Mai come questa volta il titolo della rivista di geopolitica che ci accompagna nell’analisi del conflitto Russia/ Ucraina-Nato è stato più indovinato. Quando eravamo giovani, come ricorda Caracciolo nel videoeditoriale di presentazione del numero di giugno di Limes, c’era la cortina di ferro, che separava le zone di influenza sovietica e atlantica dell’Europa. Si trattava di un equilibrio di pace, perché americani e sovietici rispettavano rigidamente le reciproche zone di influenza e perché c’erano alcuni Paesi cuscinetto tra le due parti della cortina di ferro che avevano scelto la neutralità. Dopo il conflitto in atto tra Russia e Ucraina l’immagine che traduce la situazione dei rapporti all’interno dell’Europa è quella dell’acciaio, una lega molto più forte e pericolosa del ferro, evocata probabilmente anche dall’assedio e dalla sconfitta del battaglione Azov nell’acciaieria Azovstal, la più grande d’Ucraina e tra le più grandi d’Europa. Inoltre con la richiesta di ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia non esisteranno più zone di neutralità e questa è una svolta epocale. La Finlandia era neutrale dalla seconda guerra mondiale, dopo la Guerra d’inverno in cui era stata colpita dalla Russia e la Svezia lo era dal 1809, distrutta dai russi zaristi allora, dopo avere rinunciato per sempre al suo ruolo di grande potenza. L’editoriale di Caracciolo sottolinea che europei e americani e russi non si parlano e quando si parlano si capiscono pochissimo.
Attraverso gli articoli di questo numero ci si domanda se la situazione attuale sia solo temporanea e una volta terminate le ostilità si potrà tornare a parlarsi o se dovremo abituarci alla cronicizzazione di queste tensioni estremamente pericolose. Sta di fatto che il primo numero di Limes dopo l’invasione dell’Ucraina, La Russia cambia il mondo, recensito nei numeri 160 e 161 di vitaminevaganti, conteneva già nel titolo quello che sarebbe successo: uno sconvolgimento degli equilibri preesistenti e un nuovo ordine mondiale, in cui nulla sarebbe più stato come prima. Come sempre nella rivista di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo le voci sono diverse: ucraine, americane, russe, cinesi, giapponesi, italiane, perché la geopolitica ci abitua a guardare gli avvenimenti e conflitti «con gli occhi degli altri e delle altre» per poterli comprendere senza la deformazione di lenti inadatte e lo strabismo dello sguardo occidentale. Chi scrive su Limes non sempre è un analista geopolitico, spesso è un/una parlamentare, uno/a studioso/a di relazioni internazionali, un/una docente, per allargare lo sguardo e non limitare l’approccio alla geopolitica strettamente intesa. L’interesse per questa disciplina e la presenza di esperti ormai in tutti i talk show ha inevitabilmente suscitato critiche sui media nei confronti di questa disciplina, che è interessante leggere per scoprirne le argomentazioni.
La copertina della cartografa Laura Canali, creatrice della geopoesia, disegna la cortina d’acciaio che simbolicamente è rappresentata dal fiume Dnepr che taglia in diagonale l’Ucraina e riproduce la divisione dell’Ucraina durante questa guerra. In blu è disegnato il fiume. La vite, che ricorre spesso in Limes, lo imbullona in mezzo tra i due campi che separano il fiume Dniepr, che sono a sinistra l’Europa e a destra un pezzo di Russia; la Russia è colorata con un rosso strano e l’Europa con un giallo altrettanto strano, in tonalità mat, mentre la copertina è divisa in due parti dal colore lampone che dovrebbero mettere in luce i numerosi bulloni della cortina d’acciaio. Le mappe di Canali all’interno del volume sono come sempre accuratissime e riproducono il contenuto e il punto di vista degli autori e delle autrici degli articoli. Le parti di questo numero 5 di Limes sono tre: Dal ferro all’acciaio in cui si indagano le implicazioni strategiche della guerra sul rapporto Russia-Europa e sugli schieramenti globali; Guerra senza limiti in cui si approfondiscono lo stato attuale del conflitto e i rischi di escalation incontrollata; La Germania corre alle armi, e gli altri? In cui ci si domanda quali conseguenze avrà il riarmo tedesco.
