L’intelligenza non è artificiale. L’ultimo numero di Limes 2022

«Ogni intelligenza ha la sua stupidità»
Robert Musil

L’ultimo numero di Limes è il supplemento di fine anno cui ci ha abituate/i la rivista di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo, un numero monografico che approfondisce un tema della contemporaneità, quest’anno quello dell’intelligenza artificiale, argomento sicuramente trendy in tempi di guerra ibrida. Un numero privo dell’editoriale del direttore ma ricco di articoli su temi complessi, non facilmente divulgabili a non addetti/e ai lavori e soprattutto diversamente schierati. Molti sono i contributi che riflettono sugli impieghi dell’Ai in guerra e che forniscono informazioni dettagliate nei diversi settori, economico, militare, scientifico, medico, della sicurezza. A chi di questo tema conosca poco consiglio di cominciare dagli approfondimenti di Teresa Numerico e Giuseppe De Ruvo, diversamente esperti di filosofia, perché si interrogano su una questione che già da tempo Severino e Galimberti nei loro libri hanno messo in luce: il ruolo che la tecnologia sta assumendo nelle nostre vite e nelle nostre società, naturalmente in questa rivista declinato in chiave geopolitica. L’espressione «intelligenza artificiale», contenendo la parola «intelligenza», come ricorda nel saggio articolato e complesso L’era delle macchine che apprendono Francesco Maria De Collibus, è di scivolosa definizione. Quella proposta dal dizionario Oxford, comunemente accettata anche da colossi come Google, la descrive come «la teoria e lo sviluppo di sistemi informatici capaci di svolgere compiti che normalmente richiedono l’intelligenza umana, come la percezione visiva, il riconoscimento vocale, i processi decisionali e la traduzione da e verso lingue differenti». Nel loro manuale, Peter Russell e Stuart Norvig la definiscono in maniera più generica come «la progettazione e realizzazione di agenti intelligenti che ricevono informazioni dall’ambiente e svolgono azioni in grado di influenzare l’ambiente stesso». Il volume che ci ha accompagnato nel mese di gennaio si compone di tre parti.

 Nella seconda, che si intitola L’intelligenza (artificiale) degli altri, spiccano tre articoli dedicati all’Italia. Farà piacere sapere che, come ricorda Massa, responsabile di Leonardo Lab: «L’economia italiana dell’intelligenza artificiale gira attorno ai 380 milioni di euro secondo i dati del 2021. Le aree macroscopiche di utilizzo sono molteplici: i sistemi di supporto al cliente (customer support), come l’assistente virtuale e il chatbot; la visione artificiale (computer vision) utile, ad esempio, per classificare oggetti per scopi di sicurezza fisica e di diagnostica delle immagini (tutte tecniche impiegate durante l’epidemia di Covid-19); i sistemi di raccomandazione per la vendita online e la profilazione degli utenti; l’elaborazione del linguaggio naturale (natural language processing) per la generazione di testi o risposte in diretta a una conversazione; la parte generale di elaborazione avanzata (advanced processing) e il trattamento intelligente dei dati (intelligent data processing); l’automazione dei processi attraverso le piattaforme robotiche. » Il supercalcolatore di Bologna, una risorsa per l’Italia racconta una storia bellissima, quella del supercomputer Leonardo, il quarto più potente al mondo, concepito secondo criteri di massima efficienza energetica. Una storia cominciata più di 50 anni fa da quattro Università italiane che si sono consorziate creando Cineca (che oggi consorzia 112 soggetti pubblici e ha mille dipendenti), con l’obiettivo di dotarsi di un supercalcolatore. Il progetto Leonardo è il frutto di una visione nazionale, europea e locale e di un grande investimento pubblico, finanziato per metà dal Ministero dell’Università e della ricerca e per metà da Euro Hpc (European High Performance Computing Joint Undertaking), un esempio di quello “Stato innovatore” che potrebbe piacere all’economista Mariana Mazzucato che ha dato questo titolo a uno dei suoi libri più famosi. Dai tre articoli che riguardano il nostro Paese emerge la necessità di una politica industriale che valorizzi le competenze e la formazione in questo campo e accresca la collaborazione con altri attori europei. 

