Attivismo femminista. Intervista a Jennifer Guerra, giornalista e scrittrice

Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia. È giornalista e scrittrice di tematiche di genere, femministe e LGBTQI+. Ha scritto il Corpo Elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (Edizioni Tlon 2020) ed Il capitale amoroso. Manifesto per un eros politico e rivoluzionario (Bompiani Editore, 2021). Ha pubblicato per L’Espresso, 7 Corriere, La Stampa, Fanpage.it e The Vision. Nel 2020 ha realizzato un’inchiesta sui cimiteri dei feti che è stata citata da The Independent e dalla BBC. Nel 2022 è stata inserita nella lista dei 100 under 30 più influenti in Italia realizzata da Forbes.

Copertina del libro Il corpo elettrico di Jennifer Guerra
Jennifer Guerra con il suo libro Il capitale amoroso

L’abbiamo incontrata per farci raccontare la sua storia.

Come, quando e perché ti sei avvicinata alle tematiche del femminismo?
Mi sono avvicinata alle tematiche del femminismo verso gli ultimi anni delle scuole superiori. Nel mio paese non esistevano gruppi femministi e non conoscevo nessuna femminista in famiglia e quindi l’avvicinamento è stato un po’ casuale, grazie a internet e soprattutto grazie a un blog che si chiamava Soft Revolution Zine, che è stato appunto il mio battesimo femminista.

Qual è il ruolo del corpo femminile nella società contemporanea e come è cambiato rispetto alle generazioni passate?
Oggi viviamo in una società che dà grandissima importanza all’immagine, una società profondamente visuale e quindi il corpo ha un’importanza cruciale. È una tendenza che, anche nelle riflessioni del femminismo, è emersa nel momento in cui è iniziata una rivoluzione mediatica che poi è andata avanti, portando il corpo sempre più al centro delle riflessioni.
Negli ultimi anni l’immagine del corpo si è legata sempre di più alla questione estetica (senza dare un’impronta negativa a questa parola) e ha assunto un’importanza sempre più grande, basti pensare a tutto il discorso sulla body positive, che è una questione abbastanza recente e che ci porta a pensare il corpo come a un filo rosso che accompagna il femminismo dalle origini fino a oggi.

Quando si parla di femminismo ci si ritrova spesso a parlare del tema sempre con le stesse persone (donne che parlano alle donne, ad esempio). Come fare secondo te per raggiungere un pubblico più ampio e coinvolgere nel dibattito anche chi non si sente coinvolto nel tema?
Io credo che il femminismo abbia necessariamente un soggetto al centro che è quello femminile, senza dare a questo soggetto una connotazione necessariamente biologica. È un concetto ampio e credo che questo aspetto vada in un certo senso preservato. Questo non va in contraddizione con la necessità del fatto che il femminismo abbia bisogno di allargarsi anche agli uomini o ad esempio a persone che non sono troppo politicizzate, però non credo che il femminismo possa farlo da solo. C’è bisogno di un lavoro di decostruzione che deve partire dalla volontà individuale. Di fatto se penso agli uomini, non c’è mai stato qualcosa di paragonabile al femminismo che ha decostruito l’idea di mascolinità; che abbia portato gli uomini a riconoscersi come parte di un genere. Questo lavoro purtroppo non lo può fare solo il femminismo, perché appunto ha come suo centro la riflessione sulle donne principalmente e quindi questo processo dovrebbe arrivare dagli uomini.

Ci sono passi avanti da fare in Italia sulla parità di genere? Cosa possiamo fare noi come donne?
L’Italia sicuramente ha ancora un grande problema con la parità di genere, sia al livello legislativo e, soprattutto, a livello culturale e sociale. Se noi guardiamo alla storia delle donne negli ultimi cinquanta anni, sono stati fatti grandissimi passi avanti nell’emancipazione a partire dall’aborto fino al divorzio; o il fatto che la violenza sessuale non sia più considerata un crimine contro la morale ma un crimine contro la persona. Nonostante ciò mancano tanti altri traguardi per raggiungere la completa parità. Bisogna riequilibrare i ruoli nella società e cominciare ad avere un approccio femminista alla politica in generale, smettendo di considerare i problemi legati alle donne come qualcosa di secondario.
Quindi secondo me questo è un grave problema dal punto di vista legislativo e anche dal punto di vista culturale, perché purtroppo, siamo un paese in cui il maschilismo è molto radicato. C’entra tanto anche la religione e molti aspetti del patriarcato sono molto difficili da sradicare perché significherebbe ripensare da zero la nostra cultura. Anche qui sono stati fatti passi avanti, ma c’è ancora tanto da fare.

