Cambiamo discorso. Artiste nel ‘600

Le due relatrici Laura Baldelli e Paola Ciarlantini – protagoniste giovedì 23 febbraio 2023 del webinar Artiste nel ‘600: tra corti, monasteri e… palcoscenici, del ciclo Cambiamo discorso, organizzato dall’associazione Reti culturali – sono già state intervistate da noi nell’articolo Uno sguardo sull’arte, a cui rimandiamo per conoscerle meglio nella loro esperienza e professione.

L’incontro del 23 febbraio si è aperto con l’introduzione di Marina Turchetti, presidente di Reti culturali, che ha ricordato come il ciclo di incontri di Cambiamo discorso sia giunto al suo quarto anno, con molteplici argomenti e cercando di porre delle tessere nel mosaico ampio della costruzione di un contrasto alla discriminazione di genere.
Dopo i saluti iniziali di Laura Pergolesi, presidente del Forum delle donne del Comune di Ancona, che ha dato il suo patrocinio a questa iniziativa, Laura Baldelli esordisce sottolineando l’importanza di parlare dell’arte nel Seicento, un secolo che ha visto finalmente, dopo le grandi stagioni dell’Umanesimo e del Rinascimento, entrare in scena anche le donne, diventate protagoniste del palcoscenico, con un accesso alla recitazione prima loro vietato, facendo diventare il teatro un luogo privilegiato dell’emancipazione femminile. Richiamando una citazione della storica dell’arte Linda Nochlin che si chiese, negli anni’70, mentre esplodevano le lotte femministe, come mai non si avessero notizie di artiste in grado di eguagliare la grandezza di Caravaggio o Michelangelo, afferma che la risposta è che nessuna storica o storico si era dedicato agli studi di genere, setacciando archivi per una seria ricerca storico-artistica e sociologica per restituire alle donne il ruolo, l’influenza e la visibilità esercitate nella pittura, nella scultura ma anche nella letteratura, nel teatro e nonché nella scienza e nella politica. Il suo intento ha voluto essere quello di aprire uno spiraglio di conoscenza da approfondire per cambiare prospettiva di analisi storica, in cui cultura e arte furono centrali per lo sviluppo personale, sociale ed economico e dove le donne portarono un contributo importante.
Perché proprio il Seicento? Perché fu il secolo in cui si consolidò una certa visibilità, frutto del pensiero umanistico-rinascimentale del Quattrocento e soprattutto del Cinquecento, il secolo al femminile, che affrontò il rapporto tra cultura e mondanità, elaborando un modello ideale di gentiluomo e di dama di palazzo con funzione mediatrice nelle corti aristocratiche, luoghi privilegiati di “vita sociale” e intrattenimento artistico-letterario, dove le donne non correvano più il rischio di perdere la propria rispettabilità se affrontavano conversazioni con gli uomini, esprimendo la loro educazione umanistica, parlando di filosofia, poesia, musica. Infatti si delineò uno stile culturale “femminilizzato”, accanto a quello “mascolino” delle armi, del governo, perché l’aristocrazia non era più solo classe militare, ma anche intellettuale. Le donne si espressero in versi dando vita al racconto di sentimenti e in seguito in prosa anche nella forma del dibattito per confutare opinioni anche di tipo scientifico e soprattutto nei testi teatrali, la nuova avventura che le rese protagoniste e dive.
Anche nei conventi, vere fucine d’arte, dove si accedeva allo studio e alla vita artistica, le donne sorprendentemente erano molto più libere che in famiglia. Infatti per secoli l’arte delle donne germogliò all’ombra delle grate, fin dal monachesimo femminile medioevale, in quanto in convento potevano aspirare a una vita intellettuale e avvicinarsi ai saperi, a un’educazione artistica, altrimenti negata, addirittura assecondando le proprie inclinazioni. Basi pensare a Ildegarda di Bingen. Partendo con l’epoca rinascimentale e facendo un passo indietro rispetto al ‘600 – perché vi furono delle vere pioniere che furono di esempio e aprirono la strada a molte altre donne – troviamo Plautilla Nelly, che creò una bottega d’arte in convento e fu citata dal Vasari nelle famose Vite; di lei possiamo vedere dipinti e affreschi anche a Firenze e in chiese famose come Santa Maria Novella. Ricordiamo Prospera de’ Rossi, suora intagliatrice di pietre preziose e scultrice, e molte altre come Orsola Maddalena Caccia, famosa oltre che per la pittura devozionale anche per le nature morte, Isabella Piccini, esperta nell’incisione, e Giustina Lucrina Fetti, suora famosa per essere ritrattista.

Una suora, Suor Arcangela, Elena Cassandra Tarabotti, nonostante viva nella Repubblica di Venezia, in una società più aperta rispetto al periodo della Controriforma, è una vittima del padre che la rinchiude in convento per il fatto di essere claudicante; viene ricordata come una protofemminista per i suoi scritti in cui condanna la tirannia paterna.