Gabriella Scipione, general manager di Cineca, durante la cerimonia di inaugurazione del Supercomputer Leonardo.
Tecnopolo di Bologna, 24 Novembre 2022. Foto: Roberto Serra – Iguana Press/Getty Images

Approfondimenti ulteriori di questa sezione si occupano dell’Ai in Russia, Giappone e India. La prima parte, La sfida cinese alla tecnologia americana, raccoglie saggi di provenienza e orientamento diversi, non tutti concentrati sulla sfida cinese. Mi soffermerò solo su alcuni, accennando soltanto ai temi affrontati dagli altri, evitando di riportare informazioni dettagliate sulle applicazioni della Ai in campo militare. Per De Collibus, a dispetto di un immaginario fortemente alimentato dalla fantascienza, l’intelligenza artificiale non è una magia e può essere un utile strumento per continuare ad apprendere. Per i cinesi He Tian e You Ji la chiave per raggiungere gli obiettivi della Repubblica popolare, la crescita economica e la governabilità sociale, sta nella cosiddetta smart economy, di cui l’intelligenza artificiale è forza trainante, affiancata da altre tecnologie di nuova generazione come il 5G, il cloud computing, i big data, l’Internet delle cose, l’edge computing, le blockchain, la realtà ibrida e l’informatica quantistica. «La tecnologia avanzata è l’arma più affilata dello Stato moderno. Se i paesi occidentali sono stati in grado di dominare il mondo in epoca moderna è anche perché detenevano il primato tecnologico», questo sostiene Xi Jinping, mentre a Putin nel 2017sono state attribuite queste parole: «L’intelligenza artificiale non è solo il futuro della Russia; è il futuro dell’intera umanità. Presenta enormi opportunità così come minacce difficili da prevedere ora. Chi diventa leader in questo campo dominerà il mondo. E non vorremmo affatto che qualcuno detenga un monopolio del genere. Pertanto, se diventeremo leader in questo campo condivideremo la tecnologia con il mondo intero, così come oggi condividiamo la tecnologia atomica, la tecnologia nucleare».
Le aziende cinesi di Ai, sulla cui collaborazione confida la Russia nella sfida con gli Usa che al momento ne detengono il primato, hanno un vantaggio competitivo soprattutto nel campo degli algoritmi e dei software applicativi. Tra le più sviluppate troviamo Baidu, Alibaba e Tencent, i giganti di Internet e le società che si occupano di semiconduttori, chip per computer ad alta potenza di calcolo, big databrainmatics, neuroscienza computazionale e interfacce neurali (brain-computer interface). L’Esercito popolare di liberazione ha osservato a lungo la guerra tra Ucraina e Russia via Nato e ha deciso di puntare sui droni, anche dopo averli visti all’opera nella «guerra al terrore» degli Usa. Nel saggio L’unicorno che sorveglia la Cina è Sense Time si tratta della azienda nata a Hong Kong  nel 2014 che si occupa di  computer vision o visione artificiale, la branca dell’Ai che raccoglie, classifica e «comprende» informazioni da immagini digitali, video e da altri input visivi. Impiegata nel controllo sui manifestanti antiCovid, Sense Time eccelle in tre attività legate tra loro: riconoscimento facciale, verifica umanae analisi delle folle (la cosiddetta crowd analysis). Mentre la Cina si sta preparando alla sfida con gli Usa, che cercano di frapporre ostacoli al suo sviluppo, fortunatamente i ricercatori statunitensi non hanno mai smesso di confrontarsi e collaborare, almeno fino al 2017, con quelli cinesi, presenti, fino quando il Covid lo ha reso possibile, alle principali conferenze internazionali e partner di ricerche open source. Ce lo ricorda con una narrazione poco divulgata Paul Triolo.