Sei giovanissima e hai una carriera strabiliante, sei giornalista, hai scritto libri, sei un punto di riferimento nel panorama italiano sul tema del femminismo, tra i primi 100 under 30 Forbes. Come hai rotto diversi “soffitti di cristallo”? Hai incontrato molti ostacoli sul tuo percorso per arrivare a questo punto?
Sicuramente in Italia c’è un problema generazionale che fatica a riconoscere le competenze e le capacità delle persone giovani, proprio perché vengono considerate tali e non vengono trattate come adulte a tutti gli effetti, ma come solo in futuro adulte. Questo le esclude in automatico da certe dinamiche decisionali politiche, infatti ascoltiamo pochissimo la voce delle/dei giovani sui giornali, non si leggono opinioni di giovani, ma si leggono opinioni di sessantenni a volte di ottantenni. Anche qui credo ci sia un problema culturale, che in maniera un pò contraddittoria, dà grande rilevanza all’anzianità, quando poi in realtà da un punto di vista sociale le persone anziane sono escluse e tenute ai margini della società. Nel momento in cui sei una donna, le difficoltà si moltiplicano e si accumulano. Personalmente tengo molto alla questione della credibilità, mi è capitato spessissimo sia in contesti professionali sia in contesti più informali, di essere trattata quasi come una bambina o come una ragazza prodigio. Questo per me è molto offensivo, perché il fatto che io sia giovane e che tra l’alto sembri anche più giovane della mia età, non esclude che io sia preparata e competente sugli argomenti che tratto. Se c’è una persona che ha cinquant’anni, che non ha mai seguito le dinamiche del femminismo e non conosce niente, perché la voce di questa persona dovrebbe essere più autorevole e credibile della mia solo perché io sono giovane e quindi non ho esperienza? Questo è un discorso a cui tengo molto, proprio perché in generale la credibilità delle giovani donne è messa sempre in discussione. Pensiamo anche ai casi di violenza, quando c’è una vittima di giovane età subito si pensa che in realtà stia mentendo, che in qualche modo che non la racconti giusta e questo pregiudizio poi si riflette in qualsiasi altro ambito della vita sociale e professionale.

Jennifer Guerra e la Presidente di VenUs, Livia Fabiani davanti al murale per il femminicidio

Si dovrebbe parlare di femminismo nelle scuole e includere il tema nel corso di studi? Se sì perché?
Ripensando ai miei anni di scuola, penso di aver sentito parlare di femminismo solo in un’occasione, ovvero quando facendo letteratura inglese abbiamo incontrato Virginia Wolf.
In generale penso che vadano distinti due piani, c’è il piano che riguarda la storia del femminismo che si può insegnare e poi c’è il femminismo in sé che non si può tanto insegnare o imparare, ma si vive e si fa. Quindi sul primo la scuola può sicuramente fornire degli strumenti, ad esempio evidenziando le disparità tra i generi che ancora ci sono, o appunto attraverso la Storia e le conquiste che le donne hanno fatto negli ultimi anni. Penso che però fare un corso di femminismo sia un po’ limitante, perché la pratica del femminismo è appunto soggettiva e dipende tantissimo dal vissuto della persona, che non penso sia qualcosa che si possa insegnare. Questo non esclude che si possa comunque creare una consapevolezza sull’urgenza e la necessità di abbracciare un percorso femminista.

Cosa diresti alle persone che vorrebbero avvicinarsi a questo tema ma non sanno da dove iniziare?
Non c’è un percorso standard per diventare femministe/i e non c’è neanche, secondo me, un momento in cui inizi a essere femminista. È un percorso talmente soggettivo e individuale che nella pratica si realizza attraverso la collettività e l’incontro con le altre donne, con le altre femministe. L’avvicinamento al femminismo può avvenire in qualsiasi modo, io ad esempio l’ho incontrato su internet leggendo un blog, oggi lo si incontra su Instagram; molto spesso qualsiasi approccio è valido, sta poi alla curiosità individuale proseguirlo, o attraverso lo studio e le letture come ho fatto io in un primo momento o proprio andando a un’assemblea o a una manifestazione femminista nella propria città o nel proprio paese. Ci sono tanti modi per diventare femministe e sono tutti egualmente validi, soprattutto se motivate da un desiderio di cambiare le cose.

