Il girlwashing della Nato. Un appello femminista

La parità di genere oggi è trendy. Tutte e tutti se ne riempiono la bocca in ogni occasione, salvo poi nella pratica non osservarla. Basta guardare le statistiche del World Economic Forum sul Global Gender Gap o i risultati del Report sull’uguaglianza di genere pubblicato dall’Unione Europea e su cui vitaminevaganti ha pubblicato recentemente una serie di articoli. La Nato non è stata da meno e Clare Daly, parlamentare europea irlandese, lo ha sottolineato molto bene nel suo discorsoal Parlamento Europeo il 6 luglio scorso. Era in corso il primo degli eventi organizzati da un Movimento internazionale di donne, il Global Women for Peace United Against NATO, che si è costituito lo scorso marzo e ha prodotto una Dichiarazione in previsione del Vertice Nato di Vilnius, in Lituania, dell’11 e 12 luglio scorsi. Una dichiarazione che veicola un messaggio radicale, (ma quando si parla di guerra, soprattutto dopo la scoperta delle bombe nucleari, come ci ricordava Einstein, bisogna essere radicali) e nello stesso tempo femminista.

Questa dichiarazione e l’intervento dell’eurodeputata del Gruppo Sinistra non sono uno dei tanti appelli per la pace che si sono susseguiti in questi mesi, anche da parte di associazioni di donne, ma rappresentano una vera e propria presa di posizione contro la Nato da parte di un gruppo femminista globale. Questa è la novità e per questo la commentiamo, come dichiarazione che riflette per la prima volta su femminismo e Nato, con delle suggestioni che i nostri media, salvo alcune nicchie particolari, come Comune.info, non hanno saputo intercettare. Un appello a mobilitarsi ispirato dal primo dei «sette peccati necessari contro il patriarcato», secondo Mona Eltahawy: la rabbia! Si, perché ancora una volta chi ha il potere, come è accaduto per le industrie del fossile con il greenwashing, «fiuta»l’importanza di certe espressioni, strumentalizza e manipola le parole, le fagocita e ne stravolge senso e valori su cui si fondano. E fare girl-washing è un gioco da ragazzi (il maschile è voluto). Secondo Daly, «il femminismo è stato spietatamente cooptato dal complesso industriale militare. Una serie di donne politiche e personalità dei media giovani e patinate sono state spinte alla ribalta in tutta Europa per discutere a nome della Nato, per sostenere più guerra, più militarismo, più spesa per armi. La Nato si è avvalsa del potere dei social media e del peso emotivo della politica dell’identità, e sta sfruttando gli influencer online e la concezione più sottile che si possa immaginare dell’uguaglianza di genere per promuovere la sua agenda patriarcale e militarista […]

Abbiamo tutti sentito parlare di greenwashing da parte delle aziende; è ora di iniziare a parlare del girl-washing da parte del complesso industriale militare». Come ci ricorda l’europarlamentare irlandese, «La guerra e il militarismo sono un anatema per il femminismo. Sono opposti, non possono essere riconciliati». La storia del femminismo ce lo insegna. Il femminismo ha elaborato un pensiero fondato sull’uguaglianza, sulla resistenza a tutte le diverse forme di violenza, sulla lotta alle discriminazioni e allo sfruttamento, sulla cura per l’altra/o e per il pianeta. La cura per l’altra/o è intrinsecamente contraria alle armi, perché le armi uccidono, feriscono, mutilano le persone. La cura per il Pianeta è intrinsecamente contraria alle armi perché le armi distruggono ogni forma di vita sulla terra, avvelenando l’aria, le foreste, l’acqua, i fiumi, i mari e tutti gli animali, dell’acqua e della terra. Da quando queste armi sono chimiche, da quando le bombe sono al fosforo, da quando abbiamo le mine antiuomo e le bombe a grappolo oltre ai droni incendiari, le conseguenze sono ancora più terribili. Per non parlare delle armi nucleari in mano a molti Stati, che potrebbero distruggere la Terra.

