Via Torino n° 7. L’ultima dimora di Rose Montmasson

«Ebbi la fortuna di conoscere Rosalia Montmasson il 5 maggio 1860, mentre col marito Francesco Crispi, saliva a bordo della nave, in cui si trovava Giuseppe Garibaldi, la nave che conduceva i Mille a Marsala. Da Quarto a Marsala, Rosalia Montmasson non si occupò che di tutto quello che poteva servire ai garibaldini. A Calatafimi assistette i feriti con fede, con diligenza ed amore. Non mi dilungherò sulla vita della valorosa donna che cooperò grandemente alla indipendenza d’Italia e fu una delle grandi amiche del nostro Paese. Le porgo l’ultimo saluto.» Queste sono le parole pronunciate dal senatore Francesco Cucchi durante la cerimonia funebre di Rose ‒ Rosalia ‒Montmasson il 12 novembre 1904. Un funerale con «molte corone e nessun prete», come venne scritto nell’articolo dedicato dal Giornale di Sicilia, al quale parteciparono pochi parenti, qualche personaggio politico, gruppi di reduci garibaldini, alcune fedeli amiche e l’anziana cognata Maria Crispi che, nei giorni precedenti, aveva vegliato la salma nell’appartamento di Rose, al primo piano del civico 7 di via Torino.

La casa di Rose Montmasson in via Torino, foto di Marinella Mundula

Sulla parete del palazzo andrebbe collocata una targa simile a quella che l’Amministrazione comunale di Firenze ha posto sull’edificio in cui visse con il potente marito Francesco Crispi, una targa immaginaria che ricordi l’ultima dimora di Rose, quella degli anni bui e appartati della vecchiaia, quando deliberatamente venne cancellata dalle pagine della Storia e resa invisibile alle generazioni che seguirono.

Targa commemorativa in via della Scala a Firenze

Gli ultimi anni della vita di Rose Montmasson sono più oscuri e solitari rispetto a quelli dell’entusiasmante partecipazione alla storia d’Italia. Dopo la fine del matrimonio con Francesco Crispi, il terribile periodo dell’istruttoria di bigamia e la sentenza assolutoria politicamente manovrata in favore dell’uomo politico, Rose visse in maniera semplice e discreta, quasi impercettibile, lontana dalla vita pubblica. Ogni volta però che per strada o in occasione di manifestazioni pubbliche veniva riconosciuta, il calore e l’affetto delle persone la rinvigorivano scorrendole nelle vene come linfa vitale.
Su di lei si ricorda un giudizio di Mazzini ‒ «Essa certamente non è dei moderati» ‒ che con poche parole tratteggiò un lato significativo di questa donna indomita, capace di azioni coraggiose, tenace, fedele fino all’ultimo alle idee politiche che l’avevano guidata durante la lotta per l’unità d’Italia.

Rose Montmasson, foto di Alessandro Pavia fotografo ufficiale della spedizione dei Mille, dall’Album dei Mille, Palermo,
Archivio comunale
Giuseppe Mazzini

