La moglie di Eufileto

Eh, sì, è proprio questo l’unico modo che abbiamo per identificarla, questa donna che non appartiene al mito, ma alla storia: il suo nome è perso per sempre. Perché in fondo, lei, moglie legittima dello spettabile cittadino chiamato in tribunale a render conto dell’assassinio di un altro spettabile cittadino, reo di averla sedotta, non conta granché, come persona: è una faccenda tra uomini. E i loro nomi, quelli, li conosciamo: Eufileto, il marito legittimo ed Eratostene, l’amante.

L’orazione di difesa, composta da Lisia, uno dei più famosi avvocati dell’epoca – logografi, si chiamavano, letteralmente scrittori di discorsi a pagamento – è, come da consuetudine, affidata alla performance dell’imputato stesso, Eufileto, che deve dimostrare di aver ucciso l’amante della moglie senza premeditazione e “secondo le regole”. La legge era molto chiara: il marito tradito aveva il diritto di uccidere solo se coglieva l’uomo sul fatto e lo toglieva di mezzo seduta stante. Ma c’è di più: il fatto doveva essere avvenuto in un luogo, preferibilmente la casa, in cui fosse certo che l’adultero potesse entrare solo con il consenso della donna. Si poteva punire con la morte solo colui che avesse “sedotto”, nel senso etimologico di “condotto a sé” con la persuasione, la donna, non se l’avesse presa con la forza, contro la sua volontà, ovvero stuprata.
Del resto la legge prevedeva analoga possibilità di uccidere, cogliendolo sul fatto, il ladro che si introducesse di notte in casa, per impadronirsi delle proprietà in essa custodite. Ed Eufileto fa riferimento proprio a questa analogia, mettendo i giudici davanti all’assurdità, in caso di una sua mancata assoluzione, di considerare più grave un furto che un flagrante adulterio.

Ma come aveva fatto questa moglie infedele a conoscere e incontrare Eratostene, se è vero che le donne stavano sostanzialmente chiuse in casa? Ce lo racconta lo stesso Eufileto: «Quando decisi di sposarmi e mi portai a casa una moglie, in un primo tempo mi comportavo in modo da non affliggerla, ma anche di non lasciarla troppo libera di fare quello che voleva, la sorvegliavo, per quanto è possibile e stavo attento, come è normale; poi, quando nacque il bambino, ormai mi fidavo e le affidai tutti i miei beni, ritenendo che un figlio fosse un legame fortissimo in una famiglia. E nei primi tempi, Ateniesi, lei fu davvero la migliore delle donne, perfetta nell’occuparsi della casa, una che risparmiava e curava con solerzia tutto il necessario. Ma quando mia madre morì, proprio lei, poveretta, morendo, è stata la causa di tutti i miei mali. Infatti fu per seguire il suo funerale che mia moglie, uscita di casa, fu adocchiata da quell’uomo, e dopo un po’ di tempo fu da lui sedotta; infatti quello, intercettata la serva che andava al mercato, se ne servì per consegnarle i suoi messaggi e così la rovinò». Lisia, I, Per l’uccisione di Eratostene. Discorso di difesa.

Le parole usate dal nostro Eufileto per raccontare il matrimonio e la vita familiare non hanno bisogno di commenti. Mi limito a sottolineare come l’occasione per uscire di casa alla “migliore delle donne” la offra un funerale: non c’erano altre opportunità di “essere adocchiate” per le mogli, che potevano lasciare le pareti domestiche solo in occasione di funerali, appunto, e di cerimonie religiose a loro dedicate, e interdette agli uomini; come le Tesmoforie, tre giorni di feste in onore di Demetra, la dea della fertilità – e a quella festa, verrà a sapere Eufileto, sua moglie ci era andata addirittura con la madre del suo amante! Per le incombenze quotidiane, come fare la spesa, c’erano le serve, l’anello debole che metteva in comunicazione l’interno protetto della casa con il mondo esterno e le sue insidie. Ed è proprio minacciando di tortura la serva che Eufileto ottiene la conferma del nome del seduttore, di cui una vecchia, per conto di un’altra donna sedotta e abbandonata, si era premurata di informarlo: Eratostene doveva essere un tombeur de femmes. O almeno è questo che il marito tradito racconta ai giudici: una giuria popolare, composta da uomini come lui, quella cui il nostro uomo si rivolge, facendo, più o meno implicitamente, appello alla solidarietà maschile. 