«Dobbiamo alzare la voce nel dichiararlo. Dobbiamo essere chiarissime nella nostra posizione secondo cui il militarismo girl-washing è un atto di cinismo mozzafiato che non sopporteremo». Questo il grido di Daly che chiama alla mobilitazione tutte le donne che hanno a cuore la pace e che non hanno nulla da spartire con le «donne in «completo pantaloni beige alimentati al plutonio» […] donne che si lasciano usare come lobbiste per la violenza». Queste donne possono parlare soltanto del complesso industriale militare «che le ha comprate e pagate, metaforicamente o in altro modo».

Il dibattito al Parlamento Europeo

Decenni di pensiero femminista sulla pace e sul rifiuto delle armi sono stati ignorati dalla Nato nella sua operazione di cosmesi che è passata sopra a elucubrazioni profonde, a battaglie per i diritti delle donne, all’unico movimento pacifico del Novecento che è stato il movimento femminista. Perché è questo che fanno i capitalisti, sostiene Daly: «Prendono tutto ciò che è buono e lo riducono in polvere. Prendono la democrazia e cercano di farla rispettare con la canna di un fucile. Prendono il femminismo e lo trasformano in un’arma, una leva strategica e un esercizio di marketing. Quell’uso e abuso di qualcosa che potrebbe essere una potente forza per il bene, una forza per un cambiamento profondo ed essenziale, la distruggerà se lo permettiamo». Secondo Daly, «puoi incollare un paio di pinne a un cane e chiamarlo pesce, ma è pur sempre un cane, anche se ha un aspetto piuttosto stupido. Allo stesso modo puoi incollare affermazioni sulla parità di genere e sul progressismo di genere alle strutture militariste, ma alla fine restano comunque istituzioni e strutture la cui intera esistenza è antitetica ai principi femministi».

La Nato aveva un senso durante la guerra fredda, in contrapposizione al Patto di Varsavia. Dopo l’implosione dell’Urss e la fine del Patto di Varsavia la Nato è stata sempre più concepita come l’esecutore del militarismo muscoloso patriarcale occidentale, soprattutto dopo le disastrose esperienze in Afghanistan e Iraq. Per questo aveva bisogno di rifarsi l’immagine. Quale occasione migliore di quella dell’uguaglianza di genere e del suo linguaggio per cercare di posizionarsi come il difensore cosmopolita della giustizia di genere e dei diritti umani? Tutto questo per legittimare le sue azioni e la sua stessa esistenza. La Nato ci ha messo otto anni a capire il potenziale commerciale della risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza dell’Onu (qui il testo in italiano: https://unipd-centrodirittiumani.it/it/strumenti_internazionali/Risoluzione-del-Consiglio-di-Sicurezza-delle-Nazioni-Unite-n-1325-su-donne-e-peacebuilding-2000/143) e ha messo in campo una serie di iniziative che, secondo Daly, sono state realizzate in modo strumentale, operando il girl-washing. La risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza dell’Onu del 30 ottobre 2000 aveva per la prima volta riconosciuto, ufficialmente, la specificità del ruolo, dell’esperienza e dei bisogni delle donne in una situazione di conflitto: durante la guerra e negli auspicati processi di pace. Dal 2008 ci sono stati molti eventi tra cui una Mostra multimediale organizzata nel suo Quartier generale sull’attuazione di questa risoluzione da parte della Nato, (che, non dimentichiamocelo mai, è un’organizzazione militare e non un’organizzazione a difesa dei diritti umani).In quella mostra, giovani donne in divisa militare coccolavano bambini sorridenti. Ci sono state improvvise celebrazioni della Giornata internazionale della donna, è stata scelta Angiolina Jolie come testimonial della lotta alla violenza sessuale e di genere legata ai conflitti. E la Nato ha sostenuto che dal 2010 la politica 1325 avrebbe dovuto diventare «parte integrante dell’identità di organizzazione della Nato, del modo in cui pianifica e conduce le sue attività quotidiane e organizza le sue strutture civili e militari». Possibile che le radici antimilitariste di moltissime attiviste che si sono battute per l’approvazione della risoluzione 1325 siano state impunemente ignorate? Come ricorda Pasquale Pugliese su Comune.info, il vertice Nato di Vilnius ha deliberato un ulteriore aumento delle spese militari dell’Alleanza e ha ufficializzato il prossimo ingresso della Svezia alle condizioni poste da Erdogan “sulla pelle dei curdi”.