Voto condanna Onu
Partiamo dalla prima parte di questo numero, per vedere quali e quanti effetti farfalla l’invasione russa dell’Ucraina abbia prodotto e stia producendo. L’Occidente nella trappola di Narciso è l’articolo di Romano Ferrari Zumbini che, partendo dall’esito della votazione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che ha escluso dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu la Russia, votazione in cui non si sono espressi in modo favorevole Stati come Brasile, Cina, Egitto, India, Pakistan, Sudafrica, riflette sulla difficoltà dell’Occidente di mettersi nella testa dell’altro.

Fra l’Occidente e diverse parti del pianeta c’è profonda incomunicabilità perché l’Occidente pretende di imporre il suo modo di pensare a tutti i Paesi del mondo, dimenticando il principio di realtà in senso storico e correndo il rischio di non capire più la Storia. Un’analisi estremamente interessante che mette sotto inchiesta i valori dell’illuminismo e che merita un’attenta lettura. Federico Petroni esamina la posizione degli Stati Uniti, i veri interlocutori di Putin, nei confronti della Russia, dall’inizio del conflitto ad oggi. Il nuovo direttore della scuola di Limes ricorda che i miliardi stanziati dagli Usa per il sostegno all’Ucraina sono 40 e che i militari americani in Polonia, ormai promossa a Gendarme degli Usa, sono passati da 4.600 a 12.600. Molte voci autorevoli, tra cui Kissinger, la direttrice nazionale dell’intelligence Avril Haines, Charles Kupchan e Anne-Marie Slaughter, amici intimi della classe dirigente bideniana, ammoniscono di non umiliare Putin e non distruggere la Russia, anche perché se lo Stato che ha il più grande territorio del mondo, undici fusi orari e seimila testate nucleari implodesse, le varie realtà che lo compongono potrebbero esplodere e avere accesso alle armi nucleari, senza più il controllo della Grande Madre Russia. E comunque in questo modo la Russia finirebbe nelle braccia della Cina o potremmo vedere il suolo d’Europa coinvolto in una guerra nucleare.
Un inaspettato effetto farfalla si è avuto anche sul Giappone. L’articolo del docente Suzuki Kazuto ce lo spiega molto bene in Al Giappone non basta più l’autodifesa. Del saggio nipponico mi piace ricordare l’articolo 9 della Costituzione dell’Impero del Sol Levante, scritto dopo che il popolo giapponese aveva sperimentato sulla propria pelle la tragedia delle bombe di Hiroshima e Nagasaki sganciate dagli americani per porre fine alla seconda guerra mondiale, dove 90mila persone erano state bruciate dalle radiazioni. Ecco il testo dell’articolo: «Aspirando sinceramente a una pace internazionale basata sulla giustizia e sulla legge, il popolo giapponese rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano nazionale e alla minaccia o all’uso della forza come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. In modo tale da adempiere a quanto previsto dal precedente comma, il Giappone non disporrà di Forze di terra, mare, aria e di ogni tipo di strumento di guerra. Il diritto di belligeranza dello Stato non è riconosciuto». Inoltre, la prefazione ai capitoli costituzionali afferma: «Noi, il popolo giapponese, desideriamo la pace perpetua, siamo consapevoli degli alti ideali che muovono le relazioni umane e decidiamo di salvaguardare la nostra sicurezza ed esistenza confidando nella giustizia e nella lealtà dei popoli pacifici del mondo. Desideriamo occupare un posto di rilievo nella società internazionale battendoci per il mantenimento della pace, l’allontanamento della tirannide e della schiavitù, dell’oppressione e dell’intolleranza sulla Terra per sempre. Riconosciamo il diritto di tutti i popoli del mondo a vivere in pace, liberi dalla paura e dalla povertà». Ognuno può leggere in queste parole la posizione assolutamente pacifista della Costituzione giapponese, molto più radicale dell’articolo 11 della nostra Costituzione che disegna un’Italia «operatrice di pace», come la definì Dossetti. Ma la guerra attuale sconvolge il pacifismo della Costituzione nipponica anche per la paura che il popolo giapponese ha dell’invasione di Taiwan da parte della Cina, in un momento in cui il nemico storico statunitense è distratto dalla guerra in Ucraina. E La Turchia, con giochi di alta acrobazia, corteggiata da Usa, Russia e Cina, si sta preparando «ad entrare nel girone delle potenze globali», come ha affermato il Ministro degli esteri turco.