Per portare a termine il suo misfatto il mascalzone doveva penetrare in casa senza che il marito legittimo se ne accorgesse. Cosa non impossibile, dato che quello, come la maggior parte dei cittadini ateniesi, era un contadino e passava molte giornate di seguito nei campi di sua proprietà. Ma un giorno Eufileto torna prima del previsto e se ne va a dormire al piano di sopra. Infatti, benché di solito fosse questa la zona riservata alle donne (gynaikonìtis, gineceo), mentre il piano inferiore, a contatto con la strada era quella degli uomini (andronìtis o semplicemente andròn, da cui il nostro androne), dopo la nascita del bambino il buon uomo si era premurato di invertire la destinazione degli ambienti: «Io possiedo una casetta a due piani che ha il piano di sopra, la zona delle donne, uguale a quello inferiore, riservato agli uomini. Quando ci nacque il bambino, lo allattava la madre: e, per non farle correre rischi nello scendere le scale quando doveva lavarlo, io andai a vivere al piano di sopra e le donne al piano di sotto. Ormai questa era diventata una consuetudine, tanto che spesso mia moglie scendeva da basso a dormire accanto al bambino, per allattarlo e non farlo piangere».
Quindi la donna dormiva al piano di sotto insieme alle serve: doveva averne più di una, di serve, Eufileto, certo benestante, se possedeva una casa a due piani, non comune nell’Atene del tempo. Anche se non prende una nutrice per il figlio e lascia che sua moglie lo allatti lei stessa. Ma un giorno, tornato stanco della campagna, l’uomo è infastidito dal pianto e dai capricci del bambino e ordina alla moglie di scendere e dargli la tetta per farlo smettere: «Lei in un primo momento non voleva andare, perché era contenta, così diceva, del mio ritorno dopo un bel po’ di tempo; io però cominciai a perdere la pazienza e le ordinai in modo brusco di scendere, e allora lei ribatté: “E già, così puoi provarci con la serva, come hai fatto altre volte: quando sei ubriaco, allunghi facilmente le mani”. Io mi metto a ridere, lei se ne va, ma con quella scusa chiude a chiave la porta; io mi addormento senza pensieri». 