Sugli intrecci tra geopolitica e intelligenza artificiale l’analista Shapiro fa interessanti considerazioni in controtendenza, anche molto divergenti dalla vulgata dominante, ridimensionando l’importanza dell’Ai, eccezion fatta per le sue applicazioni in agricoltura. Sulle sfide politiche, molto più intriganti, poste dai nuovi sistemi tecnologici si sofferma la Professoressa di Logica e Filosofia della scienza all’Università Roma Tre Teresa Numerico il cui saggio Dobbiamo ripensare l’intelligenza artificiale sottolinea, al pari di quello di Paolo Pistone, ricercatore di matematica e informatica presso la stessa Università, che «l’odierna ossessione per la calcolabilità, profetizzata da Leibniz, deriva dalla contezza scientifica di non poter controllare il futuro». Ricca di spunti la conversazione, nella traduzione di Greta Cristini, con Peter W. Singer, analista strategico di New America e professore al Center on the Future of War dell’Arizona State University, sull’uso dell’intelligenza artificiale in guerra. La parte che ho trovato più stimolante, però, in questa intervista, è la risposta alla domanda su come i giganti tecnologici influiscono nelle decisioni di grandi potenze come Stati Uniti e Cina. Sostiene Singer, che più avanti nell’intervista muove delle critiche fortissime a Musk, il fondatore di Tesla, che andrebbero conosciute: «Negli anni Dieci del Duemila i fondatori e i dirigenti delle big tech erano considerati eroi nazionali perché si presumeva che il loro impatto sul mondo fosse positivo. Ricordo che il New York Times pubblicò perfino un articolo sul «potere democratizzante dei social media». Oggi che la bolla del tecno-ottimismo è scoppiata, tutti si preoccupano del potere eccessivo di queste aziende. Quest’ultimo deriva dall’enorme quantità di dati raccolta su singoli individui e sulle società nel loro complesso e dal loro utilizzo per influenzarne le rispettive decisioni. C’è però una differenza fondamentale tra i colossi tecnologici cinesi e quelli occidentali: i primi subordinano il proprio potere allo Stato, i secondi mettono a repentaglio le nostre democrazie consentendo a populismo e autoritarismo di dilagare». 

Sull’intelligenza artificiale in guerra si sofferma anche l’articolo di Nicola Cristadoro, di cui mi piace ricordare la  classificazione della Ai che privilegia il rapporto uomo-macchinaSecondo l’analista militare «si considerano tre tipi di relazioni: human in the loophuman on the loop e human out of the loop. Quando l’essere umano è in the loop significa che la macchina ha il controllo dell’ambiente, ma è l’essere umano che prende la decisione finale. Tale sistema è definito semiautonomo. Nel secondo caso (on the loop) la macchina può agire e decidere da sola, ma l’uomo può osservarne il comportamento e, se necessario, intervenire. In questo caso si parla di sistema autonomo supervisionato. L’ultimo caso è quello di un sistema completamente autonomo: la macchina agisce e decide da sola, l’uomo non ha alcun controllo su di essa e pertanto resta «fuori dal ciclo» (out of the loop)». Per fortuna pare che questo tipo di sistema non sia stato ancora utilizzato, anche perché, sostiene ancora Cristadoro «lAi è forse la tecnologia più invasiva e dirompente a oggi concepita. Siamo ancora agli albori di questa scienza, il cui potenziale può riscrivere le regole di interi settori della vita umana, dando origine alla «quarta rivoluzione industriale» e influenzando ogni aspetto della nostra esistenza». Notevole il saggio di Giuseppe De Ruvo, Perché l’Ai è il caos, una disamina di come la quantità di dati oggi a nostra disposizione rischi di farci diventare stupidi perché incapaci di concatenarli tra loro e metterli in relazione, ma nello stesso spinga molti di noi ad affidarci al pensiero ordinatore dell’intelligenza artificiale, che parlerebbe un linguaggio universale e comprensibile da tutte e tutti. Niente di più sbagliato. «Si fa strada (in geopolitica n.d.r.) l’idea per cui grazie all’intelligenza artificiale sia possibile prevedere le mosse degli avversari, giocando in anticipo, senza peraltro rischiare agenti in territorio nemico. Entusiasticamente, si ritiene che l’Ai «sia come un radar che vede nel futuro», strumento oggi irrinunciabile perché «non basta rispondere alle mosse dell’avversario: bisogna prevederle e anticiparle». Ma, continua De Ruvo, «il segno del nostro tempo è l’impossibilità dell’ordine mondiale», come ci ricorda Caracciolo nel suo ultimo saggio La pace è finita. Non esistono algoritmi in grado di salvarci. L’ideologia dell’intelligenza artificiale porta a pensare che esista un linguaggio, quello dei dati e dei bit, universalmente valido, condivisibile da tutti coloro che sono dotati di ragione. In geopolitica, però, l’incontro con l’altro (leggasi: il nemico) non è quasi mai mediato da illuministica razionalità, quanto da misteriosa empatia, che obbliga il decisore geopolitico a entrare nel cuore – e non nella testa – del suo peggior nemico.

