Scrittrice, giornalista, attivista, abolizionista e femminista, Fanny Wright rappresentò, nell’America della prima metà dell’Ottocento, l’orientamento più radicale del pensiero liberale contro la politica conservatrice e il bigottismo religioso che trovavano riscontro nell’opinione pubblica sotto l’azione delle sette del “Secondo grande risveglio”. La sua risonanza fu tale da lasciare il segno nel linguaggio contemporaneo della stampa, della politica e della religione che accusavano di “wrightismo” l’opposizione politica, nello specifico il Partito del lavoratori, e chiunque tentasse di difendere la libertà di espressione e i diritti fondamentali. Dopo la sua scomparsa dalla scena pubblica, a lungo il nome di Fanny Wright fu usato come epiteto ingiurioso contro chi rappresentava una minaccia per l’ordine sociale, la proprietà, la famiglia e la morale sessuale.
Le sue posizioni politiche e le sue avventurose vicende private e pubbliche sono inestricabilmente connesse ai sentimenti e al suo stile di vita. In Fanny Wright, Rebel in America, testo principale di riferimento per questo articolo, Celia Morris ha analizzato dettagliatamente questo complesso intreccio, seguendo il filo rosso della vita di Fanny, attraverso il fitto sistema di relazioni pubbliche e private in cui era immersa. Fanny nacque a Dundee in Scozia nel 1795 da una famiglia facoltosa dell’upper middle class di ascendenze liberali da cui erediterà un cospicuo patrimonio. La madre, aristocratica, era imparentata con Elisabeth Montagu, letterata, mecenate e cofondatrice del circolo letterario delle Blue Stockings. Il padre, commerciante colto di idee innovative e di amicizie illuminate, era nipote di James Mylne, insegnante di Filosofia morale all’Università di Glasgow e amico di Robert Owen. La morte prematura dei genitori segnò la separazione dal fratello più grande che andrà dai parenti di Glasgow e dalla sorella minore Camilla, accolta da una zia nel Devonshire. Fanny andò a Londra dal nonno materno, in un ambiente scandito dai rituali della buona società, frequentato solo da «Lord e Generali» e del tutto ostile e insensibile verso i bisogni delle classi povere che affollavano la città. Disgustata da tanta indifferenza, non appena le fu possibile, si ricongiunse a Camilla che, «abbagliata» dalla sua personalità, l’avrebbe accompagnata e sostenuta in tutte le sue scelte future. Dopo aver vissuto un altro lutto con la morte prematura del fratello, il legame fra le sorelle si rafforzò. Durante il soggiorno nel Devonshire, Fanny approfondì le sue riflessioni sulle cause delle disuguaglianze sociali e sulle miserabili condizioni della classe contadina costretta da pochi rapaci proprietari ad abbandonare le terre comuni e le case. Anni dopo si sarebbe imbattuta in una situazione analoga durante un viaggio nelle Highlands, dove gli sgomberi erano brutalmente accelerati dagli incendi dolosi e il clero era complice delle malversazioni. Determinata a coltivare la sua formazione, studiò da autodidatta nella biblioteca della zia e frequentò una cerchia di vicini colti, specialisti nelle discipline scientifiche e tecniche e professori universitari che continuavano a ricevere allievi nelle loro residenze di campagna.
La lettura della Storia della Guerra d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America di Carlo Botta, rafforzò la sua speranza di tradurre in pratica gli ideali di libertà e giustizia. Dal 1813 le sorelle Wright si stabilirono a Glasgow dove, anche se escluse dalle lezioni in quanto donne, grazie al prozio professore, furono a stretto contatto con la cultura utilitaristica e democratica dell’ambiente universitario. Nel frattempo Fanny aveva scritto Altorf, un testo teatrale sulla lotta per l’indipendenza della Svizzera, e un trattato sulla filosofia epicurea. Ma spinta dall’urgenza di fare qualcosa di utile e di pratico al servizio dei suoi ideali, nel 1816 partì per Londra dove, in seguito alla crisi economica, il malessere sociale era cresciuto e il governo rispondeva alle proteste con la repressione.
