Ad Aosta, nel cuore del popolare quartiere Cogne, si trova la via Aurora Vuillerminaz, i cui cartelli stradali, però, riportano solo il cognome ma non il nome completo, abbreviato in A.: stupisce che, in una città la cui toponomastica non contempla che una strada e una piazza intitolate alle donne, il suo nome non sia stato riportato per esteso, a Lola avrebbe senz’altro fatto piacere!

Come ci racconta Silvana Presa nel suo libro Donne guerra e Resistenza in Valle d’Aosta, Aurora Vuillerminaz, la partigiana “Lola”, ha partecipato alla Resistenza come staffetta partigiana, addetta ai passaggi di frontiera con la Svizzera, in servizio presso la 87ma Brigata Garibaldi nel gruppo Moriond dal 2 al 5 luglio 1944 e nel gruppo Verraz dal 6 luglio al 16 ottobre 1944. La sua ultima missione è stata quella di guidare cinque fuoriusciti dalla Svizzera a Cogne e si è conclusa con la fucilazione il 16 ottobre 1944. Solo Raimondo Lazzari riuscì a scampare all’esecuzione: creduto morto dai fascisti è stato lasciato al cimitero di Villeneuve, dove venne soccorso da alcuni paesani e salvato dai partigiani, diventando così un prezioso testimone dell’eccidio e involontario biografo di Lola.
Aurora nacque a Saint Vincent il 25 febbraio 1922 ed emigrò con la famiglia in Francia, da cui ritornò con la mamma andando ad abitare sulla collina di Chatillon. La ragazza faceva la ballerina in una compagnia, forse una compagnia francese, quando conobbe un giovane di Quart, Adolfo Giulio Ourlaz, un operaio dell’industria siderurgica Cogne che si era avvicinato da autodidatta al comunismo. Anche lei voleva istruirsi e aveva cominciato le scuole magistrali ad Aosta. I due giovani si sposarono il 13 marzo 1941 e andarono ad abitare a Charvensod. Aurora e Giulio condividevano la passione per l’alpinismo (Ourlaz era una guida alpina) e lei, dopo il matrimonio, per alcuni mesi fece la bigliettaia sul treno Aosta-Torino, ma con l’inizio dell’occupazione tedesca abbandonò questo lavoro e si allontanò dal paese per salire in montagna e condividere la vita partigiana con suo marito (nome di battaglia “Dulo”), essendo lui il comandante del gruppo del Moriond e del distaccamento Verraz di cui Lola faceva parte.

A Cogne Lola e un’altra partigiana, Fleurette Actis detta Lele, agirono come staffette e si alternarono al servizio telefonico del paese, dove si insedierà il comando partigiano di zona: Lele era addetta al collegamento col fondo valle mentre Lola a quello con le zone di confine. Numerose furono le sue missioni come staffetta con le altre formazioni dislocate nelle valli laterali: coraggio, senso di responsabilità e sangue freddo sono le virtù attribuite ad Aurora, dimostrate anche nelle situazioni più pericolose. A questo proposito Saverio “Nerio” Tutino, scrittore, giornalista e letterato comunista, che fu partigiano a Cogne nell’estate del 1944, nelle pagine del suo delicato racconto Il sapone contenuto nella raccolta La ragazza scalza, pubblicata nel 1975, narra un episodio in cui la giovane donna, di ritorno dalla Svizzera, distribuiva beni di consumo, soprattutto sigarette, agli altri partigiani. Vedendo Nerio che si stava lavando nel torrente, domandò anche a lui cosa volesse e il giovane, non senza esitazione, le chiese un bacio. Lola, che era già sposata, gliene diede uno sulla fronte, insieme a un pezzo di sapone che l’uomo utilizzerà per detergersi. Tutino descrive con grande rispetto la serietà della ragazza: «Lola era la moglie ideale di un vero partigiano: era bella e tutti se lo dicevano, ma dalla sua bellezza era escluso ogni gioco sottinteso o malizia. Non doveva essere semplice innamorarsi di lei, prima di tutto bisognava misurarsi col suo carattere. Nerio pensava “diventarne degni”».

