La figlia del ferro

Ci sono libri che ti restano dentro a lungo dopo che li hai letti e attraverso cui scopri luoghi e avvenimenti che non avresti conosciuto mai. Questo è uno dei pregi della lettura: apri un libro e sai che ti riserverà sempre delle sorprese. La figlia del ferro di Paola Cereda di sorprese ne riserva tante, a partire dalla scoperta dell’antico nome di Portoferraio, nell’isola d’Elba, che era Cosmopoli, termine bellissimo, che per me prima di leggere questo libro era soltanto un gioco da tavolo e il titolo di un film tratto da un romanzo di De Lillo. Invece ho appreso che era il nome della città voluta da Cosimo I de’ Medici, per espandere il ducato e proteggere i traffici commerciali nel Tirreno. La figlia del ferro è un libro femminile, scritto sulla base di una ricerca accurata di fonti e documenti e racconta un episodio realmente accaduto sull’isola d’Elba legato alla fine della seconda guerra mondiale, un episodio dimenticato, accompagnato dall’atto di coraggio di una donna realmente esistita, a cui l’autrice ha dato il nome di fantasia Iole.

La vicenda si svolge tra il 1943 e il 1945 e ha per protagonista una ragazzina che per campare fa la lavandaia e che a sedici anni rimane sola in via del Paradiso, perché la madre, dopo aver mandato a servizio le altre due sorelle, si trasferisce a Pianosa in seconde nozze. Il padre di Iole, figura tenerissima che non si può non amare, è un anarchico che ha trasmesso alle figlie i sani principi dell’uguaglianza e della giustizia sociale, oltre al suo fortissimo antifascismo. Pestato a morte dai fascisti per avere osato protestare durante un comizio di Mussolini all’Elba, muore troppo presto ma lascerà alla figlia la voglia di combattere contro le ingiustizie. Iole ha un sorriso spavaldo e irresistibile e una grande voglia di vivere, resa più forte dalla guerra. Si accompagna agli uomini che sceglie con naturalezza e spontaneità, circondata dai pettegolezzi, dai giudizi crudeli e dall’invidia delle bigotte e delle/dei benpensanti, compresi quelli che la molestano e che non sono da lei corrisposti. Il suo lavoro di lavandaia è svolto con allegria e competenza e tanta voglia di vivere, sapientemente resa dalle parole dell’autrice. L’Elba, definita dal Duce «la sentinella più avanzata dell’impero» non si è accorta quasi della guerra se non per i cadaveri dei soldati morti portati alla spiaggia dal mare, ma dopo l’8 settembre cambia tutto e gli aerei della Lutwaffe cominciano a sorvolare Portoferraio, città del ferro e degli altiforni e a sganciare bombe. A Iole, come a molte donne a cui per molto tempo non è stato e non è consentito dirlo, piace in modo assolutamente naturale e primitivo stare con gli uomini, ma innamorarsi è un’altra cosa: Mario, un giovane conosciuto da bambina che la corteggia con discrezione e che la amerà appassionatamente occuperà un posto privilegiato nel suo cuore.

La loro storia, contrastata dalla madre di lui, stenta a continuare dopo che Iole dal luogo in cui era sfollata si trasferisce nuovamente nella Portoferraio distrutta dalle bombe. Mario non ha il coraggio di opporsi alla madre e temporeggia, rimanda il momento in cui tornare dalla amata. Alla fine della guerra, nel 1945, un battaglione di fucilieri senegalesi, guidati da un caporale corso, a nome dei francesi libera finalmente la città ma alle truppe viene dato il permesso di «divertirsi» (sic) per una settimana. Quello che succederà a uomini e donne dell’isola è ben raccontato da Paola Cereda. L’autrice ha modo di presentarci i soldati che combattono per i francesi, introducendoci alla loro visione del mondo, al loro sfruttamento da parte della potenza coloniale, alla situazione di povertà da cui provengono, alla paura che li divora, alle sostanze che devono assumere per accettare di uccidere, insomma al male e all’orrore, mai abbastanza sottolineati, di tutte le guerre, ovunque combattute. In questo contesto Mario chiederà a Iole di aiutarlo e Jole compirà un gesto di coraggio che meriterebbe di essere ricordato nei libri di scuola. Chi leggerà questo libro ben scritto, che utilizza linguaggi diversi per descrivere le emozioni e le sensazioni dei diversi personaggi che vi compaiono, apprenderà questa pagina della storia italiana che poche persone conoscono.