Fu nel 1818 che, in cerca di una soluzione, prese la decisione di andare negli Stati Uniti per vedere se e come in quella società fossero stati realizzati i principi della Dichiarazione di Indipendenza. Grazie alle lettere di presentazione di amicizie americane, fu introdotta negli ambienti socialmente e culturalmente elevati di New York e Washington, conobbe il presidente James Monroe, visitò Philadelphia e Montreal e strinse rapporti con esponenti del pensiero liberale in esilio o recentemente emigrati/e dalla Gran Bretagna. Scandalizzata dalla schiavitù, si confrontò con le posizioni dei sudisti che volevano convincerla della naturale inferiorità della popolazione nera, giudicata incapace di vivere onestamente in una società libera e organizzata, e cominciò a pensare a un progetto di emancipazione. Tuttavia, nel complesso le sue impressioni di viaggio furono estremamente positive e al ritorno pubblicò Views on Society and Manners in America, visione idilliaca di una società libera, ricca di opportunità, in cui non c’era forte divario di ricchezza fra le classi sociali e in cui ogni contadino appariva come un «Cincinnato». Anni dopo, lei stessa giudicò questa visione parziale ed edulcorata. Naturalmente il libro ebbe grande successo negli Usa, mentre in Gran Bretagna fu aspramente criticato dai Tory. Al contrario il filosofo Jeremy Bentham apprezzò molto Fanny che divenne sua discepola e persona di fiducia. A lei affidava pacchi e lettere riservate da recapitare a liberali francesi eludendo le spie del governo.
In uno di questi viaggi Fanny conobbe il marchese de la Fayette a cui rimase lungamente legata e devota in un rapporto cementato da reciproca stima, attrazione e identità di vedute, dichiaratamente filiale, ma talmente stretto da suscitare qualche imbarazzo e molti pettegolezzi. A Parigi, grazie a Lafayette, fu ammessa ad assistere alle sedute della Camera dei Deputati, un formidabile addestramento ai temi e al linguaggio della politica e una preziosa opportunità che le permise di ascoltare le argomentazioni dei liberali che la stampa, sottoposta a censura, non riportava.
Nel 1825 le sorelle Wright tornarono in America al seguito di Lafayette. Fanny era già molto nota e fece subito i primi passi a favore dell’emancipazione della popolazione nera proponendo a un agente governativo di Haiti, disposto a facilitare l’emigrazione di persone nere liberate a Port au Prince, un incontro con Lafayette. L’iniziativa, presa autonomamente, la rese ancora di più invisa a chi, anche nell’entourage del generale, denigrava il suo anticonformismo che infrangeva i tabù imposti al suo sesso. Decisa a continuare per la sua strada andò a Monticello dall’ex presidente Thomas Jefferson che nella sua tenuta praticava la schiavitù. Lui stesso, che da più di 35 anni continuava ad avere una relazione con una schiava ed era chiaramente padre di giovani mulatte/i della tenuta, riteneva impraticabile l’emancipazione e considerava il meticciato foriero di degradazione, una minaccia alla purezza della razza bianca. Evidentemente i diritti fondamentali che aveva teorizzato erano validi solo per la popolazione bianca. Al contrario Fanny vedeva nella libera mescolanza tra popolazione bianca e nera la realizzazione completa del diritto alla libertà, da intendersi indipendentemente dal colore e dal sesso. Per realizzare il suo progetto studiò le leggi dei singoli Stati per i quali la mescolanza razziale era da considerarsi un crimine, viaggiò negli Stati del Sud per conoscere in prima persona il sistema della schiavitù attraverso percorsi mai affrontati prima da donne sole fra pericoli e disagi di ogni genere. Conobbe George Flower, abolizionista e uomo della Frontiera, che aveva lottato contro gli schiavisti del libero stato dell’Illinois i quali, con il beneplacito delle autorità, avevano continuato a catturare e vendere la popolazione nera liberata. Solo nel trasferimento ad Haiti persone perseguitate avevano trovato la salvezza. Fanny ne dedusse che l’odio razziale e il pregiudizio erano così profondamente radicati nella società americana che l’emancipazione della popolazione nera non sarebbe stata possibile senza l’espatrio in un luogo sicuro dopo la liberazione e che i piantatori del sud non avrebbero mai accettato l’emancipazione senza un risarcimento economico.
