La questione femminile è una questione maschile 

Non bastano le recenti libertà nel vestire, nel muoversi, nello studiare e nel lavorare. Nascere in un corpo di donna, nella nostra società e nel nostro tempo, significa ancora che la percezione di esistere è quotidianamente impastata alla percezione paralizzante di essere violabile, a un senso di vulnerabilità che diventa forte dispositivo di autocontrollo, invito alla prudenza o meccanismo di vittimizzazione.  

Se rientrando la sera senti un passo maschile alle spalle non ti senti tranquilla. 
Se vai in discoteca temi che il drink che un uomo ti offre sia drogato. 
Se ti offrono un passaggio accetti solo se guida una donna. 
Ti senti esposta se vai al cinema da sola, al ristorante da sola. 
Ed è vicenda nota, è sentire comune, riflesso immediato. 
Se si vedono dei lividi sul tuo volto si pensa subito che un uomo ti abbia menata. 
Se si trova il cadavere di una donna si teme che l’abbia uccisa il partner, attuale o ex. 

Non tutte le donne vengono picchiate ma quasi tutte vengono molestate, tutte vengono fatte oggetto di pubblica valutazione. Qualche fortunata racconterà “solo” di manate sull’autobus, altre (molte) racconteranno di peggio. 
Se ne deduce che gli uomini sono pericolosi. Ragazze siate prudenti, in ogni maschio che incontrate si potrebbe nascondere un potenziale stupratore. È strano che siano le donne a contestare questo assunto: non dovrebbero farlo gli uomini?  

Lo vuole la logica, non la consuetudine. 
Vedi una donna per strada, le fischi dietro, la valuti, cerchi di toccarla, la tocchi … «ah bricconcello, ti capisco, sono peccati veniali», «A una palpatina si sopravvive», «Voleva essere carino con te», «Dimostra che gli piaci», «Non sai stare allo scherzo», «Sotto sotto sei lusingata dall’attenzione nei tuoi confronti». In presenza di episodi di molestie per lo più i presenti non intervengono o peggio strizzano l’occhio — realmente o simbolicamente — ai molestatori. 
«Se non vuoi essere rimorchiata fatti accompagnare da un ragazzo»: hanno bisogno di insultare le donne indipendenti per sentirsi “fighi”. 

Il procuratore capo di Bergamo ha suggerito a suo tempo alle ragazze, alle signore, “anello debole della società”, di non uscire da sole di sera. Lo ha detto con un certo rammarico, quasi scusandosi dell’assenza di sicurezza nelle nostre città, ma una frase che tenda ad assegnare parte della responsabilità alla vittima in bocca a un uomo di legge è comunque stonata. 

Una sconfortante sentenza del tribunale di Palermo ha assolto un uomo denunciato da due colleghe per molestie: il giudice lo definisce immaturo ma lo assolve perché «pur essendo riprovevole e inopportuno il suo comportamento non c’è stata la soddisfazione dell’impulso sessuale». Ha agito per scherzo. Quelle sciocche non s’erano fatte una risata. 

Che tu sia bella o brutta, grassa o magra, poco o molto vestita, se non circoli con un maschio puoi essere bersaglio di molestie verbali e/o fisiche, di goffi tentativi di corteggiamento, di approcci sbracati e di contatti indesiderati e palpeggiamenti e strusciamenti, di commenti volgari, di apprezzamenti sul tuo corpo, di fischi e di gesti, di battutacce a doppio senso e di sguardi ammiccanti, perché c’è consenso su un dato: gli uomini, soprattutto se sono in branco, si possono permettere di fare “complimenti” ed esprimere il loro gradimento e desiderio verso le donne anche se non le conoscono, perché questo «è nella natura delle cose». Basta essere muniti di pene per conseguire il diritto di esaminare e valutare i corpi femminili. Accade ogni tanto perfino in televisione, accade spesso nei social.  

Così si giudicano gli oggetti sul banco del supermercato. 
Pur se la misoginia prende molte forme, il messaggio comune a tutte è che le donne esistono per soddisfare desideri altrui. È stato per secoli il fulcro della socializzazione di genere per le femmine. 

Disertare dal patriarcato? Non è così semplice. Il sessismo trova gerarchie non solo tra donne e uomini, ma fra gli stessi maschi. 
A dieci anni un bambino, intrappolato nella logica dell’esibizione, sa già che i suoi amici lo spingeranno a rivolgere epiteti sessisti alle bambine e a molestarle: se non lo farà sarà giudicato un po’ meno uomo e questo lo allarmerà moltissimo (dietro ogni ostentazione di virilità c’è nell’armadio maschile lo scheletro dell’impotenza). Da adolescente si abituerà ad amplificare le “conquiste” e a tacere dei “fallimenti”. Sarà già addestrato a trovare divertentissimi i racconti di molestie e di abusi, ad ammirarne gli autori.  

E le bambine? Stai sulla difensiva, mi han sempre detto. Mi devo difendere dal fatto di essere nata donna? E questa fatica e la mia paura non sono già violenza? 

La chiamano “questione femminile”. Chissà perché, qualcosa non mi torna. 

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Articolo di Graziella Priulla

Graziella Priulla, già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi, Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo, Viaggio nel paese degli stereotipi.

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