Nel mese di dicembre Limes ci regala sempre due numeri su cui riflettere in chiusura del vecchio anno e apertura del nuovo. Il volume in edicola e libreria dal 9 dicembre scorso affronta i grandi temi dell’Intelligence a confronto con le nuove tecnologie, in particolare l’intelligenza artificiale e le sue diramazioni, occupandosi di spionaggio e mettendo in luce i problemi che le agenzie di Intelligence si trovano ad affrontare in una fase in cui sono sommerse di dati difficili da scremare. Accanto all’intelligenza artificiale, che lavora su algoritmi immessi nei circuiti dalle persone, c’è un’altra intelligenza indispensabile nell’analisi geopolitica, quella rappresentata dai fattori umani, sentimentali ed emotivi, come già ricordato nell’ultimo volume di Limes del 2022, dal titolo significativo: L’intelligenza non è artificiale. Purtroppo in un’epoca di “deculturazione”, come la chiama Caracciolo nel video-editoriale di presentazione del volume, l’intelligenza umana rischia di essere sopraffatta dai social, dalle fake news e dalla propaganda di guerra. Gli articoli di questo numero di Limes possono essere, come sempre, un aiuto a fare chiarezza e a esercitare la nostra intelligenza.
L’editoriale del Direttore Se più de’ carmi il computar s’ascolta, in linea col tema trattato, è particolarmente intrigante. Racconta, come in un giallo che si rispetti, di spie che si presentarono in redazione, trent’anni fa, all’uscita dei primi numeri di questa rivista, così insolita per il panorama italiano. Come ogni lettrice e lettore di romanzi di spionaggio sa, in questi casi è imperativo dire il meno possibile (oggi si direbbe «Non spoilerare») e rispetterò la consegna.

Il volume si compone di tre parti, di cui ho trovato particolarmente interessante la prima, dal titolo Spie tra Washington e Mosca. Gli articoli che mi hanno incuriosita e di cui mi piace condividere alcuni passaggi sono quattro, a firma di Cuscito, Friedman, Petroni e Filoni.
La cassetta degli attrezzi delle principali potenze si sta arricchendo di nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale (Ai), computer quantistici e big data, al fine di ottimizzare la raccolta di informazioni utili a proteggere l’interesse nazionale. Ciò non basta, però, a contrastare le attività degli avversari. Lo prova l’incursione di Ḥamās del 7 ottobre scorso, che ha realizzato un’operazione “multidominio” utilizzando metodi e mezzi del passato, come ricorda Cuscito: mappe fatte a mano dei territori israeliani, bombe, bulldozer, motociclette, droni molto economici e parapendii, paradossalmente meno visibili agli strumenti tecnologici di ultima generazione, di cui Israele è universalmente riconosciuto come una delle potenze più evolute. Le tecnologie offrono agli apparati di sicurezza un’enorme quantità di indicazioni, ma, nonostante ciò, dati, algoritmi e microchip restano un prodotto umano. Quello che fornisce l’Ai non è oro colato ed è suscettibile di errori. Spetta sempre all’intelligenza umana attribuire valore e affidabilità ai dati. Se una macchina, come farebbe una persona, stabilisce che un evento accadrà all’80%, non si può trascurare il 20% secondo cui questo evento non si verificherà. Come si dice nel mondo del golf «È l’indiano, non la freccia» a fare la differenza, anche perché è lui stesso ad averla costruita. Da questa efficace immagine prende il titolo l’articolo di Cuscito sulle trappole dell’intelligenza artificiale.

