Un canto di libertà. Parte prima 

11 febbraio: anniversario della rivoluzione del ‘79 e insediamento della Repubblica islamica sciita la cui costituzione si ispira alla legge coranica (shari’a). 
Furono banditi bevande alcoliche, gioco d’azzardo e prostituzione, iniziarono le persecuzioni contro le persone omosessuali ―reato punibile con la pena di morte, così come lo stupro e l’adulterio e per chiunque assumesse comportamenti non conformi alla shari’a ― venne imposto alle donne di coprire braccia e gambe con abiti non succinti, e di coprire il capo con un velo, nascondendo rigorosamente i capelli. 
Ogni anno in prossimità dell’anniversario e dei festeggiamenti indetti dal Governo si verificano manifestazioni contro il regime; ogni anno il regime aumenta il numero dei poliziotti per strada, rallenta o addirittura toglie internet e aumenta la repressione contro le donne che non portano l’hijab. 
La voce del popolo oppresso e dissidente trova espressione in un canto: Baraye. 
La canzone di Shervin Hajipour che ha vinto il Grammy Awards 2023 nella categoria «Miglior canzone per il cambiamento sociale», è diventata un inno, il simbolo delle proteste scoppiate in Iran dopo la morte di Mahsa Amini nel settembre 2022. Baraye è una parola persiana che significa “per”, “a causa di” i cui versi raccontano le condizioni di vita all’interno del Paese e i motivi per i quali è necessario combattere.

Per poter ballare per strada 
Per la paura nel momento di un bacio
Per mia sorella, tua sorella, per le nostre sorelle 
Per cambiare le menti che sono marce 
Per la desolazione di essere squattrinato 
Per la desolazione di essere squattrinato 
Per il desiderio di una vita normale 
Per il bambino che rovista nei rifiuti e per i suoi sogni 
Per questa economia di comando 
Per quest’aria così inquinata 
Per “Vali asr” e i suoi platani secolari consumati 
Per il ghepardo “Pirooz” che rischia l’estinzione 
Per i cani innocenti, vietati e massacrati 
Per i pianti senza sosta 
Per la ridondante immagine di questo momento 
Per il volto che sorride 
Per gli studenti e il loro futuro 
Per questo paradiso forzato 
Per i migliori rinchiusi in galera 
Per i bambini afgani 
Per tutti questi mai ripetitivi 
Per tutti questi slogan vuoti 
Per il crollo delle case di paglia 
Per potersi sentire un po’ tranquilli 
Per il sole che sorge dopo lunghe notti 
Per tutti gli psicofarmaci che abbiamo preso e le notti insonni 
Per uomo, patria, ricostruzione 
Per tutte la ragazze che desiderano essere un maschio 
Per le donne, la vita, la libertà 
Per la libertà 
Per la libertà 
Per la libertà 

Un canto di libertà espresso da coloro che in Iran combattono per l’emancipazione delle donne e della condizione femminile, cantato in segreto, nelle scuole superiori dalle/gli studenti e suonato dalle auto come inno di resistenza.  
«Per le donne, la vita e la libertà» canta Shervin elencando obblighi, doveri e imposizioni ai quali il popolo iraniano, specie tra le persone più giovani, non è più disposto a sottostare. Un canto per la libertà è anche il messaggio di Narges Mohammadi, l’attivista iraniana premio Nobel per la pace 2023, detenuta nel carcere di Evin dal 2016. «Il sostegno globale e il riconoscimento della mia difesa dei diritti umani mi rendono più risoluta, più responsabile, più appassionata e più fiduciosa. Spero anche che questo riconoscimento renda gli iraniani che protestano per il cambiamento, più forti e più organizzati. La vittoria è vicina». Ma è un canto di libertà assassinato pochi giorni dopo, il 20 dicembre 2023 all’alba, quando Samira Sabzian, sposa bambina detenuta in Iran per circa dieci anni, è stata impiccata per aver ucciso suo marito nel 2013 dopo averne subito per anni le violenze. 

Ed è la voce di P.M ― componente dell’ Associazione movimento “Donna, Vita, Libertà” di Firenze ― a descrivere il quadro politico e sociale che ha determinato la situazione di questo Paese e l’attuale Rivoluzione. «In Iran, a settembre 2022, è esplosa una straordinaria rivolta in seguito all’assassinio della giovane ragazza curda iraniana Masha Amini.  

