Del curioso scambio di battute fra l’attivista svedese Greta Thunberg e l’ex campione di kick boxing e possibile sfruttatore di donne Andrew Tate si è già molto parlato e discusso, anche qui su Vitamine vaganti. Per riassumere brevemente la vicenda: Tate tagga Thunberg in un suo post su Twitter dove la invita a darle i suoi contatti, così che lui possa inviarle quanto inquinano le sue macchine di lusso; Thunberg risponde di mandare una mail all’indirizzo smalldickenergy@getalife.com – small dick energy è slang anglo-americano che indica persone che nascondono la loro insicurezza dietro un atteggiamento spavaldo; get a life vuol dire “fatti una vita”. L’internet si scatena, bombardando Tate con prese in giro e lodando Thunberg per la sua pronta risposta; Tate cerca di salvarsi dall’umiliazione con un videomessaggio in cui proclama che la risposta della ragazza e le conseguenti battute non lo toccano in quanto lui è ricco e di successo, il tutto mentre mangia una pizza in un ristorante; il cartone di quella stessa pizza permetterà alla polizia romena, da mesi sulle sue tracce, di trovarlo e arrestarlo. L’accusa fa subito estinguere l’ilarità e porta l’assurdo a nuovi livelli: traffico di esseri umani e prostituzione forzata. Le immagini di Tate e di suo fratello ammanettati fanno il giro del web, assieme a video e interviste in cui questi dichiara apertamente la sua professione di procacciatore e protettore di prostitute: in una descrive nei minimi particolari i modi in cui convince ragazze provenienti da ambienti difficili a lavorare per lui come camgirl – sexworkers che usano servizi streaming per incontrare la clientela – precisando che la maggior parte di quei guadagni andrà nelle sue tasche in quanto è lui che le ha introdotte al “mestiere”; in un’altra parla di come picchi e insulti le giovani che lo contestano mimando anche il modo con cui le prende a pugni; in molte, troppe, altre interviste parla di donne come di animali da macello il cui unico scopo è soddisfare sessualmente il maschio, incoraggia a trattarle male per poter piegare il loro spirito e farle tornare al loro “scopo originario”, lontano dalla “rovina” che è stato il pensiero femminista e progressista da lui identificato come la vera causa del malessere dell’uomo moderno. Tutto questo senza che si sollevi alcun contraddittorio dagli intervistatori ed intervistatrici in sua presenza, che si limitano a guardarlo con un misto di orrore e meraviglia.

Quello che più sorprende della vicenda Tate vs Thunberg, oltre alla bizzarra diatriba sulle sfumature di significato dello slang inglese e su quanto small dick energy possa essere considerato bodyshaming e sessista (appare certo curioso che cotanta passione sia assente quando si parla di espressioni dirette alle donne) è il cieco supporto a Tate di migliaia di ragazzi che, anche di fronte a prove schiaccianti, professano la sua innocenza e parlano di presunti complotti di un qualche deep state femminista-progressista, pronto a punire il loro profeta per le sue “scomode verità” – alcuni sono arrivati a chiedere l’intervento del presidente Joe Biden per “ristabilire la libertà d’espressione come garantito dal primo emendamento della Costituzione americana e ora minacciato dalle femministe” pensando, come se questo non fosse già ridicolo di per sé, che la Romania faccia parte degli Stati Uniti e che quindi Biden possa intervenire per “ristabilire l’ordine”. Non è la prima volta che Tate viene difeso a spada tratta: nonostante le dichiarazioni in cui esprime idee francamente sessiste, i suoi fan negano che esse siano tali; quando parlò di come sequestrasse i passaporti delle donne che schiavizzava per il suo circuito pornografico questi sminuivano l’accaduto o insistevano che le ragazze straniere potevano comunque tornare a casa propria, anche senza documenti; quando ha affermato che si era trasferito in Romania perché la polizia era più corruttibile di quella del Regno Unito, che già lo stava cercando per delle accuse di violenza, questi o fanno spallucce o iniziano sproloqui più o meno chiaramente xenofobi sul fatto che Tate non stesse poi dicendo una falsità; pochi giorni fa, con la fuoriuscita di un audio in cui ammette di aver stuprato una ragazza, i suoi fan hanno sostenuto fosse un fake creato tramite intelligenza artificiale.