L’Ai dovrebbe fungere da supporto nella fase di lavorazione delle informazioni, per valorizzare il fattore umano non per sostituirlo, non essendo in grado di salvare chi la usa dalle cosiddette “distorsioni cognitive”. Cuscito ci mette sull’avviso: «Un aumento dei dati a disposizione, se gestito malamente, può alimentare il cosiddetto bias di conferma (la tendenza a ricondurre qualunque dato al proprio assunto iniziale) anziché limitarlo». Come ricordava John Le Carrè, l’autore britannico del romanzo La talpa, che aveva fatto parte dei servizi segreti, interpretare i dati e prendere decisioni di conseguenza dipende dalle percezioni, inevitabilmente soggettive, di ciascuno dei soggetti decisori, come espresso efficacemente nella celebre illusione ottica Mia moglie e mia suocera, una delle tante figure ambigue che, a seconda di chi osserva, possono essere interpretate dalla mente con configurazioni percettive differenti. Tante sono le trappole della mente.
Due persone che assistono a un incidente automobilistico possono dissentire sul soggetto a cui spetti la responsabilità dello stesso.
Anche l’esito della guerra di Corea rappresenta un caso di mancata comprensione della minaccia ai propri interessi da parte di un Paese dotato di vantaggi tecnologici sul nemico, come si può leggere all’interno dell’articolo, in un approfondimento molto convincente. La conclusione del saggio, vivamente consigliato anche per altri spunti e riferimenti, merita di essere condivisa: «Ciò che a noi risulta razionale può non esserlo agli altri. È il cosiddetto errore fondamentale di attribuzione. Di qui il bisogno dell’intelligence di compiere lo sforzo di vestire i panni delle collettività altrui, di capire come ragionano e, sulla base dei dati in proprio possesso, elaborare delle analisi che marginalizzino il più possibile lo sbaglio. È necessario calare l’uomo (noi diremmo la persona n.d.r.) nel contesto geopolitico d’appartenenza. Conoscerne le sfumature linguistiche, la cultura strategica e i codici comportamentali. Per capire se è guidato da puro istinto di sopravvivenza, paura, ego, denaro, ideologia o da una combinazione di tali fattori. Ciò significa ragionare in maniera controintuitiva e resistere alla tentazione di percepirsi superiori. Perché il disprezzo nei confronti del nemico nutre i preconcetti e offusca i ragionamenti. Come dice Sunzi nell’Arte della Guerra, «se conosci te stesso e il tuo nemico (bias di entrambi inclusi) non devi temere la battaglia. Di più, puoi vincere senza combattere».

A una conclusione molto simile, mutatis mutandis, giunge anche l’approfondimento di Federico Petroni sugli Usa, L’introvabile intelligenza strategica dell’America. La superpotenza è seduta sull’ideologia della supremazia tecnologico-militare che, insieme alla globalizzazione, ha costituito per oltre trent’anni la base della sua egemonia. Dall’invasione dell’Ucraina, però, è chiaro a tutte e tutti che una parte del Pianeta non desidera più “essere America”. E anche buona parte della popolazione statunitense è sempre meno disposta a servire sotto le armi o a sacrificarsi per mantenere il primato di potenza egemone. «E mentre gli sfidanti si sono preparati a una guerra con l’America — ricorda Petroni — l’America non ha fatto altrettanto». Forte della sua supremazia militare, che oggi non è più così scontata, la superpotenza ha trascurato la strategia. E i decisori americani hanno fatto tutto il contrario di ciò che sarebbe stato utile ai loro interessi: «Se devono impedire la formazione di una coalizione anti-egemonica in Eurasia, stanno facendo di tutto per unire, invece di dividere, i rivali. Hanno favorito l’ascesa della Cina nell’illusione di poterla cambiare. Hanno distrutto l’Iraq, permettendo all’Iran di espandersi. Hanno distrutto la manifattura, compromettendo l’autosufficienza, la base militar-industriale e il sogno americano della classe media. Con un eccesso di guerre commerciali e finanziarie, hanno incoraggiato la creazione di canali alternativi tra soci e avversari per ridimensionare la potenza sanzionatoria del Numero Uno».

