Cherchez les femmes à Paris. Seconda parte

Inizio un nuovo percorso nel 4° arrondissement di Parigi recandomi nella piazza intitolata a Monique Antoine, avvocata e militante femminista. Monique era nata nella capitale francese il 21 luglio del 1933 e conseguita la laurea in Giurisprudenza a Tolosa venne assunta subito come consulente legale di un istituto bancario proprio a Parigi.

Rue Monique Antoine

La sua fu una vita molto travagliata con un ruolo di primaria importanza nella storia del Femminismo francese del XX secolo. Durante la Guerra d’Algeria diede sostegno e rifugio ai militanti algerini del Fronte di Liberazione Nazionale. Arrestata e tradotta nel carcere di Petite-Roquette nel 1961, ritornò in libertà dopo circa un anno.
Come avvocata, dopo quell’esperienza, si impegnò molto nella creazione del “Gruppo di informazione carceraria”. Il suo impegno femminista si esplicò professionalmente nel cosiddetto “Processo Bobigny” del 1972, un processo determinante nella lotta per la legalizzazione dell’aborto. Del resto, Monique fu cofondatrice, insieme a Jeannette Laot e Simone Iff, del “Movimento per la libertà di aborto e di contraccezione” (Mlac) che si sciolse nel febbraio del 1975 dopo l’approvazione della legge Veil che legalizzò l’interruzione volontaria di gravidanza. Il suo impegno continuò come attivista del Mlf (Mouvement de Liberation des femmes) supportando legalmente le donne che avevano subito violenza.
È morta di cancro il 23 Marzo del 2015 e l’intitolazione, avvenuta nel 2018, si trova nei pressi della vecchia sede del Mlac.

Continuando a girovagare, la mia attenzione viene catturata da una targa posta su un immobile al 174 di boulevard Saint German: è la casa dove nacque Louise Bourgeois, proprio il giorno di Natale del 1911.

Targa murale per Louise Bourgeois

Louise Josephine Bourgeois è stata una delle più grandi scultrici francesi e io sono un po’ emozionata perché ricordo il mio primo incontro con una sua scultura, quasi vent’anni fa, al Guggenheim di Bilbao: un gigantesco ragno che mi incuriosì tanto e mi spinse a ricercare notizie su di lei e sul significato di quell’installazione. Così scoprii che la scultura del ragno era un omaggio a sua madre. Lei stessa affermava: «Mia madre era la mia migliore amica. Come un ragno era una tessitrice – la sua famiglia, infatti, si occupava di restauro di arazzi – … come i ragni mia madre era molto intelligente. I ragni sono presenze amichevoli che mangiano le zanzare che diffondono malattie e sono quindi indesiderate… Quindi i ragni sono utili e protettivi, proprio come mia madre».
Lo spettacolare ragno alto di più di nove metri e largo quasi dieci, composto da acciaio inossidabile e marmo, si chiama proprio Maman: un omaggio dell’artista alla maternità e al mondo femminile. Altre copie di Maman si possono ammirare in altre sette città del mondo tra cui Tokio, Ottawa, Londra (davanti la Tate Modern), San Pietroburgo (davanti l’Ermitage).
L’ultimo mio incontro con le opere di Louise è avvenuto invece nel 2019, quando avevo iniziato una ricerca sui luoghi delle streghe per scrivere Il labirinto delle perdute. Scoprii che a Vardo, nella Norvegia settentrionale, esattamente 400km a nord del Circolo Polare Artico, è presente un Memoriale che ricorda settantasette donne processate per stregoneria e mandate al rogo nel 1621. All’interno del Memoriale si trova un’installazione di Louise: una sedia di metallo attraversata da cinque fiamme a gas che bruciano perennemente simboleggiando la morte delle condannate. La sedia è circondata da sette specchi ovali che sono il simbolo dei testimoni silenziosi che assistevano alla macabra scena. Sopra l’installazione sono collocati tre specchi che riflettono le fiamme. Il titolo di quest’opera è: Le dannate, le possedute, le amate.
L’inaugurazione del Memoriale è avvenuta nel 2011 alla presenza della regina Sonja di Norvegia appena un anno dopo la morte di Louise avvenuta il 31 maggio dell’anno prima. Quella notizia mi intristì non poco e pensai che avrei dovuto tributare un piccolo omaggio a lei e a quelle donne. Così iniziai una lunga e difficile ricerca che, alla fine, mi permise di recuperare quattro dei nomi di quelle settantasette donne che trascrissi nel libro e che oggi riporto in quest’articolo: Mari Jorgensdatter, Kirsti Sorensdatter, Else Knutsdatter e Anne Larsdatter.
Mi allontano dalla casa della grande artista sperando di potere, un giorno, visitare quel Memoriale.

Un’altra targa affissa su un prospetto di Rue de L’Università indica la casa in cui visse Bertie Albrecht a cui comunque è dedicato anche un viale nell’8° arrondissement.

Targa murale per Bertie Albrecht

Bertie era nata a Marsiglia il 13 febbraio del 1893 in una famiglia borghese e di religione protestante. Dopo aver studiato per diventare infermiera, durante la Prima guerra mondiale lavorò per la Croce Rossa in diversi ospedali militari. Alla fine del conflitto, nel 1918, si sposò con Frederic Albrecht, un banchiere olandese e da quell’unione nacquero un figlio e una figlia. Nel 1924 la famiglia si trasferì a Londra e Bertie iniziò a frequentare alcune femministe inglesi. Nacque così in lei l’esigenza di conoscere la condizione femminile nella società e l’impegno a contrastare le discriminazioni. Dopo la separazione dal marito si trasferì a Parigi e nel 1933 creò la rivista The Sexual Problem.
Durante la Seconda guerra mondiale partecipò a tante iniziative del Movimento di Liberazione Francese e fu arrestata nel 1942. Dopo la sua scarcerazione riprese la lotta clandestina e fu nuovamente riportata in prigione e torturata dalla Gestapo. Si suicidò, nella prigione di Fresnes, nella Valle della Marna, nel 1943. Il suo corpo venne ritrovato, due anni dopo nell’orto della prigione.
Adesso è sepolta nella cripta del “Memoriale della Francia combattente” a Mont Valerien, luogo emblematico della memoria nazionale.
Nel 1983 è stato emesso un francobollo con la sua effige. Un college a Saint Maxime, in Costa Azzurra, porta il suo nome e anche una scuola a Caluire-et Cuire, un comune vicino a Lione.