Nell’autunno del 1944 Lola e la compagna Lele compirono insieme un’importante missione, andando a Losanna a portare le coordinate per i lanci degli Americani. Fu un’impresa faticosa e difficile, con l’attraversamento notturno del Gran San Bernardo e con le guardie di frontiera che sparavano loro dietro. In Svizzera furono arrestate dalla Polizia e dovettero comprarsi la libertà dando in cambio orologi da polso e le catenine d’oro che avevano al collo. In questa stessa missione fu affidato alle due donne il compito di accompagnare dalla Svizzera alla Valle d’Aosta alcuni compagni italiani internati nei campi svizzeri come rifugiati politici che il Pci aveva destinato alla lotta resistenziale. Nel corso di quello che fu il suo secondo e ultimo viaggio, Lola (insieme alla guida Alberto Cheraz) il 10 ottobre 1944 si incontrò a Martigny con i compagni che nel frattempo erano scappati dai campi di internamento. Insieme ad altri partigiani salirono su un treno per Sembrancher e camminarono verso Fionney, separati in due gruppi per motivi di sicurezza. Dopo una salita di 4 ore per raggiungere la sommità della Fenêtre Durand a 2500 mt, le guide si accorsero dell’impraticabilità del percorso scelto, quindi scesero tutti nuovamente a valle per trovare un’altra via. Durante la notte decisero di procedere verso la frontiera, che distava 20 km dal punto in cui si trovavano, e percorsero una strada più facile, con il rischio però di essere sorpresi dai gendarmi che pattugliavano la zona con i cani. Giunti stremati in una baita, i compagni si concessero alcune ore di riposo e il mattino dopo ripresero il cammino: uno di loro, Gino Donati, morì esausto e solo il giorno successivo una missione, composta anche da Lola, ritroverà il suo corpo sepolto sotto la neve. Secondo la memoria di Lazzari, Lola quel giorno avrebbe incontrato un partigiano che le avrebbe consegnato un plico destinato a Cogne e la stessa partì quindi per il fondovalle il mattino successivo insieme ai suoi compagni. Nonostante non fosse molto numeroso, il gruppo era comunque composto da troppe persone per compiere un’impresa che doveva restare clandestina e che si presentava alquanto rischiosa. Mentre iniziava il percorso verso Villeneuve su una strada di campagna, Lola incontrò un individuo che le disse che nel vicino castello di Sarre (allora presidio delle Brigate Nere) si stava svolgendo una riunione di gerarchi fascisti e di autorità tedesche. Lola non sembrò preoccupata e non prese particolari precauzioni: in ogni caso, avrebbero dovuto aspettare il buio notturno per passare inosservati oltre il fiume Dora Baltea, da dove sarebbero poi saliti di notte verso Cogne. Mentre il gruppetto si allontanava per fare una ricognizione, a un tratto, improvvisamente, un coro di voci gridò: «Mani in alto!»: una quindicina di soldati della compagnia del battaglione IX settembre puntarono i fucili mitragliatori verso i partigiani. Il gruppetto venne catturato. Lola cercò invano di disfarsi della sua pistola e come i suoi compagni venne malmenata. Tutti furono portati nella caserma dei Carabinieri di Villeneuve, sede di un battaglione fascista, nell’attesa dell’interrogatorio. La donna fu messa in una cella a parte, separata dagli altri compagni. Le rivoltelle, i volantini, i libri contenuti negli zaini e i giornali di propaganda del Partito comunista furono sufficienti per motivare la condanna a morte di tutti. Lazzari, l’unico che potrà raccontare i fatti, fu colpito con pugni, martellate sui piedi e pedate sui fianchi ma, come gli altri, non tradì mai i compagni. Anche Lola, che non poteva condividere con nessuno dei compagni il racconto degli interrogatori e delle violenze subite, non tradì mai l’organizzazione cui era legata e non sappiamo come la ragazza abbia passato la notte nell’attesa di morire. Del giorno dell’esecuzione Lazzari racconta: «È buio, c’è un’aria resa umida da una fitta pioggerella, tutto è triste, l’eco dei nostri passi si ripercuote sulle pareti delle case, in quel silenzio tombale. Si fa un alt di fronte al Municipio, di lì esce Lola al braccio di un milite, viene messa in testa, e poi ci fanno proseguire. Imbocchiamo in fila indiana la stradicciola che porta al cimitero. Ad un tratto, a metà strada, c’è una barriera con filo spinato, due soldati la spostano per farci passare e poi la rimettono di traverso, in funzione delle precauzioni rese di impedirci di scappare». Sono le 6 del mattino del 16 ottobre 1944 e Lola iniziò il breve percorso verso la morte; diversamente dai suoi compagni non aveva i polsi legati, un soldato la condusse per mano. Continua Lazzari: «A metà rampa il capo plotone, chiamato il boia di Villeneuve, prese la testa dell’Aurora e, facendola girare verso i monti (l’Aurora era un’appassionata di montagna), la incitava a fare i nomi dei partigiani avendo in cambio la libertà, ma ebbe in cambio solo parole di sdegno». Aurora, stando a questa memoria del compagno Lazzari, incrociò dunque per pochi minuti, prima di morire, lo sguardo e la parola del boia di Villeneuve, ovvero il sergente maggiore Lorenzo Siddi, efferato e crudele criminale fascista arrivato nei paesi dell’alta valle al seguito dei tedeschi. Prima dell’esecuzione, avvenuta con un colpo di pistola, Lola rincuorò i compagni chiedendo loro perdono per non essere riuscita a compiere la missione che le era stata affidata. Gli altri vennero uccisi uno dopo l’altro, tranne Lazzari che, scampato al colpo di grazia, si salvò e grazie a lui, protagonista e testimone, questa storia sarà raccontata e ricostruita in quasi tutte le sequenze, restituendoci il valore della giovane partigiana, martire della Resistenza a poco più di vent’anni, splendida nella vita così come nella morte.

