Per prima cosa comincio dalla conclusione: questa storia non è a lieto fine. Un po’ perché non è ben chiaro come sia andata davvero a finire, un po’ perché nelle cosiddette dispute tra “Davide” e “Golia” non è sempre Davide a vincere. Non bisogna però pensare a una storia del passato recente o del presente, per parlare di questa storia bisogna riandare al Medioevo, quando le banche e i banchieri sono soprattutto italiani, e spesso fiorentini, e alle donne l’accesso al credito e alle attività finanziarie non è garantito. Perché la protagonista di questa storia è una nobildonna francese, provenzale per l’esattezza, Sybille de Cabris che nel XIV secolo si oppone alle logiche affaristiche di un gruppo di banchieri di Firenze, i Buonaccorsi, associati ai più potenti e ricchi Bardi e Peruzzi.
Tra Duecento e Trecento lo sviluppo delle attività artigianali e commerciali e l’aumento delle produzioni agricole consentono il notevole incremento dei commerci via mare e via terra.

Si rende necessaria la circolazione di denaro, tanto denaro, per gli scambi e le compravendite; aumentano le richieste di valute forti capaci di garantire acquirenti e venditori; serve proteggere le ingenti somme di denaro in circolazione, le transazioni economiche e i guadagni. Man mano che il mondo economico apre le sue ali e si sviluppa, vengono trovate soluzioni e individuati nuovi modi di organizzazione, forme di prestito e di credito agili e veloci, di depositi rapidi e altrettanto rapidi spostamenti di valuta con emissioni di lettere di cambio e ordini di pagamento. Nascono le banche e con loro i banchieri che per il re di Francia Filippo IV di Valois, detto il Bello, «non portano mai con loro un ducato che sia uno, ma solamente un foglio di carta in una mano e una piuma nell’altra». Dello sviluppo delle attività bancarie si rendono protagonisti non tanto i cambiavalute o i banchi di pegno ma i mercanti, abituati a muoversi in tutta Europa con grandi capitali a disposizione per gli affari commerciali, ma pronti anche ad agevolare operazioni di credito e di prestito soprattutto se a farne richiesta sono aristocratici e sovrani potenti, Papa compreso.

È con loro che Sybille de Cabris si scontra, come ha efficacemente narrato Amedeo Feniello nel prologo del suo libro Dalle lacrime di Sybille. Storia degli uomini che inventarono la banca, pubblicato nel 2013 da Laterza.
Sybille nasce dopo il 1315 in Provenza in una famiglia altolocata, nobile e potente che ha possedimenti in Francia e nel meridione italiano. Sposa nel 1335 il Signore della Val d’Entrevennes Annibal de Monstiers, portando in dote la ragguardevole somma di 2000 fiorini. Le cronache sottolineano che gli sposi, entrambi belli e aristocratici, si amano e non nascondono nell’intimità delle loro stanze effusioni e piaceri. Un matrimonio felice che ha però brevissima durata: nell’autunno dello stesso anno, durante un torneo cavalleresco, Annibal ha un incidente fatale e, non ancora ventenne, Sybille rimane vedova e in attesa di un erede. La condizione vedovile rende subito precaria la sua posizione all’interno della famiglia de Monstiers, che rivendica i beni del defunto e accusa la giovane di mentire sulla gravidanza. La famiglia d’origine di Sybille la affianca nella battaglia sull’eredità e il padre le impone di farsi visitare, decisione che la ventenne vedova accetta. Sono alcune donne a verificare la sua gravidanza, peraltro già avanzata, e, come raccontano i documenti, a raccogliere la testimonianza di Sybille di aver sentito il bambino muoversi dentro di lei. I dubbi sono ormai fugati e, dopo la nascita del piccolo Annibaldellus, la madre ottiene la sua tutela e la responsabilità della gestione dell’eredità e dei possedimenti, non senza ulteriori ostacoli da parte della famiglia de Monstiers. Deve intervenire il Re di Napoli Roberto d’Angiò, legato alla famiglia di Sybille da forti legami, per risolvere definitivamente la questione: tutrice di Annibaldellus sarà Sybille ma a condizione che resti vedova e non contragga più matrimonio e tanto meno abbia altri eredi.
La realtà politica ed economica è precaria un po’ ovunque in Europa, le ripetute carestie rendono instabili i mercati e i traffici economici e, di riflesso, i patrimoni di molte famiglie nobili e di molti gruppi finanziari. Presto cominciano a esserci ripercussioni anche sulla vita di Sybille e del suo bambino, la giovane donna si vede costretta a prendere alcune decisioni importanti e, dimostrando di essere una donna di carattere e di ingegno, comincia a razionalizzare l’assetto del patrimonio dinastico che deve gestire. Decide quindi di recidere alcuni “rami secchi”, li chiameremmo così se fossimo ai giorni nostri i possedimenti che rendono poco o nulla e che, in aree geografiche troppo lontane, non possono essere controllati a dovere. È il caso del Castrum Fontana in Campania, messo in vendita per poter acquistare in Provenza un altro immobile. La lontananza, ma anche la sua condizione di vedova con un bambino piccolo, non permettono a Sybille di seguire da vicino la compravendita e la nobildonna si affida a una persona di fiducia, Audibert Raymband che per tre anni, dal 1339 al 1342, si occupa della faccenda. Al termine delle trattative il possedimento viene venduto per 1591 fiorini, una somma non da poco che viene depositata nell’agenzia di cambio di un mercante fiorentino ‒ Matteo Villani ‒ che a Napoli si è associato alla compagnia dei banchieri Buonaccorsi, di Firenze anche loro.