Con questa decisione si chiude l’epoca del cosiddetto “neutralismo attivo” fatto di disarmo, dialogo, cooperazione internazionale, voluto da Olof Palme, il primo Ministro socialista, scomodo a molti, ucciso il 28 febbraio 1986. Secondo la visione di Palme la posizione svedese avrebbe dovuto caratterizzarsi come una serie di azioni positive e propositive per il disarmo, il dialogo, la cooperazione internazionale, senza avere paura di muovere critiche agli opposti militarismi, statunitense e sovietico e costruendo ponti tra l’Est e l’Ovest «per un’Europa unita nel nome della pace, e tra il Nord e il Sud del mondo per un pianeta giusto nel nome dell’uguaglianza». Noi che c’eravamo ricordiamo la costituzione nel 1980 della “Commissione Palme”, per la sicurezza e il disarmo, impegnata contro il riarmo nucleare dell’Europa degli anni ’80. L’Europa di Palme era sicuramente più fedele ai valori proclamati dai Trattati e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue di quanto non sia oggi l’Unione Europea allineata dal primo giorno di guerra ai diktat della Nato, in difesa di uno Stato che ancora non ne fa parte. 

L’intervento di Daly si chiude con un invito perentorio allo scioglimento della Nato, che solo qualche anno fa era ritenuto possibile, con queste parole: «Non c’è via per la pace, l’uguaglianza e la giustizia attraverso le bombe e la violenza; non possiamo prenderci cura del mondo e delle nostre comunità se tutti vivono nella costante paura, se tutti si trovano in un costante stato di sfiducia. Non c’è alcuna possibilità di “cambiare” la Nato, non è possibile ammorbidirla o renderla più “rispondente ai bisogni di genere”. La Nato è uno strumento del dominio occidentale. È un’arma istituzionale, un missile accovacciato alla periferia di questa città e puntato contro tutti noi; tutti, in tutto il mondo. La sua logica è quella del dominio, non dell’uguaglianza, della giustizia o della pace. Il femminismo rifiuta totalmente il dominio come principio. Non c’è quadratura di quel cerchio, i due sono implacabilmente opposti… dobbiamo dire loro, con fermezza, definitivamente: «No pasaran!» L’unica Nato femminista è una Nato sciolta».

A questo link si può scaricare la Dichiarazione in pdf di Women United against NATO. https://womenagainstnato.org/

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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

5 commenti

  1. Ancora una volta Sarà Marsico ci regala un articolo puntuale ed efficace che ci aiuta a conoscere e capire un fenomeno sconosciuto e strumentalizzato.
    Grazie mille

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  2. Femminista della prima ora,sono felice che finalmente si riaffermino con forza i principi pacifisti del femminismo,che io stessa ho vissuto come un movimento che voleva creare ponti tra mondi diversi,pensieri diversi(il maschile ed il femminile) senza alcuna velleità’ di sopraffazione di un genere sull’altro

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  3. Quante vespressione di pace, ma semmai, guardiana di guerraolte Sara ho pensato a tutto questo! Ti ringrazio e di averlo scritto bene e chiaro o forte e chiaro! Sì perchè la Nato non è espressione di pace, ma semmai, guardiana di guerra. La mossa furba del coinvolgimento della parità di genere è un degrado di questa inutilità ormai acquisita e da cui vuole salvarsi per non morire. Grazie!

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