Vendette, misteri, passioni nella Barbagia di Niffoi

Tutto al femminile il bellissimo nuovo romanzo Nate sotto una cattiva luna (La nave di Teseo, 2023) di Salvatore Niffoi, scrittore sardo nato e residente a Orani (Nuoro), paese ai piedi del monte Gonare; dell’autore e della sua attività letteraria ci siamo occupate già su questa rivista con la recensione di Le donne di Orolé (Vv n.136) a cui si rimanda per una serie di riflessioni generali sulla sua prosa caratteristica, sulle ambientazioni, sulle tematiche che gli sono care.

Monte Gonare, santuario mariano, la chiesa più alta della Sardegna

Il titolo ci porta sulla giusta strada, capovolgendo il modo di dire “nato/a sotto una buona stella”, trattandosi di una potente storia di dolore e di vendetta, e la copertina una volta tanto va citata per la sua purezza, la sua efficacia allusiva, con quello sfondo azzurro e quel raffinato volto di profilo che tiene fra le dita e mostra davanti a sé un medaglione indecifrabile. Non per nulla il dipinto di Lucien Levy-Dhurmer si intitola La femme a la médaille ou Mystère, e qui di misteri ne troveremo, anche se in tutt’altro contesto.

Ragazze di Orani con il costume tradizionale

Siamo infatti in Barbagia, in un paese immaginario, dove ha inizio la prima parte del romanzo: “In corpore vili” e incontriamo la protagonista Basilia, «una femmina abituata a fare tante cose in una sola volta»; donna bella, intelligente, che suona il flauto di canna e compone di nascosto racconti e poesie; succhiando golosa i chicchi di un grappolo d’uva, fa promettere a Venanziu che gli darà nove figli. «Quella sera, al tramonto, il sole di Bodoloi era un grosso ventre fra le gambe aperte della montagna di Punta Liada, che scolava succo di more acerbe nei campi bruciati di Sas Ispaduleddas». Così scrive Niffoi, con la sua prosa ricca, espressiva, corposa, che sa fondere abilmente profumi, colori, sensazioni tattili. Il 13 ottobre 1928 si svolge il matrimonio e la sposa presto diventa «una grossa lumaca» che si trascina a fatica, «una mongolfiera pronta a volare». Il 25 luglio dell’anno seguente arriva finalmente il momento del parto e la sorpresa sarà strabiliante: sei femmine piangenti e vitali, «tre maschi lividi come melanzane mature». Come avrebbero fatto a mantenere tutte quelle figlie? Ma il proverbio dice “Dio manda il freddo secondo i panni”, così le bambine crebbero bene grazie al lavoro del padre falegname e al provvidenziale aiuto, come si usa ancora nella Sardegna più tradizionale e come ci ha insegnato l’esempio recente di Michela Murgia, di due “madri d’anima” e di sei caprette, generose del loro latte. Bellissimo e forte questo legame che si crea, al di là della parentela, fra figli e figlie e madri che si affiancano a quelle naturali, non le sostituiscono ma ci sono, ne fanno le veci al bisogno, portano tutto il loro sostegno ― affettivo, economico, concreto ― nell’allevare e istruire quella prole che hanno scelto (o da cui sono state scelte, per qualche caso del destino). Così faranno la maestra di parto Donisia e tzia Luisa, la biscottaia, perché per una sola donna è impossibile prendersi cura di sei gemelline: una piange, una dorme, una ha fame, una va cambiata…

Al compimento del primo anno delle piccole, Basilia muore di consunzione e poco dopo il marito, «un uomo che le adorava i pensieri», distrutto dal dolore, si uccide. Le orfane si trasferiscono per una diecina di anni in un altro paese dove vivono serenamente, accudite con amore dalle mamas de anima con l’aiuto dell’anarchico Mercuriu. Ma sta per arrivare l’evento che segnerà per sempre le loro vite, portandole sulla strada dell’implacabile vendetta. Una strana figura, mezza donna e mezza capra, Giustina Balizza, consegna loro una chiave che potranno utilizzare solo da adulte: il 10 ottobre 1959. In una vecchia scatola di latta troveranno il diario della madre e capiranno, finalmente. «La cosa che però incuriosì per prima le ragazze fu il ricamo fatto con mano leggera sul tovagliolo. Si trattava di un cuore trafitto che sanguinava e due nomi legati da un sottile filo rosa: Basilia Pistichinzu-Paska Bachile». Un amore forte, profondo, tenero e appassionato, il loro, «più grande di una camicia di forza», quanto mai pericoloso in una comunità «di ciechi vedenti come Bodolai».

Salvatore Niffoi

La cattiveria maschile non si farà attendere e avrà il suo corso nel modo che si può immaginare. Inizia così la seconda parte del romanzo: “O felix culpa!” suddivisa in sei capitoli, in cui assistiamo alla pianificazione e attuazione della vendetta in nome delle sofferenze patite dalla mamma. Uno alla volta i sei carnefici saranno stanati e puniti come meritano, ciascuno da una figlia: le bellissime e impavide Ottavia, Doloretta, Fatima, Mitilla, Mandina e Zirolama. Rimaste sole una seconda volta, sono diventate abili pasticciere e con la loro arte, unita al fascino che esercitano su ogni uomo di Noroddile, sapranno imbastire trame degne di assassine professioniste. Come ha scritto efficacemente in una bella recensione Maurizio Crosetti: «ha passaggi da brivido, questo libro selvatico e remoto» in cui si compie un destino ineluttabile e «la ferocia si alterna ai palpiti del cuore» (Robinson, 29-7-23). Naturalmente non va svelato altro: a chi legge il piacere, il gusto di scoprire le astuzie adoperate dalle figlie di questa terra affascinante e sorprendente e di assaporare la ricca prosa di Niffoi, che talvolta inserisce in modo sapiente espressioni, modi di dire, proverbi, rime in “limba”.

L’epilogo comprende tre sole pagine intitolate “Il lenzuolo della vergogna”: che fine abbiano fatto le sei gemelle nessuno lo sa, si fanno le ipotesi più fantasiose: sono volate in cielo come colombe, sono fuggite all’estero, sono diventate missionarie, o forse si sono suicidate; qualche vecchia conosce la verità e ricorda, esposto alla finestra, quel lenzuolo insanguinato con la scritta “Assassinos maleittos!”. Ma lo scrittore si accomiata con una immagine di rara poesia e di grande bellezza: «Se dopo aver sentito questa confessione arriva in fretta la sera alzate lo sguardo al cielo. Vedrete una stella cadente a forma di cuore precipitare sopra Punta S’Astore, che con la sua coda di capretta illumina tutta la vallata di Biduvì».

Salvatore Niffoi
Nate sotto una cattiva luna
La nave di Teseo, Milano, 2023
pp. 176

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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