 Sorvolando sulla storia dei chip efficacemente descritta da Maronta, che va comunque letta per capire che cosa c’è dietro le auto a guida automatica e il riconoscimento facciale e come ci si è arrivate/i, fondamentali per capire quanto e perché Taiwan fa gola a cinesi e americani sono i due articoli che si occupano dei chip e dei semiconduttori dell’isola cui i portoghesi diedero il nome di Formosa o Isola Bella. 

Un articolo di piacevole lettura è Il nuovo gioco delle perle di vetro di Alessandro Aresu, che, richiamando Il gioco delle perle di vetro di Herman Hesse, ci guida a scoprire l’interessante figura di Demis Hassabis, homo ludens e maestro del gioco, appassionato di videogiochi e creatore di Deep Mind, impresa votata all’apprendimento continuo dall’esperienza e alla transdisciplinarietà, gigante dell’intelligenza artificiale al servizio dello sviluppo della scienza.

La terza parte dell’ultimo numero di dicembre si intitola Echi dalla Guerra Grande, in cui si ha l’opportunità di leggere articoli in controtendenza con la narrazione, monocorde e acritica, del conflitto russo-americano via Ucraina fatta dai nostri mediaMirko Mussetti in Perché un missile russo è diventato ucraino spiega bene quanta propaganda ci sia da entrambe le parti della guerra e perché gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di scontrarsi con una potenza atomica, nonostante i continui appelli di Zelens’kyj a inviare armi sempre più potenti e addirittura carri armati e missili a lunga gittata.
La visione russa della situazione emerge chiaramente dalla conversazione con Vitalij Tret’jakov, giornalista e preside della Scuola superiore per la televisione dell’Università statale di Mosca Mikhail Lomonosov, che ha un titolo su cui riflettere: La Russia vincerà perché l’Occidente è venuto a noia al mondo intero, che contiene un giudizio durissimo sull’Unione Europea, vassalla degli Usa e destinata a sfaldarsi a causa loro e sulla Polonia, «la iena d’Europa», per citare Churchill.

Nicola Cristadoro, nel saggio articolato e completo a cui si rinvia per poter comprendere gli intrecci non tutti immaginabili in Siria tra Mosca e altre potenze, I patti siglati “col sangue” tra Mosca e gli alleati, spiega il concetto di coalition warfare, distinguendo tra alleanza e coalizione. Ricorda Cristadoro che «In Siria Mosca ha organizzato un sistema particolarmente complesso ed efficace di comunicazioni e trasmissioni e, soprattutto, una rete di comando e controllo ben coordinata con i suoi alleati. Le operazioni nel Levante hanno implicato per la prima volta una collaborazione estremamente significativa con un insieme di nuovi alleati, quali le milizie palestinesi, la fazione libanese di Ḥizbullāh, le milizie sciite irachene e le forze iraniane». 

Da segnalare, nella sezione Limes in più l’articolo Armi come aiuti, aiuti come armi di Igor Pellicciari, che contiene un accurato paragone tra gli aiuti umanitari durante la guerra in Bosnia (decisi in ritardo e prevalentemente neutralisti in nome di un pacifismo mai canzonato) e quanto sta succedendo nel conflitto tra Russia e Ucraina (con aiuti e sanzioni immediate e prevalentemente interventisti). 

L’intelligenza artificiale è il terreno su cui si stanno confrontando e scontrando le più grandi potenze ma per fortuna, per ora, nessun algoritmo è in grado di sostituire l’essere umano nei processi decisionali. Meditare sui rischi, oltre che sulle opportunità, delle applicazioni dell’intelligenza artificiale e conoscerne gli aspetti geopolitici è un esercizio di vera intelligenza che Limes di questo numero, come sempre con le belle cartine di Laura Canali, ci aiuta a fare.

A questo link la spiegazione della copertina di Limes a cura di Laura Canali.

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Articolo di Sara Marsico

Abilitata all’esercizio della professione forense dal 1990, è docente di discipline giuridiche ed economiche. Si è perfezionata per l’insegnamento delle relazioni e del diritto internazionale in modalità CLIL. È stata Presidente del Comitato Pertini per la difesa della Costituzione e dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano. I suoi interessi sono la Costituzione , la storia delle mafie, il linguaggio sessuato, i diritti delle donne. È appassionata di corsa e montagna.

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