L’albero e la vite

Dola de Jong è una scrittrice olandese sconosciuta in Italia fino a qualche mese fa, cioè fino alla pubblicazione del suo libro più famoso L’albero e la vite. La vita dell’autrice e le vicende editoriali del libro si intrecciano e vanno raccontate.
La scrittrice, di padre ebreo e di madre tedesca, alla vigilia della seconda guerra mondiale, poche settimane prima dell’occupazione tedesca, salpa con una nave da Tangeri in Algeria per raggiungere New York. Si salva ma non la sua famiglia, rimasta in Olanda. In America troverà amici e persone autorevoli, come Maxwell Perkins, che l’aiuteranno a realizzare sé stessa. Nel 1954 riuscirà a pubblicare L’albero e la vite considerato impubblicabile in Olanda per l’argomento scabroso. Nel 1963 uscirà di nuovo in Inghilterra un po’ in sordina, solo nel 1996 verrà ripubblicato sempre in inglese a opera della Feminist Press.
Dola de Jong vivrà sempre in America scrivendo libri, romanzi e racconti per ragazzi. L’albero e la vite rimarrà la sua opera più importante. Morirà in California nel 2003 a 92 anni. Tornando alle vicende editoriali del libro, diciamo subito che per poterlo leggere in italiano abbiamo aspettato più di sessant’anni. E allora ci chiediamo: che cosa rendeva così difficile la pubblicazione di questo libro fino a censurarne la lettura per così tanto tempo? A leggerlo ora ci si può solo sentire fortunate di avere tra le mani un piccolo gioiello letterario.
In copertina vediamo Yin e Yang nella rappresentazione grafica di Flavio Dionisi. Nel retro del libro la foto della giovane scrittrice: una ragazza che ci guarda, cerca il nostro sguardo, non si nasconde. All’inizio il libro ti colpisce per la scrittura così moderna (penso a Annie Ernaux per lo stile così personale e diretto), che rapisce e ti tiene legata e vicina alle protagoniste. La storia ha il sapore della confidenza e mentre leggi senti vicino a te chi l’ha scritta, anzi di conoscerla da tempo. Ascolti, non leggi. Bea è la narratrice. È una giovane donna, razionale e apparentemente tranquilla. Erica, la più giovane, è tormentata dalla consapevolezza di essere “sbagliata”: è irruenta e spariglia le carte in tavola. Il libro racconta la storia di due donne coraggiose che cercano di vivere a pieno la loro vita, siamo in Olanda alla vigilia della seconda guerra mondiale e dell’invasione nazista in Europa. Condividono una casa lungo il canale di Amsterdam per un periodo importante della loro vita e tu che sei stata in Olanda e hai visitato quei luoghi, vorresti tornarci per vederli con i loro occhi, sperando quasi di incontrarle.
Come in una pièce teatrale i personaggi sono ben definiti. Mentre segui gli eventi di Bea ed Erica, il mare del Nord e il cibo frugale ti toccano il cuore. E allora, mentre vai avanti nella lettura del libro senza smettere per nessun motivo, ti ricordi che il  percorso di emancipazione femminile dei diritti delle donne è lì che è iniziato. Infatti queste due giovani vanno a convivere, nel senso di dividersi una casa per spendere meno, fuori dalla famiglia, per trovare la propria autonomia e libertà. E siamo solo agli inizi degli anni quaranta del Novecento! Il tema del lesbismo, per il quale fu censurato, non viene mai nominato, rimane sottointeso. Sembra voglia ricordarci che quando ti innamori le emozioni sono sempre le stesse. «E a quel punto lo sapevo anch’io, non potevo più tornare indietro, e quando mi prese tra le braccia e mi strinse a sé, la lasciai fare. Restammo così a lungo, poi mi sussurrò qualcosa all’orecchio. Io non la sentii, e dovette ripetere. Quelle parole non le disse mai più. Del resto non era necessario. Sapevamo entrambe che erano irrevocabili e definitive. L’abbiamo accettato, ciascuna a modo suo».
Le due donne vanno incontro al loro futuro con la forza della giovinezza. Erica vorrebbe essere non sbagliata ma vive intensamente tutto quello che può rubare alla vita. Bea scopre sé stessa e il suo coraggio è quello di non sottrarsi, non tirarsi indietro, del resto non può farne a meno. Più che una storia d’amore è un percorso di consapevolezza della propria identità sessuale, ma questo lo possiamo dire ora che per fortuna non viviamo più lo stigma della diversità come nel passato.
Mentre vai avanti nella lettura del libro, aspetti con fiducia di attraversare il tunnel con loro (la guerra e tutto il resto), ti prendi cura di Erica, incoraggi Bea a non mollare. Cerchi anche di immaginare chi lo ha scritto (foto nel retro di copertina) e ti accorgi che Dola si è infiltrata nel libro. Anche lei è ebrea come Erica, anche lei è stata una ribelle e si fa raccontare da Bea che è il suo opposto. Forse per questo motivo quando uscì il libro la prima volta nel 1954 molte donne scrissero a Dola de Jong per condividere le stesse pene e gli stessi “sentimenti proibiti”, una specie di posta del cuore. Questa storia d’amore non ha tempo né età, potrebbe essere vissuta in un altrove qualsiasi o potrebbe essere vissuta domani. Forse è questo il segreto della sua modernità.

Dola de Jong
L’albero e la vite
La Nuova Frontiera, Roma, 2023
pp. 144

***

Articolo di Luciana Marinari

Insegnante di scuola primaria per quasi quarant’anni, ha conseguito nel 2010 il Master Insegnare italiano agli stranieri presso la facoltà di Lingue di Urbino. Studiosa del pensiero della differenza, ha frequentato seminari di lettura e scrittura con Gabriella Fiori, studiosa di Simone Weil. Relatrice a incontri culturali sul tema della differenza, ha pubblicato articoli su riviste specializzate. Insegna italiano per stranieri presso il comune di Senigallia (AN) dove risiede.

Lascia un commento