Dopo essersi confrontata con Robert Owen, il socialista utopistico fondatore di New Harmony e aver conosciuto l’efficace sistema comunitario della setta degli Armonisti di George Rapp, insieme a Flower elaborò un progetto che mirava a evitare perdite economiche per gli schiavisti e a proteggere da persecuzioni la popolazione nera emancipata. Un insediamento libero ed egualitario interrazziale dove la popolazione nera avrebbe lavorato per cinque anni per ripagare i costi del suo acquisto, avrebbe ricevuto un giusto salario e, vivendo dignitosamente una vita comunitaria, sarebbe stata educata a un apprendistato industriale e a usare bene la propria libertà, mentre la prole avrebbe avuto accesso all’istruzione. Trascorsi cinque anni, sarebbe stata trasferita ad Haiti o negli insediamenti in Africa. Ottenuti auguri da Jefferson e incoraggiamenti da Monroe e Andrew Jackson, Fanny scelse un territorio nei pressi di Memphis lungo il Wolf River dove fondò la comune di Nashoba, da una parola dei nativi Chickasaw per indicare il lupo. Per quanto avesse pubblicizzato l’iniziativa, i finanziamenti furono scarsi e dovette impegnare buona parte del suo patrimonio per acquistare gli schiavi e la terra. L’esperimento sarebbe durato solo quattro anni durante i quali alle difficoltà economiche si aggiunsero le accuse fatte alla comunità di praticare unioni interrazziali, il libero amore e l’adulterio. Fanny, che nel frattempo aveva avviato anche la sua attività di editrice e conferenziera, si occupò personalmente e a sue spese del difficile trasferimento delle famiglie emancipate da Nashoba ad Haiti. Ormai aveva preso atto del fatto che la schiavitù era solo una delle tante sopraffazioni derivanti dai pregiudizi culturali generati dalla disuguaglianza, madre di tutte le ingiustizie. Il razzismo, lo sfruttamento delle classi lavoratrici, la distribuzione iniqua della ricchezza e delle risorse, la subordinazione e la privazione dei diritti delle donne, il potere dei preti sui fedeli, delle persone colte su quelle ignoranti avevano la stessa radice. Solo una rivoluzione culturale e un’educazione fondata sui principi di libertà e uguaglianza avrebbero potuto correggere le storture della società. «L’educazione all’uguaglianza poteva rendere le persone uguali».
Quando nel 1828 affiancò Robert Dale Owen, figlio del fondatore di New Harmony, come coeditrice del periodico New Harmony Gazette, divenne la prima donna editorialista di un giornale americano e quando, nello stesso anno, diede il via a un ciclo di conferenze fu anche la prima donna a parlare a un pubblico misto di uomini e donne riunito per scopi non religiosi. Nato per documentare l’esperimento sociale di Owen, con l’avvento di Fanny il periodico prese il nome di The New Harmony and Nashoba Gazette o The Free Enquirer e cominciò trattare di «religione, politica, sociologia e istruzione… (sostenendo)… il femminismo, il socialismo e altri “ismi”».