A proposito della posizione della Cina sul confitto in corso è molto interessante la trascrizione del discorso di Gao Yusheng (ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese in Ucraina tra il 2005 e il 2007). Stranamente questo documento, secondo cui in Ucraina la Russia sarebbe prossima alla disfatta e presto ci sarà un nuovo ordine mondiale ricompattato intorno agli Usa, in funzione anticinese, dopo essere stato pubblicato sul Web è stato poi rimosso – da Phoenix News Media, società parzialmente controllata da Pechino. Interessantissimo il punto di vista russo sulla Nato, espresso molto chiaramente da Andrej Kortunov, Direttore generale del Russian International Affairs Council (Riac), nella bella traduzione di Martina Napolitano.
La Nato Baltica
Nato, il nemico utile è l’articolo che ci ricorda che in settant’anni, con otto allargamenti, la Nato è passata da venti a trenta Stati membri. Con l’ingresso di Finlandia e Svezia l’allargamento porterà ancora più vicino al confine russo l’organizzazione militare atlantica, «che trasforma il Baltico in un lago interno della Nato. Ciò obbliga Mosca a incrementarvi la sua presenza navale e a dislocare ulteriori forze anti-aeree e sistemi missilistici nella regione di Pietroburgo e a Kaliningrad […] Dato che il confine terrestre tra Russia e Nato raddoppia, il Cremlino si sentirà obbligato a spostare ulteriori forze e mezzi lungo il confine finlandese e a modernizzare le infrastrutture militari […] La situazione strategica cambia anche nell’area artica, dove Mosca dovrà fronteggiare in solitaria un Occidente compatto. È a rischio il futuro del Consiglio artico, considerato per anni esempio lodevole di protezione dell’Artide dagli scontri geopolitici».

L’elefantiasi della Nato può rappresentare un grosso problema per la Nato stessa, che secondo Kortunov potrebbe implodere, crollando sotto il proprio peso. «Se si dà credito a Napoleone Bonaparte, «tutti gli imperi muoiono per indigestione» – e non dimentichiamoci che fino a poco tempo fa il Presidente Macron ne aveva decretato la «morte cerebrale». «Niente lascia supporre che il Patto Atlantico faccia eccezione. Secondo lo scrittore e storico inglese Cyril Northcote Parkinson, il trasferimento della Nato in un quartier generale nuovo e sfarzoso (costato una cifra esorbitante ndr) è chiaro sintomo di opulenta decadenza». Meglio puntare, secondo l’analista russo, sull’Osce come organizzazione futura, sul rafforzamento della Pesco (Politica di sicurezza e di difesa comune) dell’Unione europea, mentre la Russia penserà alla sua sicurezza e starà a guardare, ben consapevole che gli Usa vogliono tornare a un mondo unipolare, in cui l’Occidente si compatti dietro il suo scudo e che la russofobia oggi è particolarmente diffusa. Kortunov sostiene l’importanza del valore della neutralità e afferma che per ogni Stato che aspiri ad aderire alla Nato sia invece molto più conveniente entrare a far parte dell’Unione Europea.
Nuova cortina d’acciaio settore Nord
Il punto di vista polacco sulla guerra emerge da una intervista di Greta Cristini con il redattore e membro del Centro studi del Klub Jagielloński, in cui la russofobia e il filoamericanismo dei polacchi sono apertamente dichiarati, come anche la loro intenzione di diventare il gendarme statunitense in Europa e la loro speranza che la Russia perda la guerra e sia completamente isolata e distrutta, anche dal punto di vista economico, senza dimenticare che i rapporti tra i polacchi e gli ucraini nella storia non sono propriamente stati di grande amicizia.

Per gli Ucraini Stepan Bandera è un eroe, mentre per i polacchi un criminale condannato a morte e poi accusato di alto tradimento e nessun polacco può dimenticare che cosa è successo a Volinia. La russofobia è confermata anche dal saggio del danese Milosz J Cordes, il Baltico torna strategico.
Baltico, lago atlantico
Una delle conseguenze dell’invasione russa in Ucraina è stata la richiesta di adesione alla Nato della Svezia, che, prendendo spunto dalla Finlandia, si appresta ora ad entrarvi, con le implicazioni messe in luce da Magnus Christiansson, esperto di sicurezza nel Baltico.