Durante la notte Eufileto sente cigolare le porte, ma quando il giorno dopo ne chiede conto alla moglie, quella lo acqueta raccontandogli di aver avuto bisogno di andare dai vicini per riaccendere il lume che si era spento. E lui le crede, mentre in seguito ricostruirà in maniera diversa gli avvenimenti di quel giorno, convincendosi che fosse stata la serva a far piangere il bambino, apposta perché la padrona scendesse a incontrare l’altro che era in casa. 
Mettiamo per un attimo da parte la colorita descrizione dei fatti che ci permette di gettare uno sguardo all’interno della vita di una normale coppia ateniese vissuta negli ultimissimi anni del V o all’inizio del IV secolo a. C. e cerchiamo di capire come stanno le cose dal punto di vista giuridico. 
Nel corso del dibattimento tocca agli attori citare, anzi far leggere da una specie di segretario che assiste la giuria, le leggi in base alle quali chiedono l’assoluzione per sé o la condanna dell’avversario. Eufileto in questo caso deve dimostrare che il suo comportamento non solo non è passibile di condanna, ma è anzi meritevole di elogio, perché sono le leggi stesse della città che in un certo senso si sono servite del suo braccio per fare giustizia. Le norme citate risalgono addirittura alla più antica legislazione ateniese, attribuita al mitico Dracone, vissuto nel VII secolo, che prevede, appunto, l’impunità per chi, cogliendolo sul fatto, uccida l’adultero che gli rovina la moglie o il ladro che si sia introdotto di notte in casa. Anche se era prevista la possibilità di concedere al reo di salvarsi la vita in cambio un’ammenda in denaro. Cosa che Eufileto afferma di aver rifiutato sdegnosamente, considerandola una sorta di pastetta indegna di un vero uomo. Il suo problema sta nel fatto che i parenti dell’ucciso sostengono che, lungi dall’averlo colto in flagrante, egli abbia organizzato con i suoi amici una trappola ai danni di Eratostene e l’abbia trascinato in casa con la forza, prima di assassinarlo. Perché la sua ricostruzione dei fatti convinca i giudici, il marito tradito organizza il racconto (o lo fa per lui il logografo) in modo che essi si riconoscano nelle sue abitudini e comportamenti, nei suoi valori, nelle sue paure. Chi di voi, sembra dire Eufileto, non rischierà di trovarsi in una situazione analoga alla mia, se non siamo inflessibili nel punire chi insidia le nostre mogli? E aggiunge un particolare interessante ricordando che la legge dell’Areopago, il tribunale che si occupa in modo specifico dei fatti di sangue, prevede la stessa impunità per chi abbia ucciso il seduttore di una concubina: niente di strano, in realtà, perché sia la moglie che la concubina erano considerate proprietà dell’uomo con cui a diverso titolo condividevano la casa e il letto, esattamente come gli altri beni mobili che un ladro poteva rubare. O anche solo rovinare. È importante, a questo punto, una postilla linguistica: il verbo che noi traduciamo con sedurre in realtà in greco ha un significato più ampio, poiché esprime un’azione che produce guasti, rovinando e rendendo inservibili merci, cibi, oggetti… e donne. In molte zone d’Italia, del resto, di una donna che ha perso la verginità si dice che è guastata. 
Per gli Ateniesi una donna sedotta, quella cioè che ha rapporti sessuali consenzienti con un altro uomo, è “guastata”, nel senso che di lei non ci si può fidare e di conseguenza diventa incerta la paternità dei figli che da lei nascono: e, come sappiamo, la funzione di una moglie è proprio quella di mettere al mondo figli. Per questo motivo lo stupro, cioè la violenza fatta a una donna non consenziente è considerato meno grave, almeno se dobbiamo credere allo stesso Eufileto. 

Spesso, a proposito di questa orazione, che ogni studente di liceo classico incontra – Lisia è uno degli autori presi a modello dalle grammatiche – si cita la legge sul delitto d’onore che, si ricorderà, è stata abolita in Italia solo nel 1981. Eppure il paragone calza solo in parte. Perché l’uomo, cui quella legge riconosce a un dipresso la licenza di uccidere, se la prende per prima cosa con la donna – moglie, sorella, figlia – che lo ha privato dell’onore (e poi eventualmente anche con il seduttore). Mentre per l’uomo greco la donna conta tanto poco che non merita neppure una pugnalata.
Infatti, che cosa ne sia stato dell’anonima moglie di Eufileto la storia non ce lo dice.

In copertina: Thesmophoria, Francis Davis Millet, 1894-1897.

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Articolo di Gabriella de Angelis

Docente di latino e greco nei licei e nei corsi dell’Università delle donne Virginia Woolf, si è dedicata alla rilettura dei testi delle letterature classiche in ottica di genere. All’Università di Aix-Marseille ha tenuto corsi su scrittrici italiane escluse dal canone. Fa parte del Laboratorio Sguardi sulle differenze della Sapienza. Nel Circolo LUA di Roma intitolato a Clara Sereni, organizza laboratori di scrittura autobiografica.

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