Fanny condusse la sua battaglia contemporaneamente dalle pagine del giornale e sul podio. Nella campagna elettorale per le presidenziali del 1829, le parti avverse, fomentate dalle sette, si scontrarono, non tanto sulle argomentazioni politiche, quanto sulla vita privata delle mogli dei due candidati John Quincey Adams e Andrew Jackson, accusate rispettivamente di adulterio e bigamia. Fanny, indignata, scrisse denunciando la propaganda sessuofobica religiosa che, difendendo la morale sessuale convenzionale, reclutava adepti e soprattutto adepte approfittando della loro credulità. Durante le sue conferenze attaccò il fanatismo religioso, il dogmatismo e la falsa e ipocrita moralità dei predicatori. Condannò il concetto di patriottismo americano basato sull’idea di superiorità di una nazione sull’altra. Parlò a favore della pace e del concetto di uguaglianza che, oltre ai diritti politici, doveva interessare l’istruzione e «l’esercizio libero e senza paura delle facoltà mentali» ed espresse la necessità di diffondere l’educazione e insegnare «la giusta conoscenza» paritariamente a uomini e donne affinché si accrescesse «l’umana felicità». Quasi tutti i tentativi di vietare le sue conferenze fallirono. Al contrario il pubblico accorreva numeroso per ascoltarla.
Frances Trollope, in Domestic manners of the Americans, descrive la straordinaria capacità oratoria di Fanny ed esalta il fascino della sua figura semplicemente vestita di «un abito di mussola bianca che nel panneggio ricordava una statua greca». Non va dimenticato, infatti, che Fanny, soprattutto a Nashoba, agli abiti costrittivi imposti alle donne, preferiva un abbigliamento semplice e pratico «una tunica ampia a maniche lunghe, di materiale molto pregiato, legata in vita con una fascia fluida che arriva solo al ginocchio; e sotto un paio di pantaloni alla turca»: anche questo appariva come un ulteriore segno di ribellione. Il suo giornale pubblicava tutto quello che la stampa ufficiale taceva documentando il grande successo delle conferenze e le sue risposte alle critiche. A ogni conferenza Fanny si rallegrava della crescente presenza femminile e in chiusura chiedeva alle comunità di raccogliere fondi per creare una Hall of Science, un centro culturale pubblico con museo, libreria, e insegnanti qualificati che educassero la cittadinanza e i/le giovani al libero pensiero e al bene della Repubblica.
Nel 1829 si trasferì con la redazione a New York in una casa in cui installò la stamperia e dove voleva creare una comunità in cui uomini e donne avrebbero vissuto «come fratelli e sorelle insieme condividendo la casa e le responsabilità di una famiglia estesa». Trasformò una vecchia chiesa battista comprata all’asta in una Hall of Science dove, oltre alle conferenze, si svolgevano lezioni settimanali di specialisti di varie discipline.
Fu la prima donna a parlare del diritto alla sessualità criticando la morale per cui la castità doveva essere una virtù indispensabile alle donne e fu la prima a parlare della necessità del controllo delle nascite. Dal pulpito e sui giornali la conservazione scatenò attacchi feroci contro la «sacerdotessa dell’adulterio», «puttana rossa dell’infedeltà» e «squilibrata che proclamava dottrine di fanatismo ateistico e oscenità», ma il suo radicalismo non piacque nemmeno a parte del modo liberale. Convinta di stare dalla parte giusta, Fanny aveva sottovalutato quanto fosse profondamente radicata la resistenza a qualunque cambiamento e innovazione in senso egualitario e quanto fosse manipolatorio il potere. Allora i tempi non erano maturi, ma verrebbe da dire che anche oggi «il tempo di Fanny Wright ancora non è arrivato».
Per approfondire:
Celia Morris, Fanny Wright, Rebel in America, University of Illinois Press Urbana and Chicago, 1992.
The Free Enquirer, (New York 1828-1835) in https://www.loc.gov/item/sf89092204/.
Susan Jarret, Frances “Fannie” Wright and her Turkish Trousers, 2014 in https://maggiemayfashions.com/calicoball/vignettes/frances-fannie-wright-and-her-turkish-trousers/.
Lori D. Ginzberg, The Hearts of Your Readers will Shudder: Fanny Wright, Infidelity, and American Freethought, American Quarterly, vol 46, n. 2 (Jun 1994) pp. 195-226, The Johns Hopkins University Press in https://www.jstor.org/stable/2713338?seq=1.
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Articolo di Rossana Laterza

Insegnante di Italiano e Storia in pensione. Con il gruppo Toponomastica femminile ha curato progetti di genere nella scuola superiore e collaborato a biografie di donne di valore dimenticate.
