Alterità inquietanti

Pierre Bourdieu ne Il dominio maschile: «L’esaltazione dei valori maschili ha una contropartita tenebrosa nelle paure e nelle angosce che la femminilità suscita».
Il crimine più facilmente imputato a una donna è quello di andare contro le aspettative: i margini più stretti nell’assumere i ruoli familiari e sociali creano per lei maggiori probabilità di essere etichettata come trasgressiva. Gli stessi impulsi naturali trovano limiti dettagliati, a imbrigliarne un’ambivalenza foriera potenziale di nascite non conformi. Al vertice della piramide dei valori imposti c’è stata per millenni la verginità, sigillo da esibire come un trofeo che dev’essere salvaguardato a costo della vita e può esser “preso”, “rubato”, “concesso”, “donato”, ma in ogni caso irrimediabilmente “perso”.
Gli uomini per secoli sono stati educati a coltivare aspettative matrimoniali per le attitudini e le virtù cifre di una femminilità fragile corrispondente ai loro bisogni di controllo: la fedeltà, la disponibilità, l’accoglienza, la devozione, la pudicizia, la riservatezza, la mansuetudine, la sottomissione, abbinate a una ritrosia che faceva immaginare una donna “seria” come priva di istinti, quindi non pericolosa.

Pericolose, invece, la maliarda, la seduttrice, la fedifraga, la castratrice… dalla mitologia alla filosofia la galleria delle figure negative dell’antichità reca l’impronta della prospettiva da cui sono state rappresentate. Eschilo e Sofocle attribuiscono al genere femminile passioni ingovernabili, sfrenate e rovinose. Le protagoniste delle commedie di Aristofane sono adultere, ubriacone, pettegole e ingannatrici.
Pericolosi sono i corpi tentatori, le voci ammalianti delle perfide Sirene e, soprattutto, le femminilità eccentriche di Circe e di Calipso, che sottraggono l’eroe ai suoi doveri e ne demascolinizzano i compagni: donne indipendenti, destabilizzanti perché capaci di vivere senza la protezione maschile scompigliando l’ordine sociale; donne appassionate che non cullano progetti matrimoniali, ma in amore sanno prendere l’iniziativa. Rifiutare il matrimonio provoca rovina (Cassandra); crea un mondo alla rovescia (le Amazzoni); conferisce marchi infamanti (le donne di Lemno, le Danaidi). Il rassicurante focolare domestico è di contro reso saldo dalle virtù di mogli fedeli, riservate e prudenti come Penelope.

Risorsa femminile incontestabile è d’altra parte la seduzione, messa in atto da chi non può disporre di forza fisica: ma la donna seduttiva è l’anticamera del pericolo, dell’errore, del peccato. Sembrano tutti parlare con la stessa bocca, tutti d’accordo nella medesima conclusione, che il comportamento delle donne è incline a ogni tipo di vizio: è da questa considerazione che Christine de Pizan agli albori del ‘400 prende l’avvio per uno dei suoi scritti più famosi, in risposta ai testi misogini di Giovanni Boccaccio e Jean de Meung. Christine fu la prima intellettuale che attuò una presa di parola inedita, se pensiamo che all’epoca prendere parola pubblica, per una donna non legittimata né dalla regalità né da un’autorità religiosa o profetica, significava infrangere un interdetto sociale.
Chi è “diverso” e “alieno” appare sempre minaccioso perché indecifrabile, e diventa un essere su cui scaricare ansie e paure. Pericolosi oltre ogni dire risultarono nell’Occidente cristiano – fino a un passato non poi così lontano – i corpi eccedenti delle streghe, signore sfrenate di notti orgiastiche, sfrontate evocatrici di demoni capaci di incantesimi e di pozioni magiche, in definitiva donne sfuggenti al controllo o per essere indipendenti dai maschi, o per un misterioso sapere di cura che pareva metterle in contatto eretico con il sacro, o per una vecchiezza che le sottraeva alla legge della fecondità.
«Vedi le triste che lasciaron l’ago,/la spuola e ‘l fuso, e fecesi ‘ndivine;/fecer malie con erbe e con imago». Dante, Inferno, XX. La strega rappresenta nell’immaginario collettivo il nemico occulto, emblema delle diversità. Si stima che, sul totale delle persone uccise dall’Inquisizione detta Santa, le donne rappresentino almeno l’80%. Moltissimi sono del pari, nell’Oriente musulmano, gli hadith che hanno per oggetto/evocazione l’essenza inquietante del femminile e della sua energia.

Se Filippo Neri nel ’500 non confessava le donne sentendosene minacciato, Giovanni Bosco nell’800 proponeva ai pii giovinetti l’invito a non guardare mai nemmeno le parenti, per rifuggire dalle tentazioni.
Pericolose le tentatrici temute e desiderate, che sullo schermo hollywoodiano saranno chiamate vamp, ossia vampiri che succhiano il sangue; pericolosa la femme fatale, la belle dame sans merci di cui è ricca la letteratura romantica e decadente: perfida e ammaliante figura che non lascia scampo, la cui attrazione perturbante porta alla rovina. Salomé di Oscar Wilde, Lulù di Frank Wedekind, Nanà di Emile Zola, la Lupa di Giovanni Verga sono esempi che attraggono col sapore del proibito ma allo stesso tempo fanno paura, perché sembrano attaccare l’integrità virile incrinando certezze secolari.
Nelle trattazioni di diritto penale dell’800 è facile imbattersi in dissertazioni sulle insormontabili differenze biologiche che donano al maschio l’energia dell’assalto e alla femmina una frigidità naturale. Nel trattato Psychopatia Sexualis (1886) lo psichiatra tedesco Von Krafft-Ebing, docente all’università di Graz, dichiarava: «Se la donna è normalmente sviluppata mentalmente e bene educata, il suo desiderio sessuale è scarso. Se così non fosse il mondo intero diventerebbe un bordello e il matrimonio e la famiglia impossibili!».

L’uomo in quanto tale deve copulare, la donna no, sentenzia ancora nel XX secolo il senatore socialdemocratico Nino Mazzoni durante il dibattito sulla legge Merlin. La brava madre di famiglia non deve conoscere la parola ‘piacere’ in nessun campo, figuriamoci in quello sessuale. «Non lo fo per piacer mio, ma per dar dei figli a Dio». La moglie del principe di Salina concepisce la prole in camicia da notte.
Negli anni ’70 del ‘900 furono le femministe, protagoniste ribelli e trasgressive, a esser dipinte come creature inquietanti: e finalmente furon capaci di rovesciare la caricatura con l’arma potente dell’ironia: «Tremate tremate le streghe son tornate». Un triangolo festoso, ironico e irriverente, fatto con dita ribelli unendo le punte dei pollici e degli indici, risalendo dalle profondità degli archetipi irruppe nelle piazze. In mezzo a quel vuoto spudorato, a quella sfrontatezza allusiva c’era il varco di libertà attraverso cui passò una rivoluzione: forse l’unica che ci sia stata in Italia.
Dall’altra parte perdurano gli strascichi della diffidenza e della colpevolizzazione: è stata lei a provocarlo…

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Articolo di Graziella Priulla

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Graziella Priulla, già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi, Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo, Viaggio nel paese degli stereotipi.

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