Le grandi assenti. Maria Palliggiano

Vita breve, ma intensa la sua, vissuta in un periodo carico di stimoli, cambiamenti, novità, trasgressioni. Maria Palliggiano, figlia d’arte (il nonno paterno era un decoratore e il padre uno scultore), nacque a Napoli nel 1933, e a Napoli morì nel 1969. Dopo aver vissuto un’infanzia infelice e un’adolescenza tormentata, Maria, frequentando l’Accademia di Belle Arti di Napoli, entra a far parte del gruppo di allievi del futurista Emilio Notte, docente di pittura e poi direttore nella stessa Accademia partenopea. Nel vecchio professore, molto amato dagli studenti per la sua didattica anticonformista, maestro dei maggiori artisti napoletani della seconda metà del Novecento, Maria trova conforto alla sua fragilità. Ne diventa amante, nel 1958 nasce il figlio, Riccardo.

Nella Napoli degli anni ’60 l’intenso fervore di rinnovamento artistico aveva dichiarato la fine di cubismo, futurismo, astrattismo. “L’astrattismo è vecchio, e fete cchiù e me!” (Puzza più di me). Il Gruppo 58 affermava la possibilità di una “nuova figurazione”, basata sull’analisi dell’uomo contemporaneo, della sua vita emotiva, dei suoi dubbi esistenziali. Nel 1959 la rivista Documento Sud, destinata a lasciare un segno profondo nella storia dell’arte italiana del dopoguerra, sulla copertina del primo numero invitava artisti, poeti, scrittori a un risveglio collettivo: “Scetateve guagliune ‘e malavita”.
Maria Palliggiano vive questo clima con entusiasmo e contribuisce con gli artisti della sua generazione a rinnovare la pittura napoletana con la sua arte dalla forza innovativa e dirompente. Alterna composizioni astratte a metafisiche, influenzata a volte da suggestioni surrealiste, a volte cubiste. Colore corposo, squarci di luminosità rivelano sin dalle prime opere un’inquietudine personale.

Anemoni. Maria Palliggiano
Ausstrahlung. Maria Palliggiano
Risata in 5 tempi +1. Maria Palliggiano

L’opera Risata in cinque tempi +1 si compone di cinque elementi collocati in successione verticale secondo la numerazione indicata nel dipinto. Su ognuno è raffigurata, a mezzo busto e fino agli zigomi, una figura di giovane che si apre gradualmente in una risata.

Nel 1964 regolarizza il suo rapporto con Emilio Notte, e lo sposa, ma non abbandona la sua passione che per lei è la vita stessa e cerca di coniugare il suo ruolo di artista con quello di madre e moglie.  Nonostante le si riconosca un grande talento, resta suo malgrado ai margini dei nuovi fermenti. Il maestro non la lascia partire, né promuove la sua arte, che rimane sconosciuta ai più, aumentando in lei un senso di frustrazione e disistima. Per Maria comincia così un lungo calvario in manicomio, tra psicofarmaci, solitudine e scatti d’ira. Fino all’elettroshock e al tragico epilogo: a trentasei anni, dopo ripetuti tentativi di suicidio, pone termine alla sua vita con un colpo di rivoltella sparato nel bagno di casa.

L’assenza di notizie relative alla sua attività artistica deriva da una volontà di autocancellazione dell‘artista, che prima del gesto estremo, distrusse di sua mano buona parte del materiale che la riguardava, cataloghi, lettere e cartoline, fotografie di famiglia, di scuola o con gli amici, i suoi scritti in quaderni e diari. Quel poco che ci è pervenuto deve la salvezza al fatto che era conservato in uno studio lontano dall’abitazione dell’artista.

Riccardo Notte, suo figlio, racconta: «Era una femminista ante litteram, si sentiva spinta verso la più totale autonomia. Negli anni in cui viveva lei, la donna nella società non esisteva, figurarsi un’artista».

Visione interna. Maria Palliggiano
Senza titolo di Maria Palliggiano
Opere di Maria Palliggiano

Nel 1996 Jean Noel Schifano, direttore dell’Istituto Grenoble di Napoli, dedicò all’artista un’ampia retrospettiva. «Se qualcuno sta annegando, non lo lascio annegare, ma gli porgo una mano». Con queste parole Schifano ha voluto criticare quanti, pur avendone avuto l’occasione, non hanno mai esposto le opere della Palliggiano. Alla tormentata vita dell’artista si ispirano un romanzo e un film, Ossidiana, di Silvana Maya. Il titolo richiama una pietra nera, fragile ma forte allo stesso tempo, come era la pittrice stessa, una donna combattuta tra i ruoli che le furono imposti di moglie, amante, madre, e la disperata volontà di affermarsi come artista.

Nelle prime scene del film Maria è in abito rosso, lo stesso indossato per uno dei rari ritratti che Emilio Notte le fece. Silvana Maja così ricorda come nacque in lei l’esigenza di raccontare la sua storia:
«Seguo questa storia dal 1996, anno in cui vidi una sua retrospettiva che mi colpì moltissimo; vedendo i suoi quadri mi sono stupita che un’artista di tale capacità non fosse stata per nulla conosciuta e ho desiderato sapere qualcosa di lei. Viste le reticenze incontrate ho approfondito le ricerche e ho scritto prima un libro, poi sono riuscita a realizzare il film. A un certo punto il figlio mi ha dato, chiusi in un sacchetto, i diari della madre che lei stessa aveva ridotto in pezzi e io li ho fatti ricomporre… Colori accesi, scene cruente, incubi e maschere tragiche: una pittura difficile da dimenticare e tuttavia ignorata, sia negli anni in cui venne prodotta che oggi. Mi addolorò moltissimo non averne mai sentito parlare, non averla mai cercata, come fossi anch‘io parte di una comunità omertosa. Me ne occupai ad ampio raggio intervistando tutti i suoi amici, leggendo materiali di psichiatria e di sociologia, ritratti scomodi della Napoli del tempo. Cominciai a scrivere il romanzo solo dopo parecchi mesi».

A Silvana Maja ci sono voluti quattro anni per portare questa storia al cinema, poi le riprese in estrema economia a fine 2006, in sei settimane. Nel film è Teresa Saponangelo a dare vita alla sfortunata pittrice, mentre Renato Carpentieri interpreta il maestro Emilio Notte.

Immagine dal film Ossidiana

La Palliggiano condivise il proprio destino con altre sue coetanee intellettuali o artiste partenopee, vite parallele soffocate dalle barriere imposte loro da famiglie, amici, colleghi, compagni di partito, istituzioni, società civile. Basti ricordare la giornalista de “L’Unità” Francesca Spada, morta suicida nel 1961, alla cui figura Ermanno Rea dedicò il celebre Mistero napoletano, vittima di quella che Rea denuncia come “l’ossessione maschilista del comunismo napoletano”. Ma forse non era solo napoletano! O la geniale scrittrice e pittrice Marisa Carcano, morta suicida nel 1988, che ha condotto coraggiosamente la sua battaglia per essere riconosciuta e accettata nell’interezza della sua personalità contro l’ipocrisia e il perbenismo della borghesia del tempo, impegnata ad arricchirsi più che mai in quegli anni del boom economico.  

Nel 2014 a Napoli su proposta della nostra amica toponomasta Giuliana Cacciapuoti, componente della commissione toponomastica della città partenopea, le è stata intitolata una traversa di via G. B. Vela in località Barra.
Finalmente una giusta visibilità in una città che non seppe riconoscere la potenza della sua opera artistica.

In copertina: foto tratta da una scena del film Ossidiana.

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Articolo di Livia Capasso

foto livia

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.

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