Resta in sospeso una domanda: è amore, come parrebbe suggerire l’autrice, la richiesta di Mario a Iole? All’inizio di questa recensione ho definito femminile questo libro, perché sono molte le figure di donne raccontate: oltre alla protagonista, che giganteggia su tutte le altre per il suo coraggio e la sua schiettezza, la madre Annarita, rimasta vedova troppo presto, a soli 37 anni, combattuta tra il sentimento per la figlia e il desiderio di una vita vicina a un altro uomo, che a poco a poco le rivelerà la ragione opportunistica per cui l’ha voluta sposare: che facesse da madre alle sue due bambine. Uno strano modo di amare, quello per cui il farista di Pianosa, attratto dalla fisicità di Annarita, la vuole con sé, ma senza le tre figlie… Quest’uomo violento a lungo impedirà alla donna di andare a trovare Iole. Le altre due sorelle gemelle, sfruttate e maltrattate dai signori presso cui lavorano, sono figure ben delineate. “La figlia del ferro”, il modo in cui chiamava Iole il padre Umberto, conserva le lettere che le sorelle le scrivono, in cui la invitano a non seguire il loro esempio. «Sorella amatissima, è ormai tempo che tu sappia…

È ora che ti dica… Voglio confessarti che… Stare a servizio è un sacrificio o peggio, una schiavitù e un vero affronto. Viviamo nelle case dei ricchi e ci alziamo che è ancora notte a lucidare il pavimento che abbiamo già lucidato la sera prima. Andiamo al mercato, sistemiamo la dispensa, aiutiamo i padroni a vestirsi, rassettiamo le stanze, apparecchiamo la tavola, andiamo a prendere i signorini a scuola, laviamo, stiriamo, serviamo la cena e guai a versare una goccia di brodo sulla tovaglia, o sono occhiatacce e punizioni. A fine giornata, ci togliamo i grembiuli e le cuffie e ringraziamo l’Altissimo per un altro giorno così pieno di grazia, sì, e di abbondanza, sicuramente, quella degli altri, pensò Iole seguendo le parole con l’indice per riuscire ad afferrarne il giusto senso Resta sull’isola, te che puoi». Un’altra donna ben raccontata è Sestilia, la madre di Mario, crudele come solo sanno essere le persone bigotte.

Tutte le donne del libro subiscono una violenza silenziosa: psicologica, economica, sessuale in un mondo che non è per donne. Leggendo questo libro si apprende anche la storia, incredibile, del più grande disastro civile del Mediterraneo durante la seconda guerra mondiale, quello dell’Andrea Sgarallino, il piroscafo che prima della guerra faceva servizio passeggeri tra Piombino e Portoferraio, ma nel 1940 era stato requisito dalla Marina Regia e armato per la guerra. Dopo l’8 settembre 1943 era tornato a essere un mezzo di trasporto civile, senza però l’ordine di dismettere la livrea militare né, dopo l’occupazione tedesca, la bandiera nazista. Fu colpito e spezzato in due mentre faceva servizio passeggeri. «Morirono fratelli, sorelle, madri, padri, conoscenti, lavoratori, soldati che quel giorno si erano ammassati sul molo di Piombino per prendere l’unico piroscafo in partenza per l’Elba».

Paola Cereda, che nel 2019 è stata nella dozzina del Premio Strega con il romanzo Quella metà di noi, due volte finalista al Premio Calvino, autrice di numerosi romanzi, ha scritto un libro femminista e antimilitarista. I personaggi di Iole e Umberto ci resteranno nel cuore, la prima per la sua selvaggia voglia di vita e libertà e il suo coraggio, il secondo per la forza dei suoi principi e dei suoi sogni. Sullo sfondo la descrizione dell’orrore della guerra e del male che fa agli esseri umani e all’ambiente è un piccolo grande tassello alla costruzione di un mondo in cui questa invenzione tutta maschile dovrà diventare un tabù.

Paola Cereda
La figlia del ferro
Giulio Perrone Editore, Roma, 2022
pp. 238

In copertina: intervista a Paola Cereda, Salone del Libro di Torino, 2022.

***

Articolo di Sara Marsico

Abilitata all’esercizio della professione forense dal 1990, è docente di discipline giuridiche ed economiche. Si è perfezionata per l’insegnamento delle relazioni e del diritto internazionale in modalità CLIL. È stata Presidente del Comitato Pertini per la difesa della Costituzione e dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano. I suoi interessi sono la Costituzione , la storia delle mafie, il linguaggio sessuato, i diritti delle donne. È appassionata di corsa e montagna.

Un commento

  1. Davvero un gran bel romanzo, che anche a me è piaciuto tanto. Paola Cereda, che ho avuto il piacere di reincontrare in Liguria la scorsa estate, proprio durante la presentazione a Noli di questo suo libro, mi ha anticipato che all’isola d’Elba si stava pensando a una intitolazione per ricordare la donna che nel romanzo ha il nome di Iole, e che mi farà sapere quando avverrà. Ci conto, anzi ci contiamo tutte, a Toponomastica femminile, e chissà se qualche toponomasta toscana riuscirà a essere presente in quell’occasione.
    Grazie a Sara per la scelta di recensire un così bel libro e un saluto a Paola, se come spero leggerà l’articolo.

    "Mi piace"

Lascia un commento

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...