La donna ottenne la medaglia d’argento al Valore militare della Memoria, rilasciata nel 1982 dal Ministero della Difesa con la seguente motivazione: «Esperta e coraggiosa staffetta partigiana, ripetutamente impiegata anche a guida clandestina a cavaliere dello spartiacque alpini. Accompagnatrice di alcuni giovani internati provenienti dalla Svizzera per il loro arruolamento nelle formazioni partigiane della zona, veniva catturata con i compagni dopo aver provveduto all’occultamento dei documenti di cui era latrice. Negli interrogatori cui fu sottoposta, fedele alla sua missione, fu irremovibile nell’assoluto silenzio, nonostante le sevizie e le minacce di morte. Condannata con i compagni alla fucilazione, affrontava con virile fermezza il plotone d’esecuzione, dopo aver salutato i morituri con una stretta di mano, aver loro manifestato il suo duolo per non averli condotti a salvaguardia e dopo averli incitati a inneggiare alla Libertà. Villeneuve (Val d’Aosta) 16 ottobre 1944».
In copertina: targa del viale. Foto di Marinella Governale.

Silvana Presa
Donne guerra e resistenza in Valle d’Aosta
Le Château Edizioni, Aosta, 2016
pp. 1152
***
Articolo di Serena Del Vecchio

Laureata in Giurisprudenza e specializzata nelle attività didattiche di sostegno a studenti con disabilità, è stata docente di discipline economiche e giuridiche e ora svolge con passione la professione di insegnante di sostegno. Ama cantare, leggere, camminare, pensare, suonare la chitarra e ha da poco intrapreso lo studio dell’arpa celtica, strumento che la aiuta a ritrovare pace e serenità interiore.

Un commento