Una stanza tutta per te. Punto di vista narrativo e voce della storia

Il punto di vista narrativo
Chi scrive una storia non può esimersi dallo scegliere un punto di vista narrativo. Rispetto ai personaggi e alla trama, la visuale che l’autore o l’autrice scelgono per raccontare sembra l’elemento meno importante, invece è vero il contrario: un uso sciatto del punto di vista rovina il fluire della scrittura e rende illeggibile il senso di tutto il resto. Un abile uso del punto di vista accentua l’identificazione di chi legge con i personaggi, valorizza la storia e intensifica il piacere della lettura. In qualsiasi parte della storia, c’è un punto di vista: è l’ottica dell’autore/autrice o del personaggio che racconta in quel momento e corrisponde alla posizione della macchina da presa nell’inquadratura di un film. Anzi, è molto di più: è la coscienza attraverso cui è filtrata l’azione della storia, oltre che una sorta di macchina fotografica multidimensionale che vede e può anche sentire, annusare, toccare, interpretare.

Ci sono molti modi per raccontare, ogni approccio è diverso e dipende dall’angolazione scelta da chi costruisce la storia. La scelta che si decide di effettuare dà origine a stili, atmosfere e registri particolari, creando partecipazione emotiva o suspense da parte dei lettori e delle lettrici.
In sintesi, il punto di vista va affrontato ponendosi le seguenti domande:
1. La storia appartiene a una/un narratore esterno o a qualche personaggio?
2. Chi è il più coinvolto/a o, meglio ancora, chi determina la maggior parte degli eventi nella storia?
3. Da quale distanza sono focalizzati gli avvenimenti?
Raccontare in prima persona – come autore/autrice o nelle vesti di un personaggio – consente di esprimersi con immediatezza e anche con profondità, perché si possono riferire in modo sottile pensieri, dubbi, incertezze che affiorano alla coscienza. Il narratore o la narratrice in prima persona corrispondono spesso al/alla protagonista e il lettore e la lettrice possono facilmente identificarsi con le sue vicende.

C’è poi la narrazione in seconda persona che non è molto dissimile dalla prima, per quanto riguarda la possibilità di esprimere in modo immediato pensieri, sensazioni, desideri e paure del protagonista. C’è chi lo ha definito un punto di vista “narcisistico”, perché il personaggio invece di raccontare ai lettori/lettrici si limita a descrivere il modo in cui chi narra sente il coinvolgimento nelle vicende descritte. La narrazione in seconda persona era una sorta di monologo interiore in voga negli anni Ottanta (si pensi a Le mille luci di New York di Jay Mc Inerney e a Tutto da sola, i racconti di Lorrie Moore) ma non ha avuto un grande seguito, probabilmente perché il rivolgersi a sé stesse/i lasciava fuori i lettori, le lettrici e non coinvolgeva molto.

Commedia cosmopolita. Dipinto di Gabriella Maramieri

È molto più diffuso il racconto in terza persona che, rispetto alla prima e alla seconda persona, offre più libertà di movimento, anche se apparentemente crea maggiore distanza tra lettori, lettrici e personaggi. Il racconto in terza persona può essere limitato (nel caso il punto di vista si limiti alla narrazione di un solo personaggio) oppure onnisciente (quando la narrazione è in completa libertà e riguarda tutti i personaggi, la vita presente, passata e a volte futura). In questo caso, l’autore/autrice è onnisciente, perché sa tutto di tutti. Può intervenire anche a commentare le vicende con battute ironiche, osservazioni etiche o di altro tipo, persino con suggerimenti e consigli rivolti ai suoi personaggi.