Funerale di Mahsa Amini. La strada verso il cimitero di Saqqez in Kurdistan, 2023

La partecipazione della diaspora iraniana nel mondo alle manifestazioni di solidarietà è stata molto rilevante rispetto al passato. Queste proteste non sono state le prime proteste contro la repubblica islamica e non saranno le ultime. Il movimento “Donna, Vita, Libertà”, “Zan, Zendegi, Azadi” è nato dalle donne e da subito si è esteso a tutta la società segnando una netta distinzione rispetto alle proteste del passato. Tra le proteste più significative contro il regime instauratosi con la rivoluzione del 1979 si ricordano le rivolte studentesche del 1999, le mobilitazioni dell’onda verde del 2009 e del 2017, oltre a quella del 2019 dovute al carovita e al prezzo della benzina. Caratteristica comune a tutte queste proteste è la repressione subita da un regime disposto a tutto pur di sopravvivere. Migliaia di donne e di uomini, intellettuali, studenti, cineaste/i, giornaliste/i, artiste/i, lavoratori e lavoratrici, hanno dovuto affrontare la morte, le persecuzioni, o quanto meno la perdita del diritto al lavoro o allo studio, spesso costretti all’esilio o all’emigrazione. Le donne iraniane sono sempre state ben presenti nelle proteste e nelle mobilitazioni. I movimenti femminili in Iran hanno una storia lunga e non riguardano gli ultimi anni. Le prime organizzazioni femministe risalgono alla rivoluzione costituzionale (1906-1911): un periodo di grande vivacità intellettuale e morale che spalancò le porte a nuove opportunità e nuove forme d’espressione, con la formazione di un nuovo parlamento e la redazione di una nuova costituzione. Purtroppo, questo tentativo di avvicinare il Paese al percorso democratico fu represso dalla monarchia, in collaborazione con le forze russe e inglesi alle quali non conveniva perdere il loro ascendente sull’Iran. In tale periodo, le donne, fino a quel momento confinate nelle case, cominciarono a lottare contro il sistema patriarcale, cercando di affermare il proprio ruolo nella società.  
Cominciarono a formarsi associazioni, riviste e scuole femminili ad accesso gratuito: l’associazione delle donne di Tabriz (1905), la rivista femminile Danesh, diretta da Maryam Amid Semnani (1912). Proprio allora iniziò anche la battaglia contro l’hijab.  
Con la fine della dinastia Qajar, l’ascesa dei Pahlavi e l’inizio dell’era della modernizzazione, Reza Scià decise di imporre l’abbigliamento moderno occidentale, vietando di fatto l’hijab e aprendo nel 1936 le porte dell’università alle donne. Dagli anni Quaranta, Mohammad Reza Pahlavi continuò la strada di modernizzazione della società, iniziata dal padre. L’arrivo di una legge da parte di Reza Shah che vietava alle donne di portare l’hijab, in una società estremamente maschilista e tradizionale, costrinse moltissime donne a non uscire di casa perché altrimenti avrebbero dovuto mostrare i capelli agli uomini sconosciuti. E questa legge non è stata ben accolta dalle persone. Dopo circa 15-20 anni, al tempo di Mohammad Reza, non essendo più in vigore il divieto di portare l’hijab, il numero di donne che non portava hijab e si sentiva a suo agio portando l’abbigliamento all’occidentale era molto più alto di quelle che preferivano coprirsi i capelli. Chiaramente non essendoci più il divieto, anche le donne molto religiose e tradizionali hanno cominciato a sentirsi a loro agio nell’uscire di casa e a quel punto c’era la libertà di scelta per tutte. Dopo la rivoluzione del 1979, l’obbligo di portare l’hijab ha creato il problema contrario. Inizialmente, moltissime donne che lavoravano nei luoghi pubblici come banche, uffici ecc, si sono licenziate per non doversi coprire. Il diritto di voto femminile arrivò più tardi, nel 1963, ma già nel 1968 Farrokh Roo Parsa diventò la prima ministra in Iran (ministra dell’istruzione).  

