Maiuscolo singolare, minuscolo plurale

8 marzo: non la Festa della Donna come vorrebbe l’ilare contesto commerciale, ma la Giornata internazionale per i diritti delle donne.
Per guadagnare libertà e laicità è necessario ripensare le strutture del pensiero.
Poiché è la lingua che struttura il pensiero, per essere libere e laiche dobbiamo eliminare le enfatiche maiuscole e gli indebiti singolari.

Scriveva Margherita Pelaja sotto la voce donna dell’Enciclopedia Treccani (VII appendice, 2006): «Una delle acquisizioni più significative nell’universo femminile degli ultimi decenni del ‘900 attiene al campo linguistico ed è la conquista del plurale. Donne — non più donna — indica in tutto il mondo occidentale una diversità costitutiva, di soggetti non riconducibili a una condizione biologica unificante, o a uno statuto ontologico assoluto, o alla contrapposizione con la pretesa universalità del soggetto per eccellenza, l’essere umano qualificato come uomo».
Rendere visibili e situare i molteplici strati delle identità umane e portarli al centro del dibattito ha influenzato molto il modo in cui oggi parlano alcuni femminismi, soprattutto tra le giovani generazioni.
Le esperienze delle donne non sono uniformi ma multidimensionali: ciascuna si colloca in un punto posto nell’intersezione di diverse gerarchie, ora più numerose ora meno. Tutte — non solo sesso ma etnia, colore della pelle, classe, status, religione, orientamento, età, abilità — trasformano le differenze in disuguaglianze.
Prendere in considerazione gli assi di oppressione che a seconda del contesto pesano in modo diverso e spesso multiplo sulle vite femminili e sulla loro vulnerabilità rende l’analisi politica e sociale più complessa, ma più autentica.

Le teorie essenzialiste suggeriscono in modo più univoco che le differenze non siano dovute solo a fattori ambientali, culturali o sociali, ma si basino su caratteri stabili fortemente radicati nella biologia e soprattutto negli organi riproduttivi. Rimandano alla Natura, immodificabile e sovrana, che ha come obiettivo la riproduzione delle specie.
Certo femminile e maschile sono costruiti entro definizioni e discorsi che fondano e giustificano strutture di potere, certo esistono differenze di genere nei modi di agire e di pensare, ma è utile contestualizzarle nello spazio e nel tempo senza assolutizzarne l’origine nella biologia.
Scrive Sara Gandini: «Guerreggiare sull’identità è politicamente miope perché il femminismo dovrebbe allearsi con tutte le soggettività che lottano contro il dominio sessista».

Non è facile proporre una riflessione che ci permetta di emergere come soggetto politico – e come soggetto giuridico – senza cadere nella rappresentazione di un’identità monolitica, uniforme e condivisa da tutte le donne, paradossalmente cara anche a una cultura patriarcale che inclina allo status quo. Non a caso assistiamo a inedite convergenze.
Nemmeno tanto paradossale però, se si pensa che la Donna essenzializzata (spesso convergente con la lettura mistica della maternità) è sempre stata fondamentale non per la sua identità ma per quella comunitaria, interessata soprattutto al fatto che dal corpo femminile nascono le nuove generazioni.
Dall’Altra irriducibilmente diversa, cristallizzata in caratteri precisi e collocata in una parzialità irriducibile, all’altra inferiore e perciò dominabile e utilizzabile a piacere, il passo storicamente è stato breve.
La Donna è «il bene più prezioso che va custodito» perché la sua capacità di generare la vita è essenziale per l’economia e per la prosecuzione della comunità. Il complesso costrutto culturale parte da quel solo dato. Tota mulier in utero. Il nostro grembo può generare, deteniamo il formidabile potere della riproduzione (quasi uno scacco, una marginalità del maschio che può distruggere la vita ma non può produrla): da qui la definizione di un destino biologico insieme alla necessità del controllo e alla paura di una nostra eventuale libertà, fattasi sgomento da quando riuscimmo a prendere il possesso del nostro utero nella decisione se procreare o no.
Non più dovere o necessità, ma possibilità e libertà: una rivoluzione. Il patriarcato è ferito a morte quando una donna può dire a un uomo «tu sarai padre se lo voglio io e quando lo voglio io». Noi l’abbiamo conquistato da poco, moltissime altre donne nel mondo non ancora.

Il controllo sociale si fonda su quello dei corpi e nel nostro caso della sessualità femminile, che agli occhi dei maschi è il tratto dominante dell’immagine delle donne. Regolamentandola e addomesticandola di fatto si regolamenta la società sul piano familiare, politico, economico e simbolico.
Con lo stretto controllo della castità prima, della fedeltà poi della Donna — «per il suo bene» — da parte del padre, del marito, del figlio o del fratello viene garantita la purezza della linea di discendenza, la famiglia si premunisce da figliolanze spurie cui non deve andare né il cognome né il patrimonio (il dono del padre). È questo il nodo cruciale: un fatto identitario per tutti e per tutte radicato in un’organizzazione sociale voluta da pochi.
L’opposizione rigida maschile/femminile è essenziale perché tutto il castello patriarcale stia in piedi. Proviamo a mettere in discussione la convinzione che le contrapposizioni binarie siano “naturali”. La lotta contro il controllo dei corpi deve unire, non dividere coloro che vengono controllati/e.
La polarizzazione è uno degli impegni sociali più intensi e più persistenti ma più deleteri: ogni potenzialità umana espressiva e relazionale è essenzialmente libera e creativa e rifugge da costrizioni che vorrebbero vincolarla.
Che programma affascinante quello di dar voce a tutte, di ascoltare tutte, di non escludere nessuna.

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Articolo di Graziella Priulla

Graziella Priulla, già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi, Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo, Viaggio nel paese degli stereotipi.

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