Riapre a Firenze il Museo della Moda e del Costume

Lo scorso dicembre, dopo tre anni di chiusura per lavori e restauri, si sono riaperte dodici sale del Museo della Moda e del Costume, situato nella Palazzina della Meridiana presso Palazzo Pitti, a Firenze. Un evento straordinario visto che si tratta dell’unico museo del genere in Italia e che a primavera altre dieci sale verranno offerte di nuovo all’ammirazione del pubblico, quelle che ospitano la collezione dal Rinascimento all’Ottocento, nonché una preziosa esposizione di gioielli appartenuti al granduca di Toscana Ferdinando III di Asburgo Lorena. Per ora l’attenzione si focalizza, e non è poco, sul Novecento mettendo in mostra una cinquantina di splendidi abiti femminili e accessori che raccontano un’intera epoca con tutti i suo i mutamenti e le sue novità. La curatrice Vanessa Gavioli ha spiegato che la data dell’inaugurazione era stata stabilita come omaggio al direttore degli Uffizi e di Palazzo Pitti, Eike Schmidt, che con l’anno nuovo ha lasciato peraltro incarico e che aveva fatto suo questo progetto, in continuità con l’idea di aprire in futuro anche il quarto piano del Palazzo sia alla collezione della moda sia alla Galleria d’arte moderna.

Schmidt insieme a curatrici e curatori del Museo della Moda

L’allestimento, in cui visitatori e visitatrici sono a contatto diretto con i singoli pezzi, è stato curato dalla stessa Gavioli, insieme all’architetta Elena Pozzi, a Tommaso Lagattola e a Roberta Orsi Landini, e offre una panoramica esauriente della moda femminile nelle sue tante sfaccettature e nella sua evoluzione, dai primi del secolo fino alla sua conclusione, siglata da un abito originale del giapponese Issey Miyake degli anni Novanta e un bellissimo vestito da sera di Giorgio Armani.

David Bowie in una creazione di Issey Miyake, 1973, foto di Masayoshi Sukita

D’altra parte la moda è sempre lo specchio della realtà: «La moda va studiata e capìta rispetto al suo tempo e ai valori etici, politici, economici di cui è portatrice», dice Roberta Orsi Landini. Ne abbiamo parlato su questa rivista a proposito delle geniali creazioni di Salvatore Ferragamo (Vv n.169), di cui Firenze ospita il museo omonimo, capace di utilizzare per le celebri calzature, in mancanza d’altro a causa dell’autarchia, la pelle di pesce, il sughero, il cotone lavorato all’uncinetto, ma pure la seta ricamata, i pellami più pregiati, i plantari brevettati per permettere alle donne di farsi più eleganti con il tacco alto, ma senza soffrire! Fino allo scorso settembre un’altra mostra significativa aveva dato lustro a una “visionaria alle origini del made in Italy”: Germana Marucelli, con oltre 150 modelli nati dalla mente di questa stilista che aveva saputo interpretare l’abbigliamento femminile in modo unico e inimitabile (Vv n.234), sempre teso a valorizzare la singola donna con il suo carattere e la sua personalità. Proprio a Firenze infatti nacque quel “made in Italy” che ha fatto grande la moda italiana, conosciuta e apprezzata in tutto il mondo; era il 12 febbraio 1951 quando ci fu la prima sfilata nel giardino della dimora del lungimirante imprenditore Bista Giorgini, di lì a poco l’evento si fece più prestigioso fino ad approdare alla Sala Bianca di Palazzo Pitti. Ora si celebra dunque un ritorno.

Passeggiare nelle sale e guardare con meraviglia i manichini abbigliati vuol dire fare un passo indietro nel tempo, ma anche comprendere le vere e proprie rivoluzioni operate da stiliste e stilisti che erano sia artigiani sia veri artisti. Cominciamo ad esempio con i kimoni, le cappe e gli abiti plissettati di Paul Poiret e del celebrato Mariano Fortuny che liberarono le donne dai bustini e dai corsetti; qui si possono ammirare il famoso mantello di Eleonora Duse e la tunica Delphos in seta, realizzata nel 1909 con una tecnica speciale brevettata perché resistente a pieghe e torsioni, ispirata al chitone dell’Aurigadi Delfi e modellata sulla sua musa, la moglie Henriette.

Il celebre Delphos di Fortuny

Altra creatrice originale fu Maria Monaci Gallenga che inventò un metodo per abbellire le stoffe più pregiate con pennellate di polvere d’oro e argento. Risale al 1924 uno dei primi abiti di Coco Chanel; siamo in pieno stile charleston e questo capo raffinato nei toni del beige e del grigio fumo è espressione di finezza senza pari. È l’epoca di una vera e propria svolta: le gonne si accorciano, i capelli vengono tagliati alla maschietta, il punto vita non viene segnato. Un modello che colpisce è l’abito da sera appartenuto a Franca Florio, icona di eleganza, morbidamente sciolto e tempestato di paillettes di sfumature degradanti nei toni del rosa.