Continuo a camminare in questa zona di Parigi alla ricerca di una traccia di Perrette e Jacoba Felicia, donne “incrociate” durante la mia ricerca sulle streghe. Non ho alcun elemento certo che possano aver vissuto in questa zona, solo la notizia di un College fondato nel 1257 da Robert de Sorbon e la constatazione che oggi lì è ubicata l’attuale Facoltà di medicina. Troppo poco ovviamente e infatti, nonostante il mio girovagare con lo sguardo all’insù, non trovo nulla. Questa storia però merita un piccolo ricordo.
Perrette era un’ostetrica parigina che nel 1408 fu accusata di essere una strega. Riuscì a sfuggire al rogo grazie alla solidarietà delle donne che aveva curato e che avevano testimoniato in suo favore. Jacoba Felicia era invece nata quasi un secolo prima e nel 1322 fu accusata dalla Facoltà di Medicina di Parigi (dove ovviamente erano ammessi solo uomini) di usurpazione della professione medica. Jacoba fu così costretta a lasciare la città tra il rammarico dei pazienti che aveva guarito con modici compensi.

Accantonata la mia amarezza mi dirigo in rue Jacob, nel pieno della rive gauche parigina, in direzione della storica Librairie des femmes. Inaugurata nel 2007, in questo spazio convivono una casa editrice e una galleria espositiva (in copertina).
La storia di questo bellissimo luogo, immerso nel verde, inizia però prima del 2007, precisamente nei primi anni del 1960 quando nacque il “Mouvement de Liberation des femmes” creato da alcune donne tra cui Antoinette Fouque e Monique Wittig. Si sostiene che la casa editrice “Edition des femmes” sia stata la prima casa editrice femminista d’Europa. Ho la fortuna di potere ammirare, in una delle sale espositive, una mostra di dipinti di artiste afghane e iraniane: Rada Akbar, Kubra Khademi, Hura Mirshekari e Atash Shahkarami.
Avverto così che lo scopo delle fondatrici continua a essere perseguito: «un risarcimento dell’invisibilizzazione delle opere di artiste donne», come dichiaravano loro.

Esiste un’altra libreria che desidero visitare: la “Shakespeare and Company” al numero 37 di rue de la Bucherie, nel quartiere latino. È considerata una delle librerie più belle al mondo e una delle istituzioni letterarie di Parigi. In realtà la vera motivazione che mi spinge alla scoperta di questo luogo è che fu fondata nel 1919 da Sylvia Beach, editrice e libraia statunitense, nata a Baltimora nel 1887. Sylvia, in seguito, si trasferì giovanissima a Parigi dove visse gran parte della sua vita.

Libreria Shakespeare and Company

Arrivata a destinazione trovo una lunghissima fila di visitatori in attesa, incuranti di pioggia e freddo. Io invece sono stanca e mi limito a dare una sbirciata alle vetrine da cui si intravedono ambienti pieni di libri e di fascino. Pazienza, sarà per un’altra volta e mi rifugio in un locale accanto per sorseggiare una squisita cioccolata calda servita in bricco e tazza d’altri tempi. E a proposito di tempo mi rendo conto che ne è rimasto ben poco e che non ho “incrociato” i luoghi parigini di Simone De Beauvoir, né di Colette, né di George Sand e di tante altre. Per quanto riguarda quest’ultima, mi permetto un suggerimento: se vi troverete nei pressi di Nohant-Vic, nel Dipartimento francese dell’Indre, andate a visitare la sua casa. George Sand, il cui vero nome era Amantine Aurore Lucile Dupin, è stata una delle più grandi e prolifiche scrittrici dell’Ottocento. Non è agevole arrivarci ma ne vale veramente la pena. Immersa nel verde e nella quiete, regala atmosfere suggestive. In tutte le stanze si avverte la presenza della grande scrittrice che lì scrisse gran parte dei suoi romanzi. Vedrete, attiguo alla camera da letto di sua nonna, il boudoir dove aveva allestito il suo primo studiolo di scrittura nascosto in un piccolo armadio. Salendo i gradini di un monumentale scalone arriverete alla stanza dove Chopin, durante le sue permanenze a Nohant, componeva la sua musica e percorrendo un lungo corridoio entrerete nella cosiddetta “Camera azzurra”, arredata in stile Luigi XVI, dove la scrittrice finirà i suoi giorni l’otto Giugno 1886.
Confinante con la sua bella dimora si trova il piccolo cimitero dove è stata sepolta per sua espressa volontà. Forse un desiderio di pace dopo un vissuto denso e travagliato.

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Articolo di Ester Rizzo

Laureata in Giurisprudenza e specializzata presso l’Ist. Sup. di Giornalismo di Palermo, è docente al CUSCA (Centro Universitario Socio Culturale Adulti) nel corso di Letteratura al femminile. Collabora con varie testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Ha curato il volume Le Mille: i primati delle donne ed è autrice di Camicette bianche. Oltre l’otto marzoLe Ricamatrici, Donne disobbedienti Il labirinto delle perdute.

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