Carissime lettrici e carissimi lettori, Alleluja! Il Natale di quest’anno celebra noi donne! Lo fa con arte, anzi nell’arte. Festeggia la Nascita con un quadro illustre, del grande Mantegna, che proviene da un museo tra i più visti e amati al mondo, il Correr di Venezia dal cui deposito è quasi miracolosamente sorta, praticamente in tempo per queste Feste, dopo il restauro, una Conversazione, con altissima probabilità attribuibile al grande pittore veneto. Le figure protagoniste di questa tela sono tutte donne. Insieme, chiaramente, a Gesù bambino e a san Giovannino sorretti con naturalezza dalle loro mamme, la Madonna e Elisabetta. Con loro altre figure femminili. Le donne del quadro sono sei. Sono tutte in primo piano in una iconografia – come è stato detto — se non misteriosa, piuttosto insolita. «Il tema non è frequente nel Rinascimento italiano – ha osservato in proposito, in un’intervista, Andrea Belleni, conservatore dei Musei civici e che per primo ha intuito l’importanza dell’opera — ma si rifà a quello fiammingo della Virgo inter virgines, molto amato nelle corti di Francia e Borgogna del secolo XV». Viene citata l’opera di un pittore fiammingo ignoto, conservata al Rijksmuseum di Amsterdam. Il pittore in questione prediligeva a tal punto una tale tematica al femminile che, pur rimanendo sconosciuto il suo nome, viene chiamato come il Maestro della Virgo inter virgines. Ritorniamo alla Conversazione del Correr, tutta rappresentata da donne. La scoperta risale a una decina di anni fa e la si è collegata, soprattutto per le aureole dorate che sfavillano sul capo delle protagoniste, a un’altra Conversazione, questa volta al maschile, un’opera quasi identica nella composizione delle figure, conservata all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston e attribuita proprio al grande genio del Rinascimento. La sicurezza della fattura per entrambe di un’unica mano ha fatto sì che l’opera del Correr venga, a primavera, ufficialmente presentata a Piazzola sul Brenta, che è la terra che ha dato i natali proprio al Mantegna. I due dipinti, sia quello di Boston che quello di Venezia, datato intorno al 1490, presentano la stessa disposizione a semicerchio delle figure. Alcune sono sedute, altre inginocchiate sul terreno. Ma chi sono le donne del quadro? «Non è improbabile – come è stato detto alla presentazione — che nelle corti padane, come quella dei Gonzaga a Mantova, dove l’opera fu forse commissionata, il soggetto fosse così amato da essere richiesto a un pittore locale». Oltre le due figure vestite con abiti antichi (la Madonna ed Elisabetta), le altre dame sono raffigurate in abiti dell’epoca. Ora si pensa che se il dipinto, come si può supporre, è di committenza mantovana, si potrebbe trattare delle nobildonne della corte Gonzaga: «Proprio nel 1490 Isabella d’Este giunse a Mantova, diciannovenne, per sposare Francesco II. Un anno dopo sua sorella Beatrice sposò invece Ludovico il Moro, duca di Milano. Dunque, le tre dame potrebbero essere Isabella e Beatrice (le due figure sulla sinistra, una di profilo in atto di leggere, l’altra inginocchiata) e la madre Eleonora, a mani giunte».
Guasta terribilmente con tutto ciò il livore dato da una proposta di legge presentata da una senatrice di Fratelli d’Italia, Lorenza Mannuni, prima firmataria. Stona l’auspicato progetto con il tono gioioso e di ottica femminile della tela mantegnana donataci quasi misteriosamente dai magazzini del Museo Correr! L’ipotesi consisterebbe, se la proposta di legge venisse approvata, nell’obbligo, da imporre ai e alle Dirigenti scolastici, di non opporsi, in nessun modo e per nessuna causa, all’esposizione dei simboli del cristianesimo, sia a Natale che a Pasqua. Questo si stabilirebbe in una scuola laica e non confessionale, che appartiene per diritto a tutte e tutti gli studenti, come è stato ricordato in proposito da molti e molte e come è dettato, non ce lo dobbiamo dimenticare, dalla Costituzione. Il motivo? La conservazione culturale ipotizzata nostrana: «per salvaguardare le nostre radici».