L’abito da sera di Franca Florio

Fra le due guerre alcune stiliste riportano l’attenzione al seno che viene messo in risalto grazie a intelligenti tagli obliqui, ad esempio da Madame Vionnet, francese, che aveva fatto sua la battaglia contro il corsetto e aveva fatto sfilare delle giovani a piedi nudi, alla maniera della danzatrice Isadora Duncan.

Negli anni Cinquanta è il momento del vitino di vespa, delle gonne a campana, degli abiti da cocktail indossati dalle dive del cinema: Sophia Loren e Gina Lollobrigida fra tutte; in mostra troviamo modelli di Emilio Schuberth e Jole Veneziani, che vestivano pure nobildonne, regine e principesse.

Gina Lollobrigida con Emilio Schuberth, 1955
Modello di Jole-Veneziani, anni Cinquanta

Nei decenni successivi si assiste a un’altra svolta significativa: dall’abito che evidenzia le forme, si passa alla linea “a sacchetto” o “a trapezio”, pratica, giovanile, comoda, adatta a un nuovo tipo di donna, ben incarnato da una giovane Catherine Spaak. I sarti di riferimento saranno Federico Forquet e Pino Lancetti. Sarà poi la volta del “pigiama palazzo”, realizzato prima da Irene Galitzine e poi da Emilio Pucci, amato da signore eleganti come Jackie Kennedy e Marella Agnelli; è pure l’epoca dei pantaloni larghi, del lurex e dei motivi optical e geometrici. Negli anni Ottanta il centro dell’alta moda italiana si sposta a Milano dove fioriscono sartorie che si fanno apprezzare in Italia e all’estero; intanto le modelle diventano sempre più protagoniste delle copertine: da Brooke Shields a Cindy Crawford, da Linda Evangelista a Iman. È il periodo d’oro di Gucci, Prada, Missoni, Krizia, Moschino, Ferrè, Valentino, Armani. Un abito che molte di noi ricordano è quello indossato da Patty Pravo nel 1984 al Festival di Sanremo quando cantò Per una bambola; si trattava di un kimono in maglia metallica creato per lei da Gianni Versace.

Patty Pravo con l’abito di Versace, 1984

Altro modello che fece epoca, ugualmente affascinante, fu opera del francese Jean Paul Gaultier nel 1987. Si trattava di una sorta di sottoveste nera in raso elasticizzato che fasciava in modo sinuoso il corpo della cantante Madonna.

Abito sottoveste indossato da Madonna

Anche qui un colpo di genio: un indumento intimo divenne abito a tutti gli effetti. L’esposizione prosegue e si arriva agli anni Novanta quando si fanno notare le originalissime creazioni di Maurizio Galante, Oscar della Moda nel 2005, designer allievo di Capucci; la sua sfilata della stagione 1992-93 fu definita dal New York Times «una delle più belle e poetiche mai viste a Parigi», città nella quale poi si è trasferito e dove nel 2014 ha avuto l’onore di essere nominato Chevalier des Arts et des Lettres.

Altro stilista che non poteva mancare l’algherese Antonio Marras che alle innovazioni ha saputo coniugare lo spirito autentico della sua terra, nominato nel 2022 Alfiere del made in Italy nel mondo. Il Direttore Schmidt, ringraziando per il suo contributo prezioso Roberta Orsi Landini, studiosa eccelsa che ha lavorato qui fin dagli anni della fondazione (quando nacque nel 1983 come Galleria del Costume), durante la cerimonia della nuova inaugurazione ha ricordato il valore delle donazioni che da sempre hanno arricchito il patrimonio del Museo della Moda, l’unico statale e ufficiale in Italia. E questo non va mai dimenticato. Grandi doni sono arrivati ad esempio dalla sartoria teatrale di Umberto Tirelli che ha accompagnato gli abiti con i relativi bozzetti; e ancora da Tornabuoni-Linea più, Roberta di Camerino, Emilio Pucci, Ferragamo. Patty Pravo, assai generosa, ha fatto dono di ben quattro abiti, primo fra tutti quello citato di Versace, due di Gucci del 1987 ancora indossati a Sanremo, e uno di Roberto Cavalli, gonna e giacchino color avorio, del 2002. Schmidt ha fatto dunque un appello affinché istituzioni e privati, specie attrici, cantanti, costumiste/i e stiliste/i, e ora pure influencer, continuino a regalare capi significativi del loro guardaroba o della loro sartoria «per rendere questo luogo sempre più vivo e attivo. […] Donate per rendere sempre più bello questo museo unico nel nostro Paese. Ora abbiamo 15.000 pezzi in deposito e in custodia, ma spero proprio diventino tanti di più!».

Interno del Museo, foto di Antonio Quattrone

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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