Come si fa ormai da decenni in tutta Europa, i soldi devono essere girati da Villani in un’agenzia dei Buonaccorsi ad Avignone, in modo che possano essere presto nella disponibilità di Sybille senza rischi e preoccupazioni. Ancora una volta il compito viene affidato ad Audibert Raymband ma qualcosa di molto grave accade. L’agente di Avignone, Bettino Buonaccorsi, dopo aver promesso la restituzione della somma, scompare e come lui le persone dell’agenzia di Napoli. Tutta la compagnia dei banchieri fiorentini dichiara fallimento e con loro anche altre compagnie ben più grosse, come quella dei Bardi e dei Peruzzi. Un crac senza precedenti che purtroppo non sarà l’ultimo. Non è difficile immaginare lo scoramento nell’animo di Sybille che, si legge nei documenti dell’epoca, viene trovata «nella sua casa in lacrime e completamente distrutta». Sarebbe difficile anche ai nostri giorni affrontare una realtà così ardua e complessa, figuriamoci per una donna del XIV per quanto nobile, potente e volitiva. Il capitalismo finanziario è al suo esordio, non solo coi suoi traffici ma anche con le sue crisi, i suoi fallimenti, le sue bancarotte e non esiste un ordinamento giuridico che possa guidare, che possa indicare risposte o individuare soluzioni.
Sybille non si arrende e vuole avere giustizia. Come scrive Amedeo Feniello nel suo libro, la sua battaglia diventa «la guerra di tanti altri che affrontarono una dura lotta per rientrare in possesso di ciò che spettava loro ed era sfumato coi fallimenti. Tanti, sparsi dappertutto che, come lei, il crac delle banche fiorentine non lo avevano potuto vedere da vicino, coi loro occhi, nell’assalto agli sportelli dei Bardi e Peruzzi, nelle facce inferocite dei correntisti. Ma lo avevano provato duramente sulla loro pelle».
Luglio 1355: dopo circa dieci anni dalla bancarotta, Sybille decide di aprire una controversia contro i banchieri di Firenze. In quel decennio appena trascorso l’Europa ha vissuto uno dei suoi periodi più difficili, con il fallimento delle banche, capace di indebolire le finanze dei privati ma anche degli Stati, il succedersi di carestie e perdite di raccolti e infine la terribile pestilenza del 1348 ‒ la cosiddetta peste nera ‒ con milioni di vittime in tutto il continente.