Storie tristi, di odio e di razzismo. Tanto lo subiscono le donne, del mondo intero. Oggi ci troviamo a piangere l’iraniana Samira Sabzian, la “sposa bambina”, impiccata questa settimana senza che arrivasse per lei la grazia (che poteva concederle la famiglia del marito). L’Iran aveva rimandato la data del 13 dicembre, prima stabilita, forse per far passare in sordina l’impiccagione che aveva destato proteste, seppure non eccessive, nella comunità internazionale. Nel 2013 Samira era stata arrestata con l’accusa di avere ucciso il marito. Un uomo molto più grande di lei e violento che aveva sposato all’età di 15 anni. «In Iran – è scritto in un articolo di un quotidiano — quando una donna maltrattata chiede aiuto, la polizia non può entrare in casa. Se scappa, i giudici devono “riportarla” al marito maltrattante. L’Iran – è precisato — detiene il record mondiale per le esecuzioni di donne: nel 2023 ne ha impiccate 17. Nell’ultimo anno segnato dalle proteste dopo l’uccisione di Mahsa Amini, sono state giustiziate 702 persone, quasi cento in più rispetto all’anno precedente. A novembre, 79. La storia di Samira racconta anche un’altra ingiustizia che avviene con il consenso del regime: il fenomeno delle spose bambine. L’età legale del matrimonio per le ragazze è 13 anni, ma se padre o nonno paterno sono d’accordo, possono sposarsi anche molto prima» (Corriere della sera).
Il pericolo grosso però ora è italiano, riguarda il mondo giudiziario e, cosa non da poco, la libertà di cronaca. Di fatto, come è stato osservato, la norma, se verrà approvata (ora è passata alla Camera) sarà molto peggio. Perché non saranno tutelate le persone arrestate, essendo lecito dare la notizia degli arresti, ma se il lettore e la lettrice non conosceranno l’andamento delle questioni di carattere giudiziario non sarà possibile una riflessione. Esempi ce ne sono. Con una norma simile non sarebbe stato possibile parlare di Messina Denaro e, peggio, non avremmo saputo nulla su Giulia Cecchettin, si sarebbero offuscati quei particolari che hanno fatto riflettere e che forse, lo speriamo, hanno cambiato l’ottica nell’osservazione di avvenimenti gravi come la mafia e i femminicidi. Si è riflettuto sui particolari, non quelli pruriginosi, della cronaca spicciola, soltanto sulle storie di fatti la cui conoscenza ha permesso alle e agli italiani di farsi un’idea precisa di cose importanti, di aprire dibattiti, di essere informati e dunque formati a un pensiero critico e indipendente. Per esempio, una sondaggista come Alessandra Ghisleri non avrebbe potuto fare le osservazioni portate in una trasmissione dove si commentava il delitto Cecchettin guardando dalla parte del carnefice, che è unico, ma anche accomunato per le motivazioni generali, ad altri carnefici che si macchiano di femminicidio. Ghisleri ha parlato dell’accettazione del carcere. Nel caso Cecchettin è partita dalla richiesta di Filippo, l’assassino di Giulia, di farsi arrivare un gioco elettronico da casa. La vita continua, dunque, per chi è in carcere, mentre è finita per la vittima. «Il carnefice – osserva Ghisleri — non si spaventa del carcere, se non, addirittura, persino lo invoca. La cosa importante per loro è togliersi il problema. La donna che hanno ucciso, la compagna di vita era il loro problema e loro se ne sono liberati. Filippo che riprende a giocare in carcere con il gioco elettronico che gli è stato fornito è la vita, la continuazione della vita che Giulia Checchettin non ha più. Questa è la loro rivincita che fa accettare bonariamente anche il carcere». Terribile, tanto orrendo da essere difficile da ammettere. Eppure, è così.