L’opposizione di Erdogan è «un modo gentile per segnalare che non approva la politica svedese sui curdi di Siria e di Turchia». Ricorda l’autore del saggio svedese: «La guerra in Ucraina ha eretto due totem nella politica svedese: Volodymyr Zelens’kyj è divenuto una sorta di Che Guevara del centro-destra, Sanna Marin è assurta a spauracchio della sinistra. Il meccanismo venutosi a creare ricorda la favola dei tre porcellini: il maiale pigro Timmy (la Svezia) prova a fare squadra con Tommy, il più svelto maiale violinista (la Finlandia), per difendersi meglio; ma quando arriva il grande lupo cattivo, Tommy trascina il confuso Timmy nella robusta casa di Jimmy, il maiale pragmatico (la Nato)».
Nella conversazione con Erkki Tuomioja, membro del parlamento finlandese già ministro degli Esteri del governo di Helsinki, si ha modo di scoprire quali sono le motivazioni della richiesta del Paese nordico nella Nato, preoccupato dall’invasione russa dell’Ucraina ma non al punto da temere un attacco sul proprio territorio, anche perché nella narrazione putiniana, condivisa dalla maggioranza del popolo russo, la Finlandia non ha mai fatto parte del russkij mir (mondo russo), diversamente dalla terra di confine, in cui sarebbe nata la protoRussia e dalla Russia Bianca (Bielorussia). I finlandesi si sentono occidentali, da sempre. «Siamo stati e restiamo fermamente convinti dell’importanza di valori come la democrazia, i diritti umani, lo Stato di diritto – afferma Tuomioja – e secondo me lo siamo molto più degli Stati Uniti stessi.
La differenza tra gli Usa e la Russia è che nei primi sono i miliardari a scegliere chi diventa presidente, mentre nella seconda è il presidente a scegliere chi diventa miliardario». Lo Stato che ama definirsi nordico ha una forte difesa nazionale da portare nella Nato, ha la leva obbligatoria e può mobilitare un’addestrata riserva di 280 mila soldati, «molto più di quanto ormai possano fare i maggiori paesi europei». Tuomioja ha come modello la Norvegia, che esclude lo stazionamento permanente di truppe straniere sul proprio territorio e si oppone alla dislocazione sullo stesso di armi nucleari. Entrare nella Nato per i finlandesi non significa dover rinunciare alla possibilità di aderire al trattato dell’Onu sulla proibizione delle armi nucleari.
Molto diverso il punto di vista di due docenti dell’Università di Torku, Luigi G. De Anna e Nicola Guerra, che ricordano ne La profezia di Koivisto: così la Finlandia abbandona la neutralità, proprio le parole dell’ultimo rappresentante di una classe dirigente fedele alla linea neutralista: «Se uno si inchina da una parte mostra il didietro all’altra». Secondo i due studiosi, il dibattito sulla guerra per procura tra Usa e Nato via Ucraina in Finlandia ha caratteristiche differenti da quello in Italia, dove le opinioni possono divergere, la discussione è di conseguenza vivace, i commentatori si scontrano, magari aspramente. Ciò che regola l’opinione pubblica finlandese è l’emotività.
L’opinione si forma non in base a un’analisi documentata, attinente ai reali problemi legati alla situazione attuale, ma in relazione a una antica memoria: la Russia come nemico storico con una narrazione dei media tutta concentrata su quanto accade in Ucraina, che crea una «psicosi di guerra» ingiustificata. L’abbandono della neutralità finlandese, (sulla cui storia i due docenti si soffermano nel loro saggio), che era diventato un modello da studiare, che aveva preso il nome di «finlandizzazione», non è una scelta ponderata per uno Stato che dipende per il 94% dal gas russo e ha una forte dipendenza energetica e di tecnologia nucleare dall’Orso russo. Sembra piuttosto essere stato deciso per una reazione emotiva dopo l’invasione dell’Ucraina e su forti pressioni di Nato, Usa e Unione Europea. E sulla volontà dei giovani finlandesi di prendere parte ad operazioni militari, nonostante la leva obbligatoria, i due studiosi italiani nutrono seri dubbi.