La prima ministra iraniana Farrokhroo Parsa, impiccata nel 1980 dalla Repubblica islamica

In questi anni le iraniane ottennero il diritto all’aborto e al divorzio; la legge di sostegno alla famiglia del 1975 vietò i matrimoni infantili (contemplati dalla legge della Sharia islamica), portando l’età minima per il matrimonio da 9 a 18 anni per le donne e da 15 a 21 anni per gli uomini. Le donne cominciarono a occupare posti di lavoro considerati tradizionalmente ad appannaggio degli uomini, diventando giudici, mediche, ingegnere, pilote di aerei, camioniste, ecc. Questi progressi nella società civile e nella normativa non cancellarono tuttavia l’assenza di un sistema democratico rappresentativo e le vaste campagne di repressione degli oppositori politici. Lo Scià dal 1975 aveva infatti estromesso gli oppositori dall’attività parlamentare, lasciando al suo partito unico (Rastakhiz) la gestione del processo legislativo ed esecutivo, limitando la libertà di stampa e di parola delle persone non appartenenti al partito, fornendo così alcuni dei presupposti alla base della rivoluzione del 1979. Durante la rivoluzione tutte le forze di opposizione allo Scià ― marxisti, nazional-liberali, religiosi ― si unirono intorno alla figura dell’Ayatollah Khomeini, all’epoca in esilio a Parigi. Subito dopo la cacciata dello Scià, Khomeini e i suoi alleati cavalcarono l’onda rivoluzionaria, reprimendo nel sangue le altre componenti della rivoluzione: più di 12 mila persone furono uccise in due anni. Molti diritti acquisiti dal genere femminile furono cancellati. Tra il 1980 e il 1983, nel nome della rivoluzione culturale, furono chiuse le università e fu fatta piazza pulita di studenti oppositori: quegli stessi studenti che erano stati i principali fautori e attori della rivoluzione, il cui sogno di un Paese democratico era già svanito. 

L’8 marzo del 1979 centinaia di migliaia di donne scesero in piazza contro la proposta dell’hijab obbligatorio (foto di copertina), proposta trasformata in legge solo due anni dopo. In un periodo di instabilità dovuto alla recente rivoluzione, con un fronte di guerra aperto (Iran-Iraq 1980-1988), la maggior parte della popolazione maschile non si unì alle loro rivendicazioni. Questa mancata percezione del problema fu il primo passo verso la negazione e la cancellazione dei diritti più basilari, in primis per le donne e successivamente anche per gli uomini. Il regime teocratico entrò così fin nella sfera più privata delle persone, dov’è rimasto fino ad oggi. 
Le iraniane a settembre 2022 hanno nuovamente iniziato a protestare e sono state il volano trainante della rivoluzione “Donna, Vita, Libertà”. Le ragazze e i ragazzi sono scesi per strada in modo pacifico ma il regime ha risposto ancora una volta con le pallottole. Alcune differenze rispetto alle ribellioni del passato riguardano in primo luogo la diffusione territoriale. Queste hanno coinvolto più di ottanta città, comprendendo anche paesi più piccoli e zone rurali. In secondo luogo, il movimento non ha interessato solo studenti universitari e intellettuali del Paese, ma soprattutto la classe operaia, la classe media, gli/le insegnanti e in generale una gamma ampia di ceti sociali. In terzo luogo, non è stata solo la popolazione più giovane a prendere parte alle proteste. 