Le leggi dello Stato devono aiutare i cittadini e le cittadine a fare osservazioni e a pensare. Sumaya Abdel Qader, 45 anni, nata a Perugia e figlia di una coppia di migranti giordano-palestinesi, ha tre lauree e tre figli, lavora da quando era ragazza. Ha fatto nascere il primo progetto in Italia contro la violenza sulle donne nelle famiglie musulmane ed è stata la prima consigliera comunale con l’hijab a Milano, eletta come indipendente nelle liste del Pd con la prima Giunta del sindaco Giuseppe Sala. Oggi è dottoranda alla Cattolica di Milano, ha in attivo più libri, tra cui Porto il velo e ascolto i Queen, e collabora per programmi televisivi: «Riprendo le parole della sorella di Giulia, Elena: Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere. Non fate un minuto di silenzio per Giulia, ma bruciate tutto. Ora serve una sorta di rivoluzione culturale. E aggiungo: non bisogna arrivare a sospettare che possano ammazzarci per lasciarli, questi uomini. È sufficiente che non ci rispettino o che siano possessivi, che ci umilino, che non ci lascino esprimere liberamente o che ci sminuiscano. È anche sufficiente sentirsi a disagio con loro per dire “basta” anche se a volte si sta bene insieme. Nessuna donna ha bisogno di un uomo così. Nessuna donna ha bisogno di un uomo. Si sta con chi si ama e ci ama nel rispetto reciproco, nella pari dignità e cooperazione, con dei sogni condivisi e obiettivi comuni. Altrimenti no». Una bella lezione sentimentale!
Guardiamo a un’altra vittoria femminile. L’ha conquistata una piccola donna, di appena otto anni di età, che promette e in parte ha già conquistato il regno degli scacchi. Si chiama Bodhana Sivanandan, fa la terza elementare in una scuola di Londra e le sue origini sono nel subcontinente indiano. A Zagabria ha vinto un torneo nella categoria femminile e in quella juniores, arrivando a sfidare nella finale assoluta il due volte campione di Romania e sconfiggendo nel corso della competizione numerosi gran maestri e provetti giocatori adulti. Di lei è stato detto che «ha realizzato il miglior risultato della storia per una ragazza al di sotto dei dieci anni (33 vittorie consecutive), con una prestazione pari all’esordio, nel 1986 a New York, dell’ungherese Judit Polgar, che all’epoca aveva nove anni, e che diventò poi la numero uno del mondo ed è tuttora considerata da alcuni la più forte giocatrice di tutti i tempi» (La Repubblica). Questo paragone fa pronosticare a Bodhana un futuro analogo e conferma la cancellazione di stereotipi sulle donne, oltre a rimandare alla ragazzina prodigio della famosa serie della piattaforma televisiva che l’ha trasmessa qualche anno fa (La regina degli scacchi, Netflix).