Per quanto possa impressionare, non è la prima volta che i ragazzi che frequentano internet si barrichino a difesa del loro beniamino, anche a costo di risultare completamente fuori dal mondo. Sono mesi che diversi e diverse influencer e personalità dell’intrattenimento denunciano Tate come quello che lui stesso ammette di essere: un “pappone” che ha fatto soldi navigando la crisi della mascolinità di oggi e approfittandosi di centinaia di ragazzini vulnerabili. Eppure, nulla sembra scalfire la sua fan-base. Chiariamoci, molti sono cosiddetti troll, persone talmente affamate di attenzione che sono disposte a dire le cose più assurde e scandalose pur di poter godere di cinque minuti di infamia, sicure dietro l’anonimato garantito, quasi sempre, da internet. Per quanto il fenomeno del trolling meriti sicuramente una discussione esso è solo una parte del seguito di Tate e dei suoi imitatori. Per lo più sono giovanissimi che vedono in lui un vero e proprio modello da seguire, copiandone l’atteggiamento e il linguaggio, ripetendo come macchinette le sue battute e, nei casi più gravi, dimostrando lo stesso identico disprezzo per le donne. Liquidarli come dei troll o come dei ragazzini immaturi sminuisce quello che è in realtà un problema molto più grande: la crisi della mascolinità e le sue conseguenze, già rilevate da moltissime/i pensatrici e pensatori, e che solo di recente ha raggiunto il grande pubblico diventando un argomento di massa.
Le ragioni di questa crisi sono presto dette: il vecchio modello di mascolinità dell’uomo che da solo può mantenere un’intera famiglia, e tutto il corollario di comportamenti paternalistici che ne segue, non è più realizzabile, non è più imitabile, non è più ripetibile. Lo stipendio medio di oggi basta a malapena per mantenere una sola persona, figurarci una coppia con prole; sempre più donne studiano e lavorano, guadagnando abbastanza per permettersi le spese che vogliono e spesso anche più dei loro compagni, pretendendo che questi contribuiscano alle attività domestiche esattamente come fanno loro – la scusa del: «Ho lavorato tutto il giorno, mi merito il riposo» non è più utilizzabile quando la propria compagna si fa carico sia della professione sia del lavoro domestico, mostrando che trovare un equilibrio fra i due è possibile; sempre più donne non sono disposte a sopportare il “minimo sindacale” nelle relazioni, facendosi ben pochi problemi a lasciare un compagno che non viene loro incontro; la società stessa ha sempre meno pazienza verso uomini che si aggrappano ai vecchi modelli di mascolinità, senza però averne prodotti di nuovi che possano prenderne il posto.

Nei grandi cambiamenti del secolo scorso, l’uomo e il mascolino sono rimasti indietro, ancorati a un mondo che non c’è più e che mai più tornerà. Che si sia d’accordo o meno col femminismo una cosa è innegabile: ha costretto tutte le donne, di qualunque credo e di qualunque classe, a porsi domande sulla propria posizione nella società, sul perché esse sono a quel determinato punto della loro vita invece che da un’altra parte, e quanto abbiano influito fattori esterni come l’educazione e la famiglia. E da queste riflessioni sono nati modelli nuovi di femminilità, a volte in conflitto fra loro a volte complementari, che tuttavia hanno permesso alle donne di comprendersi meglio e di compiere scelte che ritenevano migliori per loro. Tutto ciò per l’uomo non c’è mai stato: non c’è un equivalente maschile del femminismo; abituati a modelli che li concepiscono come centro del mondo, come universali, come il default, non ci sono mai stati esperimenti di autocoscienza, profonde riflessioni sul proprio ruolo sociale in quanto maschi, su che cosa effettivamente stessero insegnando alle nuove generazioni di uomini. Il movimento Men’s Rights Activism non è neanche un vero movimento, nonostante ci siano stati tentativi di istituzionalizzarlo: nasce come presa in giro del femminismo sui siti di estrema destra. Proprio in questi ambienti ultraconservatori è avvenuta l’unica vera riflessione sulla mascolinità, con risultati oltremodo deludenti e spesso inquietanti: invece di abbattere un modello secondo cui le emozioni sono represse e tramutate in rabbia, le dimostrazioni di affetto sono viste come segno di devianza, dove la donna non è partner eguale, ma mero oggetto sessuale che va insultato e picchiato fino a renderlo servo, è stato invece riaffermato e portato in trionfo, nascondendo dietro black humor estremo tutto il dolore che esso causa. La colpa ai loro occhi non è di un modello di mascolinità tossica che va contro la nostra stessa natura di animali emozionali e che non ha più posto nel mondo di oggi, ma delle donne e del femminismo che hanno “sovvertito l’ordine naturale” in cui l’uomo domina la donna, dove si prende cura di lei e dove può mostrare tutta la propria virilità costruendo una famiglia di cui egli è il solo capo benevolo e severo. Gli uomini che vogliono allontanarsi da questo modello sono derisi e accusati di omosessualità o di essere dei simp, slang inglese abbreviazione di simpleton, ossia dei sempliciotti che fanno finta di avere a cuore gli interessi delle donne nella speranza di portarle a letto. Essi vedono la loro filosofia di vita come la pillola rossa del film Matrix, che ha permesso al protagonista Neo di comprendere la terrificante realtà esattamente come la loro visione del mondo ha permesso loro di vedere la “degenerazione” causata dal femminismo (convenientemente ignorando che Matrix è una metafora della transizione di genere compiuta dalle sorelle Wachowski, registe del film: la pillola rossa infatti altro non è che la pillola di estrogeno che le donne trans assumono all’inizio del loro percorso).

