Confetti fantasia

Mia sorella, secondo le zie e tutte le vicine di casa, era “maschio”. Mi spiego meglio. Per alcune di loro, da lì a poco, ci sarebbe stato il cambio della luna, cioè la luna da crescente sarebbe diventata calante e, per questa rilevante influenza astrale, i futuri parti avrebbero regalato al mondo solo maschietti. Pertanto, arrivata al termine della gravidanza proprio nel periodo di transizione, mia madre avrebbe certamente goduto di questo “privilegio”. La teoria di altre amiche si basava invece sulla forma della pancia che, secondo loro, «si presentava a punta» e quando la pancia era a punta, «è successo anche a questa e anche a quest’altra conoscente», senza ombra di dubbio, sarebbe nato un maschio.

Erano i discorsi che sentivo nel 1956 e che ricordo ancora nonostante quando ne discutevano io non avessi ancora compiuto quattro anni. Mio padre gongolava all’idea del maschio e mia madre si fece convincere dai ragionamenti empirici formulati dal circondario e decise di comprare i confetti azzurri prima che l’infante di Sicilia nascesse. Credo non esistesse ancora l’ecografia e, quindi, si formulavano «previsioni» che venivano spacciate per certezze.

Quando mia sorella nacque e seppi che era femmina mi rilassai. Un maschietto non lo avrei sopportato perché i maschi li credevo tutti rompiscatole come i miei cugini che non perdevano occasione, quando se li trovavano tra le mani, di sfasciarmi i pochi giochi che possedevo. Col passare degli anni, il dubbio che i maschi fossero rompiscatole si è trasformato in certezza, ma me ne sono fatta una ragione.

Quindi, anche se mia sorella prese possesso di Mamma a tempo pieno, per quanto mi riguarda, nel 1956, tutto andò bene. C’era, però, ancora da sbrogliare l’unico problema serio rimasto in piedi: il colore dei confetti. Ma mia madre non si perse d’animo; da donna risoluta qual era ne comprò alcuni rosa e li mischiò con quelli azzurri, salvando le apparenze con fantasia. «Mica potevamo buttarli!!» disse con fermezza.

Non ho mai chiesto a papà quale fu la sua reazione alla nascita della seconda femmina (la cosa non mi tangeva, neanche in superficie), ma gli ho sentito declamare, sottovoce, un antico proverbio sicano: «jurnata persa e figghia fimmina».

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Articolo di Luciana Scaglione

Direttrice amministrativa presso l’IIS Benini di Melegnano, ha sempre rifiutato l’idea di essere una mera esecutrice del bilancio scolastico, ritenendosi piuttosto una creativa prestata alla contabilità. Oramai in pensione, ha potuto dare una chance alla sua fantasia dedicandosi alla scrittura di brevi e ironici racconti ispirati a fatti della sua vita.

2 commenti

  1. Da noi, oltre alla faccenda luna calante o crescente e alla forma della pancia, si dice: “Beata ‘a sposa che par prima a ga na tosa” – beata la sposa che ha una femmina al primo parto.
    Motivo addotto (oltre ad un effetto di tipo consolatorio) il fatto che così, quando arriverà il fratellino – che in quanto maschio richiederà più cure, più coccole, più attenzione e maggiori servizi – la mamma avrà in aiuto una sorellina maggiore.
    Dal secondo figlio in poi, vale ovunque il detto siciliano.

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