Il punto di vista può cambiare nel corso della storia, oppure restare sempre lo stesso. A volte è un po’ come se si scegliesse da solo, in base al tipo di storia. Altre volte invece non è facile lasciarlo emergere. Quando si rischia il blocco narrativo, ci si può chiedere: 1. Di chi è la storia? 2. A chi appartengono gli occhi che osservano le vicende narrate? 3. Chi è il personaggio che occupa il maggior numero di pagine?
Una buona regola è quella di scegliere il punto di vista di cui si “ha bisogno”, in quanto funzionale alla storia narrata (tema trattato, genere letterario, tipo di protagonista, caratteristiche dei personaggi).
Per maggiore chiarezza, usando la metafora delle riprese cinematografiche, possiamo riassumere i principali punti di vista narrativi in:
– prima persona: la macchina fotografica è nella testa del/la protagonista o di un personaggio principale del romanzo che può rivolgersi direttamente ai lettori, alle lettrici e portarli dentro la storia – scherzando con loro, scusandosi, spiegandosi per cercare di convincerli/le di qualcosa e assumere un tono colloquiale, come se il narratore e la narratrice si sedessero con amici e amiche in salotto; questo non significa, tuttavia, che non si possa usare, al contrario, un tono neutro o addirittura distaccato. Come ho già accennato, la prima persona dà un grande senso di immediatezza, ma presenta l’inconveniente che l’io narrante conosce in modo approfondito soltanto sé stessa/o e può raccontare solo i fatti che rientrano nella propria sfera di conoscenza. Degli altri personaggi e dello svolgimento della storia potrà solo riferire ciò che vede, ciò che immagina e che riesce a sapere da qualcun altro/a. Altro grande limite: lo svolgimento degli eventi progredisce solo attraverso le sue azioni;
– seconda persona: è quasi come la prima persona, la macchina fotografica è nella testa del/la protagonista o di un altro personaggio che racconta la storia. Ma c’è una differenza: invece di rivolgersi a chi legge o a un altro personaggio del romanzo, la narratrice o il narratore si rivolgono a sé stessi/e. Un po’ come quando ci congratuliamo o lamentiamo con noi stessi/e, ignorando totalmente l’opinione di chi abbiamo accanto;
– terza persona: la macchina fotografica si trova nella testa di un personaggio che viene indicato/a con il suo nome. Qui, c’è maggiore libertà narrativa e si possono seguire due vie principali: 1. Il narratore o la narratrice assumono un punto di vista onnisciente e dispongono della massima autonomia, sia nel ruolo di protagonisti/e che di tutti gli altri personaggi; possono intervenire anche a commentare gli accadimenti e le azioni dei personaggi con valutazioni, suggerimenti, consigli, battute ironiche (I Promessi sposi ne sono un esempio classico, accanto a tanta narrativa dell’800); 2. Il narratore o la narratrice assumono il punto di vista del/la protagonista, di un personaggio (o anche più di uno), ne riferiscono volta per volta le azioni, i discorsi, i pensieri (si pensi al classico racconto impersonale di tipo naturalista o verista) puntando all’oggettivazione assoluta senza comparire affatto. Vale la pena osservare che con un’operazione opposta all’oggettivazione, alcuni autori e autrici hanno interiorizzato il punto di vista della coscienza profonda del personaggio, trascrivendo pensieri e sensazioni nella forma immediata in cui si presentano alla mente (la cosiddetta tecnica del flusso di coscienza o monologo interiore nell’Ulisse di Joyce).

Composizione con dialogo. Dipinto di Gabriella Maramieri

Scrivere significa procedere per tentativi, errori ed è fondamentale esercitarsi per comprendere l’enorme importanza del punto di vista. Oltre alle scoperte e alle intuizioni personali, esistono alcuni trucchi utili per aggirare i limiti del punto di vista della prima persona. Ad esempio, inserendo nella storia principale altre storie, lettere, blog, pagine di diario, oppure adottando la cosiddetta prima persona multipla, in cui ogni personaggio racconta la propria storia, attraverso lo scambio di e-mail, messaggi sul cellulare o altro con altri personaggi. Chi sceglie quest’ultima tecnica vuole che siano il lettore e la lettrice a trarre le conclusioni dalle tante prospettive diverse delle varie voci narranti; c’è però il rischio che vada perduto il punto di vista del/la protagonista della storia.
Una cosa è certa, agli occhi dei lettori e delle lettrici, le cose sembrano diverse a seconda di chi le racconta. Il punto di vista scelto per la propria storia è la cosa che influenza maggiormente il modo in cui chi legge reagirà emotivamente ai personaggi e alle loro azioni. Ad esempio, immaginate la storia che parla di un triangolo amoroso: come sarebbe la vicenda raccontata dal punto di vista del fidanzato mollato la vigilia di Natale? Come sarebbe, invece, la stessa storia raccontata dal punto di vista della ragazza infedele, che magari viene trascurata da anni? La storia potrebbe essere raccontata anche dal punto di vista del nuovo fidanzato di lei, un giovane di profondi sentimenti che cerca una ragazza da amare con tutto il cuore.
Un altro elemento importante da considerare, quando si sceglie il punto di vista, è la distanza dalla quale sono osservati gli eventi: 1. distanza emotiva: è la distanza tra il narratore/narratrice e i personaggi della storia; questa distanza può variare nel corso degli avvenimenti. L’esempio di un’inquadratura cinematografica, renderà meglio l’idea di quello di cui stiamo parlando. Immaginate una giovane scrittrice di grande talento che corre in un freddo e umido parco cittadino, imprecando contro l’ennesimo rifiuto editoriale. Se il narratore/narratrice riesce a sentire la rabbia e possibilmente anche il freddo della giovane donna, mentre corre e impreca nel parco, il racconto potrà trasmettere ai lettori e alle lettrici la propria vicinanza emotiva con il personaggio creato dalla sua penna; 2. distanza temporale: se non è specificato, generalmente, quando leggiamo una storia presumiamo che sia avvenuta relativamente di recente. Anche se la storia è scritta al passato, chi scrive cerca di creare un effetto di immediatezza, come se la storia avvenisse mentre la si legge. Una storia narrata al presente risulta senz’altro immediata, ma anche delle vicende ambientate in un’epoca remota, se descritte in maniera vivida, possono creare la stessa sensazione di immediatezza, perché si tratta di una convenzione narrativa talmente consolidata che il lettore e la lettrice, una volta scattata l’immersione nelle vicende del libro, non ci faranno più caso.