Pur conservando vantaggi formidabili, puntualmente riportati nell’articolo, per riattivare la propria intelligenza strategica, gli Stati Uniti «dovrebbero integrare nel proprio ragionamento il punto di vista altrui. Fare empatia: dotarsi di strumenti per pensare come i propri avversari e soci, intuirne le mosse, decifrare i loro codici antropologici, cogliere come i regimi stranieri saranno influenzati dalla traiettoria delle collettività che governano». Una vera e propria rivoluzione culturale. Non suoni strano parlare di empatia in geopolitica.
L’intervista a George Friedman, Presidente e Fondatore di Geopolitical Futures, è come sempre ricca di spunti e considerazioni eccentriche, con una serie di informazioni sull’Intelligence americana e un giudizio implacabile su La malattia israeliana, una mancanza di fantasia unita a un atteggiamento molto vicino al concetto della ubris greca. Alcune affermazioni di Friedman sono, come sempre, davvero spiazzanti. Tra le tante, ne riporto alcune: «Gli israeliani non riescono a concepire che qualcuno diverso da loro possa tentare mosse audaci. […] Per quanto riguarda Ḥamās, ha ottenuto esattamente ciò che voleva: dimostrare di cosa è capace e istigare una sollevazione generale contro Israele. E l’ha fatto sacrificando davvero poche vite. L’operazione di Ḥamās è stata un successo sia politico sia militare. Adesso gli israeliani si stanno dando da fare, come nel 1973. Con la consapevolezza che la loro intelligence non è così buona come crede il resto del mondo».

Non poteva mancare, in un numero dedicato alle spie, un approfondimento su Kojève, il filosofo che abbiamo imparato a conoscere per la sua teoria dell’impero latino in precedenti numeri di Limes. Su questo intellettuale da tempo circolano voci che sia stato una spia sovietica. Potrete leggere il saggio di Filoni, che se ne occupa, a questo link.
Agli ammiratori e alle ammiratrici di Tolkien attratti dalla geopolitica, invece, suggerisco la lettura di Palantir e la maledizione della pietra veggente di Alessandro Aresu.

In questi ultimi due anni avevamo sentito parlare di “guerra ibrida” ma, nella seconda parte della rivista, Le nuove frontiere dell’intelligenza, il titolo che più incuriosisce è La guerra umida, approfondimento, a metà strada tra fantascienza e realtà, a firma di Pierguido Iezzi e Andrea Vento. Apprenderemo la differenza tra il wetware, l’integrazione di sistemi biologici e artificiali per estendere le capacità umane (come la definisce il neuroscienziato Miguel Nicolellis) e la wetwar, l’utilizzo di questa integrazione in campo militare e di sicurezza, scoprendo che anche in questo ambito l’arroganza di Elon Musk, con la sua start-up Neuralink, ha già avuto modo di manifestarsi e di fare la sua parte. Tra il 2017 e il 2020, come ricordano gli autori del saggio sulla guerra umida, alcuni dei macachi sui quali erano state installate le interfacce tra cervello e computer sono morti per complicazioni sviluppate in seguito alle procedure riguardanti l’impianto chirurgico di elettrodi. Le complicazioni rilevate comprendono diarrea sanguinolenta, paralisi parziale ed edema cerebrale, ma Elon Musk ha dichiarato che le scimmie decedute erano malate. (D. Mhrotra, D. Cameron, “The Gruesome Story of How Neuralink’s Monkeys Died”, Wired, 20/9/2023). «La wetwar potrebbe presto diventare realtà — scrivono gli autori —minando profondamente la natura stessa dell’umanità. I potenziali sviluppi sono innumerevoli: soldati geneticamente modificati, con riflessi e forza sovrumani; cittadini controllati tramite segnali neurali inviati da droni senza pilota; una nuova generazione di armi biologiche mirate a specifici gruppi etnici; la possibilità di hackerare il cervello e ottenere informazioni preziose. Tutto questo potrebbe accadere molto prima di quanto si ritenga possibile, con cambiamenti epocali negli equilibri geopolitici globali». Le implicazioni etiche che a tale riguardo si dovranno affrontare sono considerevoli come ricorda Luciano Floridi.
Nella seconda parte si trovano notevoli approfondimenti sulle arterie dell’energia e della rete messe in evidenza dal saggio di Manfredi Cartocci e Matteo Palmieri, Come si domina la dimensione subacquea, che illustra la seabed war (l’insieme delle attività militari messe in campo per proteggere le infrastrutture subacquee da qualunque tipologia di minaccia, inclusa la prevenzione di sabotaggi e di attività d’intelligence), e su La nuova frontiera dello spionaggio spaziale di Marcello Spagnulo, che ci informa dell’enorme massa di satelliti che, a opera di imprese private, circolano sulla nostra testa.
Il giovane studioso di filosofia Giuseppe De Ruvo ci ha abituate/i ad analisi insolite e profonde, come quella sul rave party dei giovani e delle giovani israeliane alle porte di Gaza, pubblicato sul numero scorso. In Metafisica dell’Intelligence, con un’appendice di Mirko Mussetti, questa volta riflette sul significato di Intelligence, a partire dai diversi modi in cui la si nomina nelle diverse lingue. Arrivando a ricordarci come la geopolitica sia più simile alla filosofia che alla matematica o all’ingegneria e mettendoci in guardia dall’abbracciare solo i dati elaborati dall’Ai.

