlia che abita in Germania e studia danza con Pina Bausch. Livia ha la stessa età della madre, quando per la prima volta venne in questo paese. Questa volta è sì in versione materna, con coperte e vestiti pesanti per affrontare il rigido clima del luogo, tuttavia continua a spiegarci come l’espressionismo poteva crescere solo in terra tedesca, culla del romanticismo. Riporta l’esperienza della Comune abitativa, tipico modo di vivere ancora molto diffuso non solo tra gli studenti, sia per la carenza di abitazioni sia per non rimanere soli. Il popolo tedesco non ha forti legami familiari, ragazzi e ragazze escono di casa e sono autonome molto presto, al contrario della cultura italiana familistica e protettiva. Come nelle migliori tradizioni di viaggio del passato, accanto a immagini e a osservazioni, ci dirà che «I viaggi servono spesso a capire meglio il proprio paese piuttosto che quello che si visita».

Insomma viaggia fuori e dentro di sè come una vera flaneur. Proprio in questa sua variegata produzione sta la sua eccezionalità. Tanto che il comune di Napoli le ha dedicato nel 2021 un luogo nel centro antico della città, le rampe che tagliano la salita Pontecorvo, appena sopra il lago Tarsia, un luogo amato e frequentato dalla scrittrice. La figlia Livia Fabrizi ha partecipato all’evento e ha sollecitato la raccolta di tutti gli scritti della madre in un’opera unica da pubblicare in un Meridiano della Mondadori.

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Articolo di Luciana Marinari

Insegnante di scuola primaria per quasi quarant’anni, ha conseguito nel 2010 il Master Insegnare italiano agli stranieri presso la facoltà di Lingue di Urbino. Studiosa del pensiero della differenza, ha frequentato seminari di lettura e scrittura con Gabriella Fiori, studiosa di Simone Weil. Relatrice a incontri culturali sul tema della differenza, ha pubblicato articoli su riviste specializzate. Insegna italiano per stranieri presso il comune di Senigallia (AN) dove risiede.

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