Invece è intitolato Ragazze sottomesse un post su un social che sa di amarezza: «ll 27 gennaio, Fabiana, cantante napoletana pop — annuncia il post — salirà sul palco del Palapartenope per cantare dal vivo il suo repertorio, tra cui Malessere, una canzone in cui si esalta in dialetto napoletano il tipo di maschio bullo, geloso, violento. Alla ragazza del bullo piace che lui le vieti di uscire con le amiche, che faccia il geloso davanti alla gente, che si arrabbi se qualcun altro la guarda, che venga con la motocicletta sotto il balcone pure all’una di notte. Deve essere un guappo griffato, con capelli rasati fino a metà nuca, molto Gomorrastyle, con atteggiamenti che vanno dallo spavaldo allo sprezzante, spesso a torso nudo con tatuaggi ovunque. Non interessa che sia laureato e neppure educato. Sembra che su Tik Tok Fabiana abbia moltissimi fans, anche di sesso femminile. Il sindaco di Napoli è preoccupato per questa “subcultura urbana che esalta comportamenti negativi presenti anche nella musica trap nel nord Italia” dove la donna è al centro di violenze e disprezzo. Ecco un tema da affrontare con i giovani e le giovani. Perché Fabiana ha tanti fans? Perché il trap attira? Perché questi messaggi riescono ad affascinare?» Se lo chiede nel messaggio social una psicoterapeuta affermata come Anna Ferraris Oliverio che ha insegnato, a Roma, Psicologia dello sviluppo. «Avrei potuto scegliere un ragazzo educato ma mi piace il Malessere», una frase che si ripete spesso nei social. Autrici di frasi simili ragazzine dai 14 anni in su. Un brutto segnale ispirato da tanti “eroi” musicali nelle cui canzoni abbondano il sessismo e il disprezzo di genere.
Dopodomani il mondo cristiano celebra il Natale. È la festa per eccellenza dei bambini perché si festeggia la nascita di un bambino che, qualsiasi cosa si possa dire e come si voglia giustificare la sua venuta, da credenti o non credenti, è sempre simbolo dell’infanzia profuga e colpita. Perché il Cristo si vuole nato in una mangiatoia mentre i genitori migravano in altre terre, in cerca di un luogo di accoglienza. Questo Natale invece è bagnato dal sangue di tanti bambini e bambine vittime inconsapevoli delle guerre. Allora vorrei dedicare la poesia di oggi, antivigilia di Natale, alla sofferenza dei tanti bambini e bambine che soffrono e muoiono a Gaza, non solo da oggi. Che arrivi come consolazione, per quel che è possibile, per quanto possa arrivare, a tutti e tutte le piccole anime che, senza capire il perché, soffrono e, soprattutto, muoiono. I versi sono di un noto poeta palestinese: Khaled Juma. Juma ha scritto e adattato diverse opere teatrali, tra cui Gaza, Your Sea, un musical di danza che è stato l’apertura del primo Sea Festival, e un musical basato su Il piccione, la volpe e l’airone di Kalila Wa Dimna, composto da Moneim Adwan ed eseguito al Festival di Aix en Provence, in Francia. Ha anche scritto oltre 100 canzoni in arabo classico e dialetto palestinese, molte delle quali sono state eseguite da musicisti palestinesi di spicco. Le sue opere sono state tradotte in diverse lingue, inclusi l’inglese, il francese, lo spagnolo, il tedesco, il bulgaro, il norvegese e l’olandese. «La poesia Oh bambini mascalzoni di Gaza è un’opera straordinaria che affronta il tema del conflitto israelo-palestinese, con particolare attenzione alle sofferenze dei bambini di Gaza. Scritto durante l’assalto israeliano a Gaza nel 2014, il poema inizia con un tono nostalgico, ricordando le monellerie e il caos che i bambini di Gaza avevano causato nei loro quartieri prima della guerra. Tuttavia, il finale del poema si trasforma in una lamentazione struggente, implorando i bambini di tornare e sottolineando la drammaticità delle perdite subite durante il conflitto. Il poema riflette l’immensa tragedia che colpì i bambini di Gaza e di cui l’Onu riferì nel 2014 che l’esercito israeliano uccise 2.251 palestinesi a Gaza, di cui 551 bambini, mentre migliaia di altri rimasero feriti, con disabilità fisiche e gravi traumi psicologici»
Oh bambini mascalzoni di Gaza
Oh figli mascalzoni di Gaza.
Voi che mi disturbavate costantemente con le vostre urla sotto la mia finestra.
Voi che riempivate ogni mattina con fretta e caos.
Voi che avete rotto il mio vaso e avete rubato il fiore solitario sul mio balcone.
Ritornate, e urlate come volete e rompete tutti i vasi.
Rubate tutti i fiori. Ritornate. Solo, ritornate.