La terza parte, Ultime dalla Guerra Grande, ci aggiorna sui principali conflitti in corso a partire da Ucraina e Medio Oriente. Meritano una lettura accurata l’approfondimento di Paola Caridi, Cisgiordania e Gaza riunite nella Nakba, e il coraggioso saggio di Mirko Mussetti L’Ucraina in un vicolo cieco, che si apre ricordando una frase profetica di Henry Kissinger, diventata un aforisma: «Tra le nazioni del mondo potrebbe spargersi la voce che essere nemici dell’America può essere pericoloso, ma esserne amici è fatale». Su questo tema si segnala anche il video del canale youtube di Mappamundi L’Ucraina e Zelenskj in un vicolo cieco, con la partecipazione di Mirco Campochiari.
Intanto l’Ue stanzia altri 20 miliardi di aiuti all’Ucraina, che ha gravissimi problemi di bilancio e di reclutamento di soldati, con uno stratagemma che bypassa l’opposizione dell’Ungheria su questo punto, mentre la Corea del Nord si dice disposta ad aiutare la Russia nel conflitto che da tempo Limes definisce guerra russo-americana o Guerra Grande.
Sulle sorti della guerra di Israele contro la popolazione civile allo scopo di distruggere Hamas si soffermano molti approfondimenti. Quello che riesce a comunicarci il punto di vista del popolo palestinese, accuratamente oscurato dai nostri media, è “Tutto ciò che vi resterà”: causa e obiettivi palestinesi letti coi loro occhi di Tommaso Fontanesi, una lettura necessaria. Come ha ricordato l’Unicef, «Gaza è diventata un cimitero per migliaia di bambine e bambini. Per tutti gli altri è un inferno».

Quello che emerge da molti dei contributi di questo volume è l’invito a non trascurare l’intelligenza umana, emotiva e sentimentale, e a coltivare empatia e considerazione del punto di vista dell’altro, spesso del nostro nemico, anche per la soluzione dei conflitti. Appello inascoltato ma mai, come in questi tempi di follia, urgente e necessario, soprattutto nel contesto della guerra contro Hamas di Israele che, secondo Euro med Human Rights Monitor, una ONG svizzera, dalla data dell’8 ottobre scorso ha scaricato sulla popolazione civile, l’equivalente di due bombe atomiche, arrivando a sterminare a oggi più di ventimila persone, tra cui moltissime/i bambine/i e donne (un vero genocidio che continua a rimanere impunito, senza nemmeno una sanzione nei confronti del governo israeliano).

Le carte di Laura Canali anche in questo numero sono molto accurate e istruttive e se ne suggerisce, come sempre, l’uso nelle scuole dove spesso la Geopolitica diventa un nome vuoto, associato alla disciplina Economia Aziendale, per parlare di import-export e internazionalizzazione delle imprese. In questo video potrete ascoltare dalla viva voce dell’autrice alcune informazioni importanti per interpretarle. .
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

Ho scritto già ma non si pubblica perché?
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Eccomi di nuovo ci riprovo. Una certezza cara Sara che quando ti leggo mi lascio trasportare dalla leggerezza e mi rendo conto che, raccontata da te la geopolitica è bella, interessante, importante. Insomma la credo materia ostica invece me la rendi e la rendi a chiunque semplice e accettabile e posso dire simpatica? ! Grazie per la chiarezza
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Grazie cara Giusi. E detto da te è un onore.
In effetti, come per l’economia politica, bisogna togliere agli addetti e alle poche addette ai lavori, il monopolio, semplificare(non banalizzare) e soprattutto divulgare, perchè la conoscenza è libertà.
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