Moglie di umili origini, che si era adattata a fare qualsiasi mestiere per poter andare avanti e permettere a Crispi di continuare l’impegno politico, Rose a un certo punto della vita coniugale divenne un impiccio: più il marito diveniva potente uomo di Stato, più lei diventava figura scomoda e ingombrante. Tanto che non bastò ridimensionarla, fu necessario cancellarla del tutto. Su di lei calò un doppio cono d’ombra: quello voluto da Crispi, che non la ricordò in alcuno scritto dedicato agli anni della lotta per l’unità italiana, e quello destinato a tutte le donne del Risorgimento. Così per moltissimo tempo fu rimossa la sua partecipazione alla spedizione dei Mille ‒ unica donna imbarcata a Quarto ‒ e la sua adesione alla lotta politica unitaria venne interpretata come il gesto avventato di una donna innamorata, pronta a seguire il suo uomo senza alcuna valutazione delle conseguenze. Con il tempo invece Rose aveva maturato il suo pensiero politico di fiera mazziniana e aveva imparato a valutare ogni azione. Molte volte aveva partecipato a riunioni clandestine, era partita per consegnare ai gruppi cospiratori messaggi, dispacci e volantini, aveva trasportato armi nascondendole sotto le vesti o in ceste di frutta e ortaggi: in fondo era solo una donna, a chi poteva far paura? E così aveva cominciato a servirsi di ogni stereotipo femminile e a trasformarlo in vantaggio, un efficace modo per mimetizzarsi.
Poco tempo prima della spedizione dei Mille, Rose aveva compiuto da sola una pericolosa missione in Sicilia utile a preparare le basi dell’azione garibaldina, tessere le reti di contatto e collegamento, incontrare i comitati rivoluzionari, consegnare lettere, sempre sfuggendo ai controlli della polizia borbonica. Aveva dato prova di coraggio, sangue freddo, fedeltà alla causa e efficacia organizzativa, un posto sulla nave in partenza da Quarto sentiva di meritarlo e quel posto fu suo. Fu definita l’ “Angelo di Calatafimi” per l’abnegazione, la forza e il coraggio con cui soccorse i feriti in mezzo al fuoco incrociato delle armi.
Venne cancellata dalla Storia risorgimentale ma lei, di quelle vicende, fu protagonista. La medaglia dei Mille era lì a ricordarlo ogni giorno, nella sua casa in via Torino. Era stato Garibaldi a consegnargliela, la cronaca dell’evento, sul giornale L’Indipendente del 5 novembre 1860, portava la firma di Alexandre Dumas: «Il Generale si alzò, le andò incontro, le prese la mano e disse: “Io vi presento Madama Crispi, la quale ha meritato al pari di ciascuno di voi la Medaglia di Marsala. Ella è la sola donna che fosse allora nell’armata e in mezzo al fuoco, e sul campo di battaglia […]”». Negli anni della vecchiaia quella medaglia restò a farle compagnia insieme ad altre onorificenze, alla camicia rossa con cui volle essere sepolta e a una piccola croce di diamanti che i reduci della spedizione dei Mille le vollero donare a Firenze, prezioso omaggio consegnatole di nuovo da Garibaldi in persona. Nelle stanze del piccolo appartamento di via Torino Rose avrà spolverato quei cimeli, accarezzati e guardati mille volte, ogni volta i ricordi saranno prepotentemente tornati alla mente insieme alle amarezze queste, forse, più annacquate col passare del tempo.

Rose Montmasson, 1861
Francesco Crispi

Delle poche notizie sugli anni della vecchiaia trascorsi nella casa di Via Torino dobbiamo ringraziare Maria Attanasio e la ricostruzione biografica e storica del suo libro La ragazza di Marsiglia, attraverso le cui pagine si è resa giustizia e ridato spessore a una figura deliberatamente fatta scomparire. E in quelle pagine si apprende di un busto di Rose, realizzato dallo scultore Salvatore Grita insieme a quello di Crispi, entrambi commissionati dal marito Francesco alla fine degli anni Ottanta del XIX secolo. Rose appare con il volto leggermente girato e gli occhi rivolti verso un punto distante, le medaglie appuntate sul petto, risoluta e fiera come deve esserlo una donna di coraggio. Una scelta di raffigurazione molto distante da quella che, in anni più recenti, è stata fatta per il monumento dedicato a Crispi nel Comune di Ribera in provincia di Agrigento.

Salvatore Rizzuti, Monumento a Francesco Crispi, 2011, Ribera (AG), foto di Giovanni Salvio

Crispi, seduto su un alto scranno come si conviene a un grande statista, il nome in evidenza sul basamento, è raffigurato in avanti con gli anni ma con l’atteggiamento austero di chi ha in mano le sorti dello Stato. Accanto a lui, in piedi e arretrata, una giovane figura femminile dal corpo flessuoso messo in evidenza da un abito leggero che modella fianchi e busto, le spalline scese sugli omeri; la spada nella mano destra dovrebbe indicare la sua partecipazione alla lotta, senza riuscirci.

Monumento a Francesco Crispi, particolare del basamento, Ribera (AG), foto di Giovanni Salvio
Monumento a Francesco Crispi, la figura di Rose Montmasson, Ribera (AG), foto di Giovanni Salvio

Nessun nome, nessun riferimento storico, nessuna somiglianza nei tratti che possa indicare che si tratta di Rose Montmasson. Eternamente giovane, obbligatoriamente sensuale, necessariamente anonima e un passo indietro rispetto al marito: più stereotipi di così!

Monumento a Francesco Crispi, particolare della figura di Rose Montmasson, 2011, Ribera (AG), foto di Giovanni Salvio

Rose ‒ Rosalia ‒ Montmasson volle essere sepolta con la sua camicia rossa garibaldina nel cimitero del Verano di Roma. L’aveva detto Mazzini: «Essa certamente non è dei moderati» e non lo fu, fino alla fine.

In copertina: Vincenzo Azzola, Imbarco di Garibaldi a Quarto, dopo il 1860, Torino, Museo nazionale del Risorgimento.

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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.

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