La voce della storia
Quando si sceglie il punto di vista (che come abbiamo appreso non è la voce della storia, ma il modo di raccontare seguendo da vicino il/la protagonista per come sono viste le cose) è altrettanto importante scegliere la voce, ovvero il “suono” della narrazione. Di cosa parliamo? Della voce che i lettori e le lettrici sentono nella testa quando leggono e che continua a risuonare nella loro mente una volta che la lettura è terminata. La voce determina lo sviluppo della storia e guida il lettore e la lettrice attraverso la moltitudine di voci dei diversi personaggi. In realtà, si tratta della voce del narratore o della narratrice così come viene percepita da chi legge attraverso le descrizioni e i personaggi.
Una regola fondamentale è che la voce sia collegata al punto di vista. Se si utilizza un narratore/narratrice in prima persona, la voce deve consentire di identificare la personalità del narratore/narratrice. Se si preferisce un narratore/narratrice in seconda o terza personale, le loro voci potrebbero assomigliare a quella della/lo scrittore. Ma mentre una narrazione in seconda o in terza persona è emotivamente più distante da ciò che racconta, una/un narratore in prima persona è invece più vicina/o alla storia che narra.
La voce scelta può prendere un’infinita gamma di “sonorità”. C’è un genere di scrittura che ha un suono talmente spontaneo e immediato che sembra di ascoltare lo/la scrittrice mentre parla a vecchi amici. Personalmente, è un suono che ho sempre cercato di ricreare nei miei romanzi (in particolare, quelli per ragazzi/e). Per chi non scrive sembra uno stile che non costi fatica. Invece è vero il contrario: un timbro del genere (scorrevole, disinvolto, veloce, privo di fronzoli inutili) si può raggiungere solo con enormi sforzi e limature costanti. Quando si scrive, infatti, è meglio togliere che aggiungere, evitare i cliché, le metafore logore.