Proteste della popolazione. Donna Vita Libertà. Iran, settembre 2023 

 Le ragazze e i ragazzi erano sicuramente i più presenti nelle piazze, questo soprattutto perché in grado di scappare e difendersi dai contrattacchi della polizia, ma chi non poteva esserci ha comunque manifestato e continua a dimostrare il suo dissenso in altri modi. Un esempio è quello di Gohar Eshghi, una signora di ottant’anni che, dopo aver indossato il velo per 70 anni, ha deciso di toglierlo, in solidarietà con la rivolta giovanile. Gesti come questo avvengono tutti i giorni in Iran, da parte di moltissime donne e moltissimi uomini. 
Donna, Vita, Libertà” non è un semplice slogan, ma una rivoluzione che, anche se non ha rovesciato il regime, ha dato inizio a un cambiamento esistenziale e irreversibile nella popolazione. Ha acceso il desiderio di libertà e di dignità in modo diffuso e consapevole in tutta la società. La repubblica islamica continua ad opprimere con leggi misogine e discriminanti, ma il popolo dimostra in ogni istante il suo dissenso in maniera pacifica. Molte iraniane non portano più il velo, in un’ondata di disobbedienza civile. Un’azione che è sostenuta anche dagli uomini e da molte donne che ancora portano il velo. I giovani e le giovani si tengono per mano, si baciano per strada pur sapendo di violare la legge e di rischiare la vita. Lo fanno perché il loro modo di pensare la vita è distante anni luce dagli slogan religiosi e propagandistici dei capi religiosi del Paese. Questa generazione non ha vissuto sulla propria pelle la rivoluzione islamica del 1979 e non ha preso parte alla guerra patriottica propagandistica contro l’Iraq (1980-1988). Questa generazione è sì cresciuta con i fanatici slogan che il regime teocratico cerca di iniettare nelle giovani menti, ma è anche cresciuta affrontando realtà molto difficili con le quali le famiglie sono costrette a vivere tutti i giorni e, grazie a internet, avendo accesso a un canale aperto su ciò che accade nel mondo. Anche se l’accesso a internet nel Paese è limitato e controllato dal governo, e Youtube, Whatsapp e numerosi siti sono filtrati, le persone periodicamente trovano anti-filtri a pagamento per potervi accedere. 
Le promesse di fornire acqua, luce e gas gratis e di portare i profitti della vendita di petrolio in ogni casa, fatte da Khomeini nel 1979 al cimitero di Teheran, non solo non si sono avverate, ma 45 anni di Repubblica islamica hanno portato un Paese ricco di risorse primarie, economiche e culturali alla rovina. L’Iran attuale vive una situazione economica tragica con un’inflazione reale che raggiunge il 50 – 55% annuo; vive l’embargo su tantissimi prodotti, tra cui medicinali essenziali per la vita delle persone; vive un disastro ambientale causato da scelte sbagliate e corruzione della classe politica; soffre di isolamento socio-politico da parte dei Paesi occidentali; vive la disuguaglianza sociale, l’oppressione delle minoranze etniche e religiose; soffre della mancanza di prospettive future; costringe le nuove generazioni all’emigrazione negli Stati Uniti e in Europa alla ricerca di una vita migliore; soffre della mancanza della libertà: di parola, di vestirsi, di cantare, di ballare e in questo contesto le donne subiscono ulteriore oppressione rispetto agli uomini a causa delle leggi misogine del governo. 

Proteste della popolazione. Donna Vita Libertà. Iran, settembre 2023 

A fronte di una situazione in cui è ormai svelato l’inganno delle promesse sociali di Khomeini e rimangono soltanto oppressione, esecuzione, crisi economica, non solo è mancata un’adeguata pressione internazionale sul governo locale, ma la popolazione iraniana si è sentita presa in giro dai governi occidentali.  
È il novembre 2023: la famiglia Amini si vede negare il permesso d’uscita dal Paese per recarsi in Europa a ritirare il premio Sakharov per la libertà di pensiero assegnato a Mahsa Amini e al movimento “Donna, Vita, Libertà“. La stessa mattina due prigionieri politici vengono impiccati. Nella stessa settimana Ali Bahreini, ambasciatore della Repubblica Islamica presso le Nazioni Unite, rappresentante dello stesso Paese che usa il riconoscimento facciale per multare, licenziare e imprigionare le donne che non portano il velo, presiede il social forum 2023 del Consiglio per i diritti umani: una conferenza sull’uso delle tecnologie innovative nella promozione dei diritti umani alla sede dell’Onu. Le ragioni geopolitiche e affaristiche paiono ancora una volta prevalere sulla difesa dei diritti umani e sulla libertà femminile. L’impegno diretto di cittadine/i, di attiviste/i sociali e politici dentro e fuori l’Iran e la richiesta ai governi democratici di rendere conto del perché di una tale ipocrisia sembrano essere ancora una volta l’unico mezzo di lotta per chi ha a cuore il sogno di un Paese libero». 

Per rispondere all’appello, nel marzo del 2023, nel ricordare la giornata internazionale dei diritti delle donne, a San Casciano Val di Pesa la cittadinanza ha attraversato le vie prendendosi per mano, in segno di sorellanza con questo “canto di libertà”. 

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Articolo di Paola Malacarne

Psicologa clinica e di comunità, ex docente e coordinatrice di scuola dell’infanzia, attualmente sono Presidente della commissione Pari Opportunità del Comune di San Casciano e membro del direttivo di Tf. Coniugando ruoli e interessi (tanti!) e qualche competenza (pittura, cinema, teatro, questioni e parità di genere) conduco e realizzo percorsi formativi, progetti, eventi… mentre cammino e penso alle Donne che fanno libere le strade da percorrere.

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