Questo libro mi è capitato sotto gli occhi sullo scaffale delle novità della Biblioteca, non lo avevo mai sentito nominare ma mi ha intrigato subito. Tra l’altro avevo appena ascoltato in audiolibro (adoro ascoltare audiolibri mentre guido o cucino e prendo il sole in spiaggia) I Malavoglia e… cosa c’entra? Beh una delle cose che più mi hanno fatto riflettere rileggendo dopo oltre quarant’anni il romanzo di Verga è stato il sentir parlare del camminare delle donne: a gruppi, con gli occhi bassi, andando in un luogo preciso (in chiesa, al lavatoio, al mercato, a portare il pranzo agli uomini) e non a passeggio, semplicemente. Donne che conducevano vite piene di lavoro e di miseria e che non potevano neanche concedersi il piacere di alzare gli occhi per guardare il mare! Dunque, partiamo dal riconoscere che il camminare per le città è una libertà che le donne si son presa in tempi recenti.
Camminare, passeggiare, per tradurre flâneuse potremmo dire passeggiatrice, ma non possiamo dirlo ahimè perché ‘una donna che passeggia’ indica ben altro da ‘un uomo che passeggia’. E non è un caso, perché il termine passeggiatrice ha preso il suo significato negativo perché c’è stato un tempo non troppo lontano in cui una donna che passeggiava veniva etichettata e catalogata come prostituta. Tutto ciò che riguarda le donne ci riporta all’importanza del linguaggio. E oltre al linguaggio, alle rappresentazioni, all’importanza del nominare.
Da sempre fino a pochi decenni o al massimo un secolo fa, nei luoghi più evoluti, insomma non ancora ad Aci Trezza ma già a Parigi, le strade non sono state un luogo adatto alle donne, e di certo non alle nobildonne o alle donne borghesi, al massimo alle lavoratrici. E tantomeno sono state un luogo in cui le donne venivano nominate: le strade sono state sempre e da sempre dedicate agli uomini. E, a proposito di strade, è stato proprio cercando, su richiesta di Maria Pia Ercolini, presidente di Toponomastica femminile, strade dedicate alle donne a Parigi, che ho fatto la mia più bella esperienza di flâneuse anche perché Parigi è una città perfetta per camminarci e perché ho avuto occasione per due periodi di girarla da sola (la flâneuse, come il flaneur, cammina da sola).
Lasciamo perdere Notre Dame, Tour Eiffel, Louvre e tutto il resto, camminare per una città vuol dire perdersi senza meta, seguire l’istinto e camminare nelle zone fuori dalle rotte turistiche, ma poiché a volte anche l’istinto tradisce e può farci perdere qualcosa di bello, diventa straordinario camminare per una città come Parigi alla ricerca delle strade dedicate alle donne per fotografarne le insegne. Strade corte, piccoli passage, minuscole piazzette, perché alle donne non sono certo dedicati i boulevard e quindi bisogna cercarle apposta, munite di elenchi e mappe, allontanandosi anche nella zona che sembra meno bella ma con l’opportunità di scovare punti che sorprendono.
Anche Lauren Elkin è stata flâneuse a Parigi ma soprattutto nel suo bel libro racconta di tante flâneuse, ad esempio George Sand fra le barricate nella Parigi rivoluzionaria o di Cleo, protagonista del film di Agnès Varda, Cleo dalle 5 alle 7. Le camminate dell’autrice a Parigi, New York, Tokyo, Venezia e Londra infatti si uniscono, si mischiano, si confondono con quelle di scrittrici, fotografe, artiste, registe che hanno percorso i marciapiedi (ecco un’altra parola che non potremmo dire parlando di donne e di camminare!) di queste città. Come non parlare ad esempio di donne flâneuse e di Virginia Woolf nella sua Londra. Virginia Woolf spiega bene come l’esperienza femminile della città sia diversa da quella maschile. Ad esempio in Una stanza tutta per sé racconta di una gita a Oxbridge in cui camminò sull’erba e fu cacciata via da un custode perché soltanto i docenti maschi e gli studenti maschi potevano camminare sull’erba o entrare da soli in biblioteca. Infatti, ci ricorda Elkin, Woolf nel famoso libro «non tratta semplicemente del bisogno per le donne di avere uno spazio chiuso e privato ma anche dei limiti contro i quali le donne vanno a sbattere nel mondo fuori dalla stanza, e tratta dello sconfinamento intellettuale».
Il passeggiare delle donne senza meta, l’attraversare libere le strade, diventa un modo per parlare della libertà delle donne e il bello di questo libro è che offre tanti spunti che poi ci rimandano a nostre esperienze, letture, riflessioni, tutte incredibilmente concatenate e legate al filo di questa libertà. Mi viene in mente la pittrice Rosa Bonheur, di cui ho parlato tempo fa su questa rivista, che aveva bisogno di attraversare Parigi per andare nei macelli a studiare l’anatomia di bovini ed equini che ritraeva e che chiese una deroga al divieto per le donne di indossare i pantaloni. Sì, perché c’era una legge in Francia che vietava alle donne di indossare pantaloni, abolita solo una decina di anni fa. E anche questa non è una cosa da poco, le camminatrici hanno bisogno di vestiti pratici e scarpe comode!
Insomma, se ci pensiamo sono tante le libertà che le donne hanno dovuto conquistare prima di diventare camminatrici o flâneuse, per cui potremmo aggiungere al famoso slogan “Le strade sicure le fanno le donne che le attraversano” un altro: “Il cammino libero lo fanno le donne che lo percorrono”.

Lauren Elkin
Flâneuse
Giulio Einaudi editore, Roma, 2022
pp. 368
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Articolo di Donatella Caione

Editrice, ama dare visibilità alle bambine, educare alle emozioni e all’identità; far conoscere la storia delle donne del passato e/o di culture diverse; contrastare gli stereotipi di genere e abituare all’uso del linguaggio sessuato. Svolge laboratori di educazione alla lettura nelle scuole, librerie, biblioteche. Si occupa inoltre di tematiche legate alla salute delle donne e alla prevenzione della violenza di genere.
