Marina Abramović in mostra a Londra

Se capitate a Londra in queste settimane, non potete non accorgervi di quei grandi poster che, insieme alle decorazioni natalizie, tappezzano ogni angolo della città, grandi cartelloni pubblicitari che raffigurano in primo piano il volto dell’artista Marina Abramović in molteplici espressioni.

Le espressioni di Marina Abramović sui manifesti della mostra

La capitale inglese intende rendere omaggio alla pioniera della performance con una grande retrospettiva allestita negli spazi della Royal Academy of Arts e aperta al pubblico dal 23 settembre al 1° gennaio 2024. È la prima artista donna nei 255 anni di storia dell’istituzione londinese ad avere una personale nei suoi spazi. La mostra si trasferirà poi ad Amsterdam e successivamente a Zurigo, Tel Aviv e Vienna. Axel Rüger, direttore generale della Royal Academy of Arts, ha ammesso: «È vero, alla Royal Academy non abbiamo mai fatto molto con la performance art in passato, quindi questo è un capitolo completamente nuovo anche per noi». Rinviato ben due volte a causa dell’emergenza Covid, questo evento senza precedenti per il Regno Unito, organizzato in stretta collaborazione con la stessa Marina Abramović, ripropone dal vivo alcuni dei suoi più importanti interventi performativi. È un’occasione straordinaria per conoscere alcune delle più celebri creazioni dell’artista (per chi non la conoscesse ancora!), e ripercorrere una carriera di oltre cinquant’anni, attraverso una ricca panoramica di oggetti utilizzati durante le sue audaci performance, fotografie, video, e installazioni. La rassegna fa di lei la vera protagonista di questo autunno londinese.

Royal Academy of Arts, Londra, 2023
Una delle sale della mostra

Marina Abramović è conosciuta per il suo lavoro provocatorio e innovativo, le sue opere coinvolgono spesso il suo corpo, spingendolo fino ai limiti della tolleranza fisica e mentale. Nata nel 1946 a Belgrado, nell’attuale Serbia, e formatasi inizialmente come pittrice all’Accademia di Belle Arti di Belgrado, si è avvicinata alla performance nei primi anni Settanta; dal 1975 al 1988 ha collaborato con il compianto artista tedesco Ulay, suo partner in quel periodo, esplorando le relazioni umane e le duplicità maschili e femminili. Nel 1989 è tornata a lavorare da sola, dando vita a esibizioni che hanno suscitato tante polemiche, ma hanno avuto anche un forte impatto sul mondo dell’arte contemporanea.

L’anno scorso la performer ha avuto una gravissima embolia polmonare ed è stata sottoposta a tre interventi chirurgici e otto trasfusioni. Ancora convalescente, le è stato proibito di viaggiare in aereo e per l’organizzazione di questa mostra è venuta da New York in nave, impiegandoci una settimana. Quindi, salvo qualche sua esibizione estemporanea, le performance saranno eseguite da performer, che lei stessa ha scelto dal mondo della danza e del teatro, e meticolosamente preparato per il compito.

La mostra, curata da Andrea Tarsia, direttore delle mostre alla Royal Academy, non ha una struttura cronologica, ma tematica, è divisa in diverse sezioni, ognuna delle quali racchiude un periodo dell’attività artistica di Marina Abramović. Parte con una sezione dedicata all’interazione dell’artista con il pubblico e comincia con due opere iconiche dell’artista serba: Rhythm 0 del 1974 e la celeberrima The Artist is Present del 2010, due lavori che a distanza di più di trent’anni l’uno dall’altro dimostrano lo sviluppo del linguaggio di Abramović. In Rhythm 0 l’artista, in piedi immobile per otto ore, si era presentata come oggetto da usare a proprio piacimento da parte del pubblico, che poteva infierire su di lei o darle conforto, scegliendo tra settantadue oggetti esposti su un tavolo: coltelli, martelli, catene e persino una pistola, ma anche acqua, cibo, batuffoli di cotone, fiori, un flauto. Le reazioni del pubblico furono violente: qualcuno arrivò perfino a spogliarla, tagliuzzarle la pelle e puntarle la rivoltella sul collo. In mostra è possibile vedere il tavolo con i settantadue oggetti.