Anche le Corti diventano un luogo di accesso alle Arti per le donne, che finalmente possono discutere di arte senza essere condannate o accusate di licenziosità; è qui che emergono pioniere nella poesia, in un periodo in cui la moda di poetare è il petrarchismo, e di queste le più famose sono Gaspara Stampa, Vittoria Colonna, Veronica Gambara, Veronica Franco, Isabella Morra… e altre che solo negli ultimi anni appaiono di sfuggita nelle antologie scolastiche, definite “cortigiane” nel senso di donne libere e colte, senza l’accezione negativa che il termine assumerà in seguito.
Nel mondo della pittura seicentesca, le donne che ricevevano commesse e vivevano del proprio lavoro erano spesso “figlie di…” e avevano avuto accesso alla bottega d’arte del padre, altrimenti vietata; lo stesso Vasari aveva già scritto della “donnesca mano” e nel XVI sec. se ne contavano circa venticinque di artiste professioniste tra Venezia e Napoli. In questo ambito la figura più nota è sicuramente quella di Artemisia Gentileschi, anche per le vicende personali: definita caravaggesca, girò tutte le Corti d’Europa. Ma un’altra pittrice particolarmente interessante fu Sofonisba Anguissola, un caso molto particolare in cui è tutta una famiglia dedita all’arte e non vengono escluse o sfavorite le donne. Poi Giovanna Garzoni, libera viaggiatrice presso le Corti, Elisabetta Sirani, Fede Galizia e Lavinia Fontana, la prima donna che dipinse il nudo femminile; infine Virginia da Vezzo e la bottega d’arte al femminile di Venezia.


Il ‘600 rappresentò anche la consacrazione del teatro, che ebbe un riconoscimento sociale e artistico, dove anche le donne trovarono la loro visibilità e rispettabilità; così l’emancipazione attraversò anche questo segmento culturale, vietato per secoli alle donne.
Baldelli ci ha mostrato come le donne non furono assenti, bensì invisibili, perché escluse dal sistema sociale e culturale con una precisa volontà d’ignorarle, ma fuori dagli schemi tradizionali, elaborarono un proprio linguaggio e un diverso modo di creare. La sua conclusione è: ma quanta paura per il talento femminile!

L’intervento di Paola Ciarlantini ha presentato un quadro generale dell’attività musicale e compositiva femminile nel periodo barocco, inserendola nel relativo contesto storico-culturale. Ci ha mirabilmente presentato le compositrici secondo quattro filoni principali, in ciascuno evidenziando delle figure-cardine: nel primo le compositrici nelle strade, nelle piazze, nei castelli, accennando inizialmente alle trobairitz (tra cui Isabella di Périgord, unica trobairitz italiana) e alle joglaresas dell’Alto Medioevo; e concentrandosi poi sulle attrici-musiciste vicine alla Commedia dell’Arte, come Margherita Costa e le due Andreini, Isabella e Virginia, suocera e nuora. Virginia Ramponi Andreini fu la prima Arianna nell’opera omonima di Monteverdi (Mantova, 1608), poiché la formazione di un’artista di teatro completa comprendeva anche la scrittura, il canto e la danza, mentre il concetto di “specializzazione” in senso moderno era sconosciuto in età barocca.

Isabella Leonarda

Il secondo filone ha trattato della musica nel chiostro e nel convento, parlando delle religiose compositrici. In questo ambito rientrano tutte le più importanti suore musiciste italiane (tra esse, Isabella Leonarda detta “la Musa Novarese”, l’anconetana Maria Francesca Nascimbene, la bolognese Lucrezia Orsina Viziani), talmente numerose che potrebbero riempire un ampio prospetto. La condizione di queste donne spesso monacate a forza è denunciata da suor Arcangela Tarabotti, veneziana del convento benedettino di Sant’Anna, in scritti come La tirannia paterna e L’inferno monacale (rimasto inedito e pubblicato solo nel 1990…).

Per il terzo filone, Ciarlantini ci ha presentato la musica dei sec. XVI e XVII come elemento portante nell’educazione dei ceti elevati. In questa sezione rientrano tre tipologie di musiciste-compositrici, rispettivamente le nobildonne compositrici (ha ricordato, come esempio, le regine d’Inghilterra Maria Tudor e Elisabetta I, ottime virginaliste), le borghesi dilettanti di musica, che dimostrando perizia in questo campo “alzavano” le loro quotazioni matrimoniali, e le dame di corte esperte nella pratica musicale e compositiva, attive sin dal primo Rinascimento. Infine, nell’ultimo filone ha inserito le musiciste-compositrici di professione: le virtuose di canto e le strumentiste. In questo ambito rientrano le personalità musicali più famose, come la fiorentina Francesca Caccini, figlia d’arte e autrice della Liberazione di Ruggero dall’Isola di Alcina (1625), prima opera scritta da una donna, e la veneziana Barbara Strozzi, per la prima categoria; come antesignana nel secondo campo ha ricordato Maddalena Casulana De Mezarii, liutista, e poi Maddalena Lombardini Sirmen, concertista di violino, allieva di Tartini.

Ritratto di Francesca Caccini (particolare) di Jacopo Palma il vecchio

È possibile rivedere e riascoltare il webinar – in tutta la sua ricchezza di molti altri particolari e interessanti informazioni sull’arte nel ‘600 – sulla pagina Fb di Reti culturali.

In copertina: Santa Cecilia di Artemisia Gentileschi.

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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, tiene corsi di aggiornamento per docenti, in particolare sui temi delle politiche di genere. È referente provinciale per Lodi e vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile. Collabora con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa femminista europea. È stata Consigliera di Parità provinciale dal 2001 al 2009 e docente di filosofia e scienze umane fino al settembre 2020.

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