Ritratti di donne triestine 

Protagoniste della crescita economica e culturale della città di Trieste nei primi del Novecento, anni di grandi cambiamenti, col passaggio dal potere austro ungarico all’Italia postbellica, e di grande fervore culturale, con la presenza di Italo Svevo e Umberto Saba, sono state le donne appartenenti alla borghesia cosmopolita della città. Eppure non si legge di loro nei libri di storia e non sono presenti nella produzione artistica. Il museo civico Sartorio, situato in una elegante villa ottocentesca, con l’intento di porre riparo a questa lacuna, espone, dal 21 dicembre 2023 al 1° aprile 2024, una trentina di dipinti che le ritraggono, provenienti dallo stesso museo, dal Museo Revoltella e da collezioni private di Trieste.  

La mostra, promossa dall’Assessorato alle Politiche della Cultura e del Turismo del Comune di Trieste, a cura di Alessandra Tiddia, Federica Luser e Michela Messina, “Eterno femminino. Arte a Trieste tra fascino e discrezione 1900 – 1940”, nel titolo mette in evidenza due caratteristiche delle “mule”, come vengono chiamate le donne triestine, riservate e determinate, qualità che le accomunano alla città stessa. 

Ritratto di donna in abito nero, 1931, Bruno Croatto 

Il soggetto della mostra è dunque il mondo femminile, il fascino discreto delle donne triestine, indipendenti e sicure di sé, volitive e autonome, impudenti ma discrete: sono muse, amiche, mogli, amanti, donne bellissime e sfacciate, provocanti e appagate, timide e riservate, specchio della Trieste di allora, che vedeva il proprio mondo distrutto e poi ricostruito in forme diverse; donne libere, fiere di sé stesse, che andavano a teatro, che non disdegnavano di lavorare, donne che non avevano bisogno di padri, mariti, amanti. Questa selezione di dipinti mira a offrire un panorama sull’universo femminile del tempo, ma anche un’immagine di Trieste attraverso gli occhi e le opere dei suoi talentuosi artisti del secolo scorso. 

Michela Messina, una delle curatrici, così spiega le ragioni della loro selezione: «Il nostro criterio di scelta di questa mostra sull’ Eterno Femminino è stato quello della bellezza, non solo estetica, resa magistralmente dalle capacità tecniche dei diversi artisti attraverso il colore, la forma, le movenze e attraverso la situazione in cui sono state collocate: il salotto di casa, il caffè. Un esempio di donna indipendente che deve essere ancora oggi, più che mai, la nostra guida. Per gli autori è stata fatta una selezione tra i pittori della scuola triestina che all’epoca si erano formati tra Monaco, Vienna e Firenze. Ma non solo, la nostra scelta è stata anche quella di valorizzare opere provenienti da collezioni private, unitamente a quelle pubbliche del Museo Revoltella e del Sartorio». 

Il vaso verde, 1933, Oscar Hermann Lamb (sin) – La gonna gialla, 1923, Giannino Marchig (dex) 
Ritratto della moglie sul divano blu, 1915, Antonio-Camaur (sin) – Ritratto della moglie, 1915, Piero Marussig (dex) 

Diversi i linguaggi espressivi delle opere esposte, oscillanti tra il simbolismo, il postimpressionismo, le suggestioni Déco e quelle del Realismo Magico. Realizzate nei primi decenni del XX secolo, portano le firme di ventuno dei migliori artisti triestini, Franco Asco, Antonio Camaur, Glauco Cambon, Bruno Croatto, Cesare Cuccoli, Oscar Hermann Lamb, Mario Lannes, Pietro Lucano, Giannino Marchig, Piero Marussig, Giovanni Mayer, Argio Orell, Gino Parin, Nino Poliaghi, Arturo Rietti, Ruggero Rovan, Edgardo Sambo, Carlo Sbisà, Cesare Sofianopulo, Vito Timmel, Carlo Wostry. Colpiscono l’espressione delle donne ritratte, quella grazia scontrosa, enigmatica e ambigua, a volte colta nella mondanità, a volte nel segreto delle stanze, e la ricchezza dei loro abiti, dei loro gioielli, delle loro pellicce, delle loro case che riflette l’apertura mentale e la spregiudicatezza di un mondo multiculturale. Un fascino che affiora nelle pose, nelle espressioni dei volti, ma anche in uno sguardo, in un dettaglio: tutte le donne ritratte guardano verso lo spettatore, a volte con aria di sfida, a volte di mistero. 

Ritratto di giovane donna, 1935 circa, Cesare Cuccoli (sin) – Studio di figura, 1926, Nino Poliaghi (dex) 
Vanità, 1927, Gino Parin

Di Gino Parin, sottolinea Messina, «Bisogna ricordare che ha raffigurato l’eterno femminino triestino in maniera abbastanza continuata, soprattutto attraverso la sua amante Fanny Tedeschi». Comune denominatore, che raccorda queste raffigurazioni del femminile alla città, sta in quel richiamo sottile fra le figure e Trieste: una città da sempre complessa e controversa, discreta e sorprendente, “crogiolo di razze e crocevia di popoli” come diceva Umberto Saba, ove tutto si mescola e amalgama, una terra ricca ed accogliente, creativa e realista, una città all’avanguardia, che ha consentito alle donne un’emancipazione divenuta esempio per tutto il Paese, per cui già a quell’epoca le donne erano totalmente autonome. 

Il kimono rosa, 1938, Mario Lannes (sin) – Ritratto di Luciana Valmarin, 1927, Cesare Sofianopulo (dex) 

Il Museo Sartorio con le splendide sale della sua dimora storica è risultato il luogo ideale per l’esposizione di questi capolavori della scuola triestina che così vengono restituiti agli ambienti per cui erano stati concepiti. 

Il Museo Sartorio si trova a Trieste in largo Papa Giovanni, è aperto da giovedì a domenica, dalle ore 10 alle ore 17 e l’ingresso è libero. 

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Articolo di Livia Capasso

foto livia

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.

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