Il tavolo di Rytm 0

In The Artist is Present, al MoMA di New York, riprodotta per l’occasione con un’installazione video, Abramović ha trascorso tre mesi seduta in silenzio a un tavolo, guardando negli occhi il visitatore/la visitatrice che a turno le si sedeva di fronte. Furono 850 mila le persone che parteciparono all’evento, rompendo ogni record di affluenza per una mostra di artista vivente.

The Artist is Present, MoMA 2009

«L’arte è piena di dolore: sono pochissime le opere d’arte che nascono dalla felicità», sostiene Marina. E alla sofferenza emotiva si riallaccia la sezione dedicata al sodalizio artistico e personale col compagno Ulay, durato dal 1975 al 1988. Durante questo periodo, i due performer hanno sondato insieme i limiti del corpo, per produrre arte; per tre anni hanno portato in giro per l’Europa le loro performance vivendo in modo nomade su un vecchio furgone della polizia, riadattato all’uso e ridipinto di nero.

In Relation in time, del 1976, i due artisti, seduti schiena contro schiena per sedici ore, avevano i capelli stretti insieme in un’unica pettinatura. Il pubblico, ammesso solo nell’ultima ora, trovava un essere creato dall’insieme di maschile e femminile come fosse una terza entità fatta di entrambi, ma, nonostante i due innamorati fossero intimamente legati (i capelli intrecciati insieme), non si guardavano in volto e non riuscivano a comunicare.

Marina Abramović e Ulay in Relation in time, 1976
Marina Abramović e Ulay in AAA-AAA ,1978

Il loro rapporto finì nel 1988, come documentato da The Lovers, The Great Wall Walk, sulla Muraglia cinese, dove i due artisti avevano intrapreso per novanta giorni un cammino partendo dalle estremità opposte, per poi incontrarsi brevemente nel mezzo e annunciare la loro separazione.

The Lovers, The Great Wall Walk, 1988

Occupa un posto di rilievo nella mostra una delle sue performance più iconiche, Balkan Baroque, messa in scena alla Biennale di Venezia nel 1997, che le è valso il prestigioso Leone d’Oro. In quest’opera la Abramović ha lavato meticolosamente un mucchio di ossa ricoperte di sangue, in un rituale di purificazione per le stragi avvenute durante la guerra nei Balcani.

Balkan Baroque

Inoltre, la mostra della Royal Academy presenta quattro performance dal vivo, realizzate da artisti/artiste che l’Abramović ha formato con cura per l’occasione, per riperformare le azioni e affrontare le migliaia di persone in visita ogni giorno.

Imponderabilia, 1977-2023

In Imponderabilia del 1977 una donna e un uomo si ergono come ante umane di un uscio che porta ad un’altra stanza; il pubblico è invitato ad attraversare la porta strisciando in mezzo ai loro corpi nudi. E dal momento che lo spazio è strettissimo, non ha la possibilità di passare guardando dritto, ma deve per forza scegliere se rivolgersi a lei o a lui.

In Nude with Skeleton del 2002, ispirata all’usanza dei monaci tibetani di dormire al fianco dei morti, uno scheletro giace supino sopra la performer, che è nuda; il corpo vivo e quello morto sono perfettamente allineati, e tutto lo scheletro si anima seguendo i movimenti del respiro del corpo vivo. In questo modo la vita e la morte vengono rese visibili contemporaneamente.

Nude with Skeleton, 2002-2003

Il video che chiude la mostra è The House with Ocean View eseguita per la prima volta nel 2002: in questa performance estrema Abramović ha vissuto ininterrottamente per dodici giorni consecutivi per ventiquattro ore al giorno in una specie di casetta nella Sean Kelly Gallery di New York, digiunando e bevendo solo acqua, senza parlare o lasciare il set. Anche questa performance è realizzata dal vivo da performer che, come aveva già fatto Marina, per dodici giorni digiuneranno, bevendo solo acqua, rimarranno in silenzio e non lasceranno la scena.

The House with the Ocean View, 2002

L’esposizione si conclude con una sezione dedicata all’energia della natura, dove figurano oggetti realizzati dall’artista nel tentativo di dare forma a questi flussi di forze invisibili.

In copertina: Marina Abramović alla Royal Academy of Arts – Londra, 2023.

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Articolo di Livia Capasso

foto livia

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.

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