A volte serve un riconoscimento internazionale per far uscire dai confini nazionali talenti poi riconosciuti come tali. A volte non basta. È questo il caso di Elfriede Jelinek che ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura nel 2004 per il libro La Pianista uscito in Austria già nel 1983. Allora in Italia fece molto più scalpore del libro il film che ne fu tratto di Michael Hancke che ebbe grandi riconoscimenti a Cannes nel 2001. La letteratura femminile austriaca era stata finora ben rappresentata da Ingeborg Bachmann e anche dalla scrittrice meno famosa Marlen Hanshofer che aveva scritto La parete, Edizioni e/o, 1989.
Elfriede Jelinek (classe 1946) arriva in ritardo sulla scena internazionale. Così si presenta: «Il narrare è necessità, a volte urgenza, ma sempre atto politico». Elfriede Jelinek, scrittrice e sceneggiatrice teatrale e cinematografica (nei tratti del viso ricorda l’attrice preferita del regista tedesco Fassbinder, Hanna Schygulla), nasce in Stiria, in Austria, da una famiglia ebraica dell’alta borghesia. Si ribella molto presto alla figura materna di ideologia conservatrice e partecipa ai primi movimenti di contestazione giovanile come il Sessantotto. Si iscrive al Pca (Partito comunista austriaco), insomma frequenta gentaglia di sinistra, come direbbe la madre. Sposa Gottfried Hungsberg, compositore della musica dei film di Fassbinder, da cui si separa quasi subito. Elfriede Jelinek è quindi una scrittrice politica, esercita un forte impegno civile ma soprattutto è una femminista di formazione marxista.
Il libro di cui ci occupiamo Le amanti viene pubblicato in Austria nel 1975. In Italia arriva nel 1992 pubblicato da E.s. Editrice, nel 1994 da Sonzogno Editori e nel 2004 da Frassinelli Editore, senza molta risonanza. Era finito il femminismo storicamente militante e la discussione sulla condizione femminile era relegata nelle aule universitarie. Nel 2020 la casa editrice La nave di Teseo decide di ripubblicarlo (in copertina Egon Schiele, due ragazze) e di investire su questa originale scrittrice. È anche in corso di pubblicazione una selezione delle sue opere con la traduttrice Nicoletta Giacon.
Il libro è un atto di accusa alla cultura patriarcale, un libro come si poteva scrivere negli anni Settanta. Subito viene da avvicinarlo a un altro libro che fece tanto scalpore in Italia, Sputiamo su Hegel di Carla Lonzi, che uscì pressappoco negli stessi anni. Due libri di rottura, diversissimi tra loro, ma che raccontano entrambi la storia delle donne e del loro difficile rapporto con gli uomini. La casa editrice La Tartaruga, a settembre di quest’anno, ha deciso di ristampare il libro della Lonzi, a cinquant’anni dalla prima edizione. Coincidenze? Ambedue le scrittrici demoliscono le strutture portanti del matrimonio e della famiglia, del perbenismo borghese e dell’ipocrisia. Speriamo suscitino una discussione e un interesse anche presso le giovani generazioni di donne e di uomini.
Tornando al libro, una voce narrante ci accompagna e ci cattura per tutta la durata del viaggio. Non è facile rimanerle vicino, ci viene da scappare da questa fiaba nera piena di dolore. Due giovani donne lavorano come operaie in una fabbrica di biancheria intima, vivono in un villaggio delle Alpi Austriache. «Se qualcuno ha un destino è un uomo. Se qualcuno si vede imposto un destino, è una donna». Si capisce subito che è inutile aspettarsi un finale positivo. Brigitte e Paula, come tutte le donne al mondo, vogliono sposarsi. Non possono desiderare altro perché sono donne. E allora proviamo a seguirle nel loro percorso di vita. Brigitte vuole sposare Heinz, la futura suocera non è d’accordo, vorrebbe per il figlio un partito migliore, una donna ricca. Anche Paula vorrebbe sposare Erich. «È bellissimo, come un quadro, con i suoi capelli neri e gli occhi azzurri, da innamorarsene» (pag. 44). Secondo l’autrice quasi tutti gli uomini sono tagliaboschi, rudi e poco intelligenti. Ma accanto a questa chiave di lettura, diciamo da catechismo femminista prima stagione, ne possiamo trovare altre. Elfriede Jelinek viene descritta anche come un’autrice di romanzi erotici (La voglia, La nave di Teseo, 2022). Nel libro Le amanti troviamo immagini che possono rientrare nella categoria. Del resto lei stessa dice: «Mi descrivono come un’autrice di romanzi erotici… non mi irrita essere considerata tale, poiché la sessualità è il luogo in cui la violenza trova una via d’uscita, nel senso indicato dalla Bachmann, secondo cui il fascismo dopo il 1945 si è annidato nella famiglia, nella sessualità tra un uomo e una donna» (da una sua intervista).
Un’altra caratteristica del libro è l’originalità della scrittura. Elfriede Jelinek scrive il suo romanzo seguendo uno spartito possiamo dire musicale. La scrittrice sembra volerci dire che tutto è sempre uguale, non ci sono alternative, non ci sono domeniche da festeggiare. Tutta l’opera è scritta con lo stampato minuscolo, tranne qualche breve sottolineatura al maiuscolo. Parliamo di letteratura postmoderna che prevede una mescolanza di generi, il ritmo è simile alla musica contemporanea.
Le amanti è un libro sicuramente da leggere e da rileggere. C’è chi ha definito Elfriede Jelinek una specie di Dostoevskij al femminile, per la sua denuncia della fallocrazia e dei rapporti di forza sociopolitici, ma la sua critica al sistema patriarcale ha un respiro molto ampio e il libro è di una grande modernità.

Elfriede Jelinek
Le amanti
La nave di Teseo, Milano, 2020
pp.224
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Articolo di Luciana Marinari

Insegnante di scuola primaria per quasi quarant’anni, ha conseguito nel 2010 il Master Insegnare italiano agli stranieri presso la facoltà di Lingue di Urbino. Studiosa del pensiero della differenza, ha frequentato seminari di lettura e scrittura con Gabriella Fiori, studiosa di Simone Weil. Relatrice a incontri culturali sul tema della differenza, ha pubblicato articoli su riviste specializzate. Insegna italiano per stranieri presso il comune di Senigallia (AN) dove risiede.