Può aiutarci a evitare gli stereotipi la cosiddetta narrazione straniante. Di cosa si tratta? Adottare, ad esempio, il punto di vista e il linguaggio di un uomo o di una donna primitivi ci salva dalle descrizioni trite e ritrite; va benissimo anche il punto di vista di una/un alieno, oppure quello di un personaggio proveniente dal passato, di una persona sciocca, di un animale, di una pianta, di una sedia, eccetera.
La voce narrante può avere un tono colloquiale (come quello che si usa con amici/che o familiari), e in questo caso è quasi sempre in prima persona, oppure formale (come quella che veniva usata da tanti scrittori e scrittrici del passato e ripresa, ad esempio, da Garcìa Màrquez in Centanni di solitudine e che spesso provoca in chi legge un senso di allontanamento dai personaggi perché il narratore o la narratrice non sembrano emotivamente coinvolti). Ma c’è anche la voce informale, che è una via di mezzo tra quella colloquiale e quella formale, e presenta maggiore flessibilità rispetto alle altre due.
Ci sono altri fattori che influiscono in modo decisivo sulla voce della storia: la scelta delle singole parole e il modo in cui vengono accostate per formare le frasi. Le frasi possono essere brevi, lunghe, lunghissime a seconda del contenuto della storia e, soprattutto, del gusto dell’autore o dell’autrice. Le frasi brevi rendono il periodo dinamico e scattante, quelle lunghe danno alla narrazione un tono sontuoso, quasi solenne. Per evitare una piattezza che annoierebbe, è preferibile che qualsiasi tipo di narrazione abbia frasi di lunghezza diversa, a seconda del contenuto che cambia nello svolgersi della trama. Questo ci porta alla questione del ritmo: la lunghezza delle frasi crea il ritmo almeno quanto la lunghezza dei paragrafi.
Oltre a dipendere da parole, frasi, paragrafi, la voce della storia è determinata anche da altri tipi di scelte stilistiche. Ci sono molte descrizioni o solo pochi dettagli? Il linguaggio è filtrato da una visione poetica o molto concreta? I personaggi sono descritti minuziosamente o è tutto lasciato all’immaginazione? La storia ha una trama complessa oppure semplice? Dialoghi e descrizioni occupano lo stesso spazio nell’economia complessiva della storia? In pratica, ogni opera di narrativa può fare storia a sé e la letteratura è ricchissima di romanzi originali nel quale il narratore o la narratrice, attraverso la voce, si pongono l’obiettivo di creare un’opera unica. Obiettivo più che legittimo, ma tenendo sempre presente che a chi legge piace provare la sensazione che qualcuna/o stia raccontando loro una storia nuova, mai sentita prima che tuttavia in qualche modo li riguarda e nella quale riescono a rispecchiarsi, perché come scrive Marco Franzoso, leggere un bel romanzo «è sentirsi a casa nelle parole di un altro».

Pronta/o per metterti alla prova? Ora tocca a te…
Esercizio n. 1. Chi sta narrando cosa?
Scrivete un sogno (a occhi aperti o chiusi), un desiderio oppure una fantasia, calandovi nei panni del/la protagonista (prima o seconda persona) oppure in quelli dello scrittore o della scrittrice attraverso i vari personaggi (punto di vista onnisciente o terza persona). Se, ad esempio, il/la protagonista è una bambina, ci si potrebbe esprimere con il linguaggio infantile; se invece è uno scrittore o una scrittrice di professione – sempre nella finzione narrativa –, la narrazione potrebbe assumere un tono creativo. Rileggete ad alta voce, cercando di individuare quale punto di vista avete scelto e se è stato inavvertitamente modificato nel corso della narrazione. La regola consiste nell’essere precisi/e, ma non schiavi/e dei dettagli. Anche perché, una volta terminata la prima stesura, potrete rilavorarci.
Esercizio n. 2. Ho ragione io! No, ho ragione io!
Immaginate una lite condominiale in cui chi abita al piano terra sta accusando il/la vicina del primo piano di scrollare la tovaglia e gettare rifiuti nel suo giardino. Usando il punto di vista in terza persona, scrivete un brano in cui descrivete il litigio in terza persona onnisciente. Ora ritornate sullo stesso esercizio e scrivete prima un brano dal punto di vista di chi scrolla la tovaglia e poi dal punto di vista di un/a passante che assiste alla scena. Rileggete le tre composizioni differenti: qual è la versione più interessante?
Esercizio n. 3. Imitate…
Rileggete qualche pagina di un romanzo scritto con una voce potente che ha catturato la vostra attenzione. Imitate lo stile di quel/la autrice – prosa sobria o ricca, frasi molto brevi o lunghe – mentre scrivete qualcosa di completamente diverso.
Esercizio n. 4. La vostra voce.
Descrivete una situazione recente in cui avete perso totalmente il controllo e vi siete arrabbiati/e moltissimo. Questo esercizio vi aiuta a confrontarvi con la forza delle inibizioni, quando si tratta di gestire emozioni negative come la rabbia, e vi fa scoprire come la vera voce di uno scrittore o di una scrittrice comincia a emergere quando finalmente non compie più alcuno sforzo per trovarla.

In copertina: I libri e il gioco del mondo (particolare). Dipinto di Gabriella Maramieri.

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Articolo di Gabriella Maramieri

Laureata in Lettere a La Sapienza, giornalista dal 1990, si è occupata di critica letteraria per L’Indice, Noi donne, Leggendaria, Minerva, Wimbledon. È autrice di romanzi, racconti, poesie, favole. Dal 2006 affianca alla passione per la scrittura l’attività di Consulente familiare Aiccef (Associazione italiana consulenti coniugali e familiari) e quella di Coach professionista Icf (International coach federation) e Aicp (Associazione italiana coach professionisti).

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