È probabile che tutti questi fattori abbiano ostacolato qualsiasi rivalsa della donna, ma ora Sybille è decisa e sceglie un notaio-procuratore, ser Zanobi di Buonaiuto Benucci, che il 13 gennaio 1357 riesce ad avviare la causa presentando denuncia formale della sua cliente presso il Tribunale della Mercanzia di Firenze. In tribunale il notaio espone i fatti, documenta le prove, ma la compagnia di banchieri è pronta a contrattaccare, non tanto sul piano di ciò che è accaduto, che non può più essere cambiato o discusso, quanto su quello delle procedure. Per prima cosa si cerca di indebolire la figura di ser Zanobi, esigendo la legittimità del suo ruolo del suo incarico, cosa non facile vista la distanza tra Firenze e la Val d’Entrevennes in Provenza. L’importante per le banche fiorentine è guadagnare tempo. E infatti di tempo ne trascorre parecchio «e quella che sembrava una causa vinta si sta trasformando in un calvario, in una montagna dolorosa fatta di incartamenti, di protocolli e di burocrazia».
Le cose si ingarbugliano sempre di più. La presentazione di due procure notarili, una firmata da Annibaldellus e un’altra di tre giorni dopo, a firma di sua madre, entrambe risalenti all’estate del 1355, blocca ulteriormente i lavori processuali: la difesa delle banche insinua l’ipotesi che la donna al momento dell’apertura della causa fosse morta, che ci sia sotto un raggiro, un imbroglio. Il Tribunale di nuovo interrompe tutto, bisogna accertare i tempi e l’esistenza in vita della donna. Viene poi fuori una trascrizione errata del cognome di Sybille ‒ errore voluto? semplice distrazione di uno scrivano? ‒ che da de Cabris si trasforma in de Capris, lasciando ipotizzare origini campane e non provenzali della donna. Di nuovo tutto da capo. Ci si vede costretti a partire da un nuovo accertamento delle generalità della vedova francese, delle sue proprietà, della compravendita e delle somme di denaro movimentate anni prima tra Napoli e Avignone. Per fare questo il Tribunale della Mercanzia di Firenze chiede di raccogliere le testimonianze di persone che la conoscano.

Quindi nel settembre del 1359, dopo oltre due anni dall’inizio del processo, il procedimento si sposta dalla Toscana in Provenza alla ricerca della “verità” su Sybille e sulla sua vita, notizie che vengono snocciolate pubblicamente senza che la donna possa opporsi, quasi fosse lei la colpevole. Acquisite le testimonianze e, attraverso esse, ricostruite le vicende accadute, i banchieri fiorentini lanciano un’ulteriore sfida: come possono essere pagati a Firenze, dove le vicende processuali hanno luogo, i 1591 fiorini se i fatti accertati sono accaduti presso le agenzie di Napoli e Avignone, ormai chiuse definitivamente dopo il fallimento?
Il tempo ha fatto arrivare ai giorni nostri gli atti completi del processo fino alla data del 12 luglio 1362, giorno dell’ultima udienza tenuta quattro anni e mezzo circa dopo l’avvio della causa. Gli archivi non ci consegnano però la conclusione degli avvenimenti, non sappiamo se Sybille abbia vinto, abbia perso, sia nel frattempo morta o abbia semplicemente gettato la spugna.

Come lei moltissime altre persone di tutta Europa che chiedono giustizia e i loro soldi. Anche la Curia di Roma è stata coinvolta nello scandalo del fallimento dei banchi fiorentini, ma per il Vaticano e il Papa, che nel 1343 lancia un interdetto divino sulla città di Firenze, le cose vanno un po’ meglio. Per tutti gli altri no, «per quella massa di uomini e donne ‒ conclude Amedeo Feniello ‒ che vengono trascinati via dall’onda della tempesta perfetta. Per loro, del successo mercantile non resta più neanche il miraggio, ma solo il senso inutile di “cuvidigia di guadagnare da signori”, la rapacità e il rischio di mettere “la loro e l’altrui pecunia in loro potere e signoria”». Vi ricorda qualcosa?
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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.