E cosa diresti a quelle persone che se ne sono completamente disinteressate?
Io non credo sia necessario essere femministe/i, negli ultimi anni c’è un po’ questa retorica del tipo: non dici di essere femminista, ma in realtà lo sei. Secondo me non c’è niente di male a non dichiararsi femministe/i se non ci si riconosce in quella parola.
Perché appunto il femminismo è una pratica, non è tanto un’etichetta che ci si mette addosso, quindi sì, è vero, esistono delle persone che si comportano da femministe e non vogliono essere chiamate femministe e per me va bene così.
Non c’è un obbligo, però accanto a questo fatto ci sono anche delle persone che sono molto ostili al femminismo e spesso questa ostilità è dovuta a ignoranza. Credono che il femminismo sia un movimento contro gli uomini, quindi un movimento misandrico, un movimento che vuole la superiorità delle donne o un modo per entrare gratis in discoteca… purtroppo questi sono veri e propri pregiudizi che dimostrano che non si conosce il femminismo, non si conosce la sua storia, non si conoscono le sue rivendicazioni.

Il femminismo è una cosa solo per donne?
Il femminismo non è una cosa solo per donne, l’obiettivo del femminismo è creare una parità di genere. Ovviamente il genere non ce l’hanno solo le donne, e soprattutto è necessario che, se vogliamo decostruire i ruoli di genere, se vogliamo liberarci dalle gabbie in cui il patriarcato ci costringe, non possiamo farlo da sole, anche gli uomini devono accompagnarci in questo percorso.
Molto spesso però, come dicevo anche prima, l’impegno dovrebbe venire dagli uomini stessi, perché il femminismo è già inclusivo degli uomini. Bisogna trovare uomini disposti a mettersi in discussione. Quindi sì, il femminismo sicuramente è per tutte e tutti.

Jennifer Guerra

Cosa diresti alle nuove generazioni?
Non penso di avere qualcosa da dire alle nuove generazioni, ogni momento storico ha delle caratteristiche diverse, delle rivendicazioni diverse e delle necessità diverse: quindi, chi sono io per decidere quali sono le battaglie giuste o sbagliate? Credo sia importante lasciare che ogni generazione si autodetermini, altrimenti il rischio è quello di ripetere quello che è successo tra il femminismo storico e il femminismo attuale. Ci sono grandi non detti, grandi incomprensioni, c’è stata grande difficoltà a passare il testimone. Proprio perché a volte c’era l’idea per cui le battaglie di una volta erano quelle giuste, quelle più importanti, e invece, proprio perché la storia va avanti, anche il contesto storico cambia.
Ci sono grandi temi che non si potranno mai ignorare, penso soprattutto a quello della violenza di genere, però appunto ogni generazione ha la sua battaglia principale e va rispettata anche se non la si condivide.

E alle vecchie generazioni?
C’è stato un problema di passaggio del testimone, ovviamente con le dovute eccezioni, perché ci sono femministe che hanno voluto costruire un ponte e di questo sono molto grata. Si è creato un problema che poi si riflette quando si toccano alcune tematiche, penso alla questione dell’identità di genere; durante il Ddl Zan è stato molto evidente il problema che c’è tra le femministe storiche e il movimento femminista attuale delle donne più giovani. Non c’è torto o ragione da nessuna delle due parti, perché da un lato c’è diffidenza e dall’altro c’è un po’ di “aggressività” e forse anche poca riconoscenza nei confronti del passato femminista e delle battaglie che, essendo diverse dalle nostre, ci appaiono vecchie, superate. In realtà ci sarebbero molti punti di contatto che andrebbero un riconosciuti da entrambi le parti.

Guarda l’intervista video a Jennifer Guerra sul nostro canale youtube.

In copertina: Jennifer Guerra.

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Articolo di Livia Fabiani

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Livia Fabiani vive a Roma, dove si laurea in Architettura alla facoltà di Roma Tre. La sua passione per l’arte e il territorio trovano sintesi ideale nella Street Art. Curatrice indipendente di mostre e murales, dal 2020 è presidente dell’Associazione VenUs per promuovere l’empowerment femminile attraverso l’arte urbana.

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