(Khaled Juma)
Buon Natale, auguriamo, di pace a tutte e a tutti.
Apriamo la rassegna della settimana di Natale (quella in cui l’emendamento a una legge rischia di mettere in pericolo una delle libertà fondamentali in una democrazia, il diritto di cronaca) con la protagonista di Calendaria 2023, la giornalista filippina Maria Ressa. Premio Nobel per la Pace. Continuiamo con i nostri consigli di lettura, sicuramente non omologati al mercato dei bestsellers, ma molto più originali e insoliti: Le straordinarie avventure dell’Ammiraglio Ciccamolle, di Chiara Baldini, Le nuove lettere portoghesi. Tre donne che fecero la rivoluzione, una storia bellissima e appassionata e Due anziane signore e un gatto con un’Appia al Circolo Polare Artico nel bell’articolo che ce ne parla, Dalla Sicilia al Circolo Polare con Francesca Mancusio Mirabile. Un altro volume che segnaliamo in questo numero è Donne in Sardegna. Creatività ed espressione di sé a cura di Sara Delmedico e di Elena Sottilotta.
Un film da rivedere e su cui riflettere è recensito nell’articolo, dal titolo significativo, Mangia i rimorsi, prega che gli altri dimentichino, ama te stessa, che analizza Mangia, prega, ama di Ryan Murphy.
Cambiamo argomento e torniamo a segnalare iniziative e approfondimenti legati alla mission della nostra associazione: direttamente dal Convegno nazionale di quest’anno, che si è svolto a Caserta, approfondiremo la relazione tra Toponomastica e memoria antimafia con l’autrice della relazione su Toponomastica e memoria. Percorsi di antimafia tra celebrazione e disattenzione. È inevitabile, per noi che facciamo parte da tempo di Toponomastica femminile, osservare le targhe delle città che attraversiamo, ben sapendo che la toponomastica è un rilevatore sociale. Toponimi femminili a Bologna è il racconto toponomastico di una passeggiata per le vie della città Dotta, sede della più antica Università.
Veniamo alle note dolenti, con un articolo commovente nella sua autenticità, Nel cuore di Dario è sempre autunno che descrive le difficoltà dell’inclusione a scuola e nella nostra società e la solitudine delle famiglie che si trovano ad affrontare ostacoli insormontabili senza alcun aiuto. Allarghiamo lo sguardo dalla montagna valtellinese al mondo, un mondo in cui credevamo che la guerra fosse stata bandita per sempre. Ancora sull’economia di guerra ci guiderà alla scoperta di alcuni dati di cui difficilmente i media generalisti parlano, facendoci riflettere su quanti miliardi si stiano spendendo per uccidere, denari che saranno tolti alla salute, all’istruzione e alle prestazioni della più grande conquista del XX secolo: il Welfare State.
Per fortuna dal mondo giovanile arriva ancora una nota di ottimismo. Per la serie “Juvenilia” potremo leggere i racconti scritti da giovani dell’Istituto Benini di Melegnano, tra cui Trappole di genere, stati premiati nella sezione Narrazioni del Concorso di Toponomastica femminile “Sulle vie della parità. Si conclude questa settimana con I movimenti femminili nei Paesi islamici, dedicata alla questione dei diritti delle donne all’interno dell’Islam, la serie delle nostre relazioni sul corso Genere e diversità all’origine di violenze e discriminazioni del progetto “La storia siamo noi” della Sis, la Società italiana delle storiche.
Chiudiamo in modo insolito, dimostrando che un buon pranzo natalizio può essere cucinato anche senza carne ed è più leggero e gustoso. Ce lo descrive l’autrice della rubrica “La cucina vegana” con Pranzo di Natale. Aggiungiamo a questa le Ricette per la sovversione, con un articolo che ci farà scoprire la relazione tra i ricettari e le proteste delle suffragette per il voto. Un augurio a tutte e tutti di pace, forza e gioia.
S.M.
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.