Come detto prima, questo ideale di mascolinità tossica non è replicabile nel mondo attuale, col risultato che tutto ciò che ne rimane sono i lati negativi, come la repressione delle proprie emozioni e un atteggiamento ostile al cambiamento. Intere generazioni di ragazzi sono state cresciute con un modello mascolino che la società rigetta, senza però che questa offrisse un’alternativa. Alternativa che si sono invece cercati da soli grazie a internet, aggregandosi su siti che sono velocemente diventati casse di risonanza dove tutti i loro preconcetti sono stati riaffermati e rafforzati, e il modello di mascolinità è stato esasperato. Il femminismo e la femminilità non tradizionali sono visti come il nemico, la causa della crisi e, per combatterli, i problemi che affliggono la popolazione maschile, come la normalizzazione di atti violenti e il doppio standard nei loro confronti, vengono ridotti a mero strumento di dibattito, senza che ci sia poi un vero e proprio interesse per risolverli. Ne è un triste esempio Movember: lodevole iniziativa nata per diffondere informazioni sul cancro alla prostata nel mese di novembre, similmente a come ottobre è il mese dedicato alla lotta al cancro al seno; con il tempo si è evoluto in un più ampio progetto dedicato a problematiche specifiche della popolazione maschile, soprattutto per quanto riguarda la salute mentale. Sfortunatamente, ogni anno si riscontra ben poco coinvolgimento da parte di quegli stessi uomini che si lamentano di una società che li disprezza: gli uomini vittime di stupro, soprattutto di donne, vengono usati come arma per sminuire le donne vittime dello stesso orrendo crimine; le statistiche sui suicidi vengono usate per mostrare quanto poco importi alla società di loro, solo per poi contribuire a tali statistiche bullizzando ragazzi che rifiutano il modello tossico di mascolinità o si mostrano vulnerabili. Inutile dire che la pandemia ha esasperato tutto questo: la solitudine delle quarantene ha portato molti giovani a cercare conforto nelle comunità online, facili prede di estremismi senza un contraddittorio nel mondo reale.
È su questa crisi che persone come Andrew Tate hanno visto un’opportunità di guadagno, tramite un vero e proprio schema di marketing piramidale: Tate va ospite di podcaster conservatori, ascoltati dai giovani che si ispirano a vecchi modelli di mascolinità; si vanta del proprio successo, sia in termini di ricchezza che con le donne, due elementi ambìti da questa fetta di popolazione; in genere chi fa l’intervista non pone alcun contradditorio, facendo passare l’idea che quanto propone non sia poi così sbagliato; infine, invita a seguirlo e a partecipare ai suoi “corsi”, dove dietro lauto pagamento insegnerà a guadagnare soldi velocemente “seducendo” ragazze e convincendole a lavorare nel mondo della pornografia. Gli stessi ragazzi diventeranno a loro volta propagatori delle idee di Tate e attireranno altri coetanei fragili, facendo ricominciare il ciclo. Curiosamente, questa parte della storia viene poco raccontata dai suoi difensori, che subito cercano di sviare il discorso ripetendo le sue battute o insultando.
Nonostante la situazione sembri disastrosa, non c’è da perdere speranza: molti sono stati gli uomini più o meno giovani che hanno parlato contro Tate e stanno affrontando i problemi specifici maschili senza usarli come carta vincente nel dibattito per sminuire le esperienze delle donne. Iniziative che vanno supportate a gran voce, assieme a una profonda operazione di riflessione sulla mascolinità odierna.
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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.c
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