L’isolamento di Kalinigrad
Nella seconda parte del volume un’intervista a Oleksij Arestovyč, consigliere del capo dell’Ufficio del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, mostra quanto siano lontane le posizioni ucraine e russe e quanto grande sia il desiderio del popolo ucraino di isolare la Russia perché non possa più nuocere, anche e soprattutto con la collaborazione di americani, britannici ed europei, e come la prospettiva di una vittoria su Putin e il popolo russo sia ritenuta possibile, con la proposta di costituzione di un’organizzazione militare alternativa alla Nato, l’ U-24’.

Di parere completamente opposto Sergej Karaganov, presidente del Consiglio di difesa e politica estera russo e preside della School of International Economics and Foreign Affairs presso la National Research University-Higher School of Economics di Mosca, intervistato da Moscatelli e Caracciolo. In questa conversazione emerge chiaramente la volontà di vittoria della Russia, che assegna all’Occidente la responsabilità della prosecuzione di questa guerra, dovuta all’invio delle armi all’Ucraina. Il numero di giugno di Limes è stato scritto quando la Russia sembrava stesse perdendo.
Nel frattempo è iniziata la conquista del Donbass da parte delle milizie russe e filorusse e le posizioni di Biden sembrano in parte cambiate, insieme a quelle di Draghi e di Scholz, sempre più vicini a Macron, che, ricordiamolo, solo due anni fa aveva affermato che l’Europa si estende da Lisbona a Vladivostock. Anche il New York Times il 14 giugno apriva così: «L’armare l’Ucraina non sta cambiando la situazione. La risposta è un maggior numero di armi, come dice l’Ucraina, o un’amara tregua?»
https://www.nytimes.com/2022/06/13/world/europe/ukraine-weapons-europe-peace.html.
Faglie europee nella guerra d’Ucraina
Giovedì 16 giugno è stato previsto un incontro di Macron, Scholz e Draghi con Zelens’kyj, che sta cercando di paragonare la sorte dell’Ucraina a Taiwan e la invita a difendersi da un possibile attacco della Cina. Ci spostiamo in Unione Europea per esaminare un che, dopo avere descritto la situazione economica del paese iberico, racconta l’intenzione della Spagna di far parte del cosiddetto Euro Quad, che, sulla falsariga del Quad (Dialogo di sicurezza quadrilaterale di cui fanno parte Stati Uniti, Giappone, Australia e India, nella zona dell’Indo-Pacifico) si sta formando tra Francia, Italia e Germania.

Madrid vorrebbe stipulare trattati bilaterali con le tre potenze europee che si differenziano dai Paesi orientali dell’Unione Europea, fortemente antirussi e russofobi, cercando di mantenere aperto un dialogo sia con Mosca che con Kiev. Ma molte altre sono le ragioni per far parte dell’Euro Quad: «Madrid ambisce a far parte di un raggruppamento con Italia, Francia e Germania che agisca da motore primo dell’Ue. Un nucleo duro formato dai pesi massimi continentali che funga da vero centro decisionale dell’Unione nei prossimi anni […] per imprimere un’accelerazione all’iter d’integrazione in ambiti cruciali quali la difesa, le politiche energetiche, le strategie industriali e idealmente (meglio: di conseguenza) il fisco» Siccome tra le tre potenze il peso economico e geopolitico non è uguale, Madrid vorrebbe potenziare la dimensione triangolare del suo rapporto con Francia e Italia quale contrappeso alla Germania, che dovrebbe essere indotta a fare in modo che le politiche neokeynesiane diventino la regola e non più l’eccezione nei periodi di emergenza, come la guerra e le pandemia, da abbandonare a favore di politiche deflattive «che sacrificano benessere e status sull’altare dell’export tedesco». Già nel giugno 2021 a Barcellona, in apertura del 18° Foro di dialogo Italia-Spagna, Sánchez ha definito la cooperazione con Roma «cuore della Ue», mentre Francia e Germania ne sarebbero «il polmone»: una metafora che in sostanza sta a significare che sono i paesi mediterranei, con la Francia in cruciale posizione di perno, a dover dare un’impronta umana «alla spietata aritmetica renana».
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Articolo di Sara Marsico

Ama definirsi un’escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la c maiuscola. Docente per passione da poco in pensione, è stata presidente dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano e referente di Toponomastica femminile nella sua scuola. Scrive di donne, Costituzione e cammini.