La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
L’art. 2 della nostra Carta costituzionale ci mostra due aspetti fondamentali del nostro vivere civico nella comunità della Repubblica. Il primo è la garanzia che nel nostro Paese ogni essere umano si vede riconosciuti i diritti inviolabili — primo fra tutti il diritto alla vita — che esistono a prescindere dalla dimensione politica della cittadinanza, perché sono diritti indisponibili e assoluti che vanno garantiti a ogni individuo, nonostante il testo dell’art. 2 citi espressamente i diritti dell’uomo, ma è evidente che oggi la nostra consapevolezza e il nostro percorso di emancipazione femminile ci porta naturalmente a interpretare questa parola come rappresentativa di tutto il genere umano: in modo più specificatamente giuridico, sono diritti che non possono essere eliminati nemmeno con una legge di revisione Costituzionale (come ricorda sempre nelle sue lezioni di diritto costituzionale Sara Marsico, amica toponomasta e attivista della Costituzione). Tale garanzia è assicurata sia nella nostra dimensione di singoli sia come appartenenti a una formazione sociale all’interno della quale si realizza la nostra personalità (come nella scuola, in un partito politico, in una organizzazione sindacale, in un’associazione), secondo il principio pluralista. Il secondo aspetto che emerge completa la prima parte dell’assunto costituzionale: la Repubblica garantisce i diritti ma richiede anche l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Come si legge nel commento alla Costituzione a cura della Fondazione Roberto Franceschi, «Il gruppo maggiore a cui ogni cittadino appartiene è, naturalmente, quello della Repubblica, intesa come comunità di persone che non solo vivono nello stesso territorio, ma condividono anche un patrimonio comune di storia, cultura e valori. È in quest’ottica che si comprendono i “doveri inderogabili di solidarietà” che legano gli italiani: come, in una compagnia di amici, se c’è qualcuno in difficoltà gli altri non possono restare indifferenti».
I Padri e le Madri costituenti avevano, dunque, condiviso l’idea di persona inserita nella sua dimensione individuale e sociale, secondo il principio aristotelico che vede l’essere umano come animale sociale. Nei lavori della Costituente, Giuseppe Dossetti parla di «necessaria socialità di tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e perfezionarsi a vicenda mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale». Secondo il giurista Giuseppe Capograssi, l’essere umano «non può isolare la sua vita dalle altre vite, non può chiudersi dentro la torre d’avorio del suo piacere e del suo sogno e della sua “proprietà”» (G. Capograssi, Analisi dell’esperienza comune, in Opere, II, Giuffrè, Milano 1959, p. 152). Dunque, No man is an Island, come scrisse il poeta inglese John Donne.

Per questa seconda tappa del nostro viaggio di interconnessione tra il dettato costituzionale e la letteratura, il libro che mi ritorna alla memoria è La tentazione di essere felici di Lorenzo Marone. È il bellissimo romanzo d’esordio di uno scrittore partenopeo, classe 1974, che racconta una storia in bilico tra serio e faceto, tra ironia e tragedia. Il protagonista – nonché narratore interno della storia — è l’indimenticabile vedovo settantasettenne Cesare Annunziata, la cui comparsa sulla scena suscita nel lettore una reazione di subitaneo odio e amore per la sua innata ironia cinica: «Chi si lamenta della vecchiaia è un demente. Anzi no, cieco mi sembra più azzeccato. Uno che non vede a un palmo dal proprio naso. Perché l’alternativa è una sola e non mi sembra auspicabile. Perciò già essere arrivato fin qui è un gran colpo di fortuna. Ma la cosa più interessante è, come dicevo, che puoi permetterti di fare ciò che vuoi. A noi anziani tutto è permesso e persino un vecchietto che ruba in un supermercato è visto con candore e compassione. […] Non sono un nonno che va a prendere i nipoti. La vista di quei vecchietti fuori da scuola che fermano le auto, per esempio, mi fa rabbrividire».
Cesare vive al Vomero in un palazzo dalle pareti che «servono solo a separare, non a isolare», per cui «la vita è una continua condivisione con i vicini». Ma lui non si concede facilmente agli altri, è sociopatico persino con i suoi figli Sveva, malmaritata, e Dante, omosessuale che non riesce a dichiararlo al padre. Il nostro protagonista è in grado di parlare e intrattenere relazioni solo con Eleonora, la gattara del palazzo, con Marino, l’amico di una vita che abita al secondo piano, e con Rossana, un’infermiera di mezza età con cui egli vive momenti di passione carnale di cui descrive con autoironia l’incontro tra due corpi ormai sul viale del tramonto: «Seduto sul letto, con la pancetta adagiata sul pube, le braccia flaccide, i pettorali che assomigliano alle orecchie di un cocker e i peli bianchi sul torace, mi faccio schifo. Sì, proprio schifo. Allora mi volto e incontro gli occhi di Rossana […] “Forse è il caso di togliere lo specchio” commenta. “Sì”, ribatto, “mi sa di sì”».
In questa cornice compare sulla scena un nuovo personaggio, Emma, inquilina del palazzo arrivata da poco ad abitare in un appartamento al piano di Cesare. Poiché Annunziata dorme poco e male e le pareti che separano gli appartamenti sono, appunto, troppo sottili, si accorge sin da subito che nella casa di Emma accade qualcosa di strano: Cesare si convince che il marito di Emma le faccia del male. Da questo momento in poi, il romanzo è un racconto in crescendo di tutto ciò che Cesare cerca di fare per salvare a tutti i costi Emma da una situazione di violenza domestica che, intuita inizialmente come possibile, si rivela inesorabilmente come certa. Parallelamente, il nostro vedovo protagonista farà anche un percorso di emersione dal suo stato di cinica indifferenza per scoprire come, in fondo, «si crede di non aver bisogno di nessuno finché ci si accorge di non avere più nessuno». Aiutato dall’inseparabile amico Marino, Cesare tenta ogni strada possibile: prova a parlare con Emma, a minacciare il marito affrontandolo, a stare accanto alla donna – che è anche incinta di due mesi — accogliendola qualche volta in casa sua. Purtroppo, sarà tutto inutile: l’epilogo è tragico, ed Emma muore in ospedale dopo aver subito, per l’ennesima volta, una scarica di violenza inaudita da parte del marito: «Il medico mi ha detto che aveva un’emorragia in testa, un’altra all’addome, il bacino e un braccio fratturati e le ossa del volto frantumate. Come se un trattore le fosse passato addosso. Quanto odio occorre per compiere un simile massacro?»
Marone descrive in modo semplice e netto ciò che accade nella coscienza di una donna vittima di violenza, e lo fa attraverso i pensieri di un personaggio maschile, Cesare per l’appunto, che – seppur nella sua asocialità — ha la capacità di non voltare la testa dall’altra parte: «Insomma, adesso questa benedetta donna mi infastidisce non poco, perché stavolta non posso fare finta di nulla, soprattutto se lei si ostina a girovagare per il palazzo con il viso tumefatto. Perciò ho deciso di intervenire, anche se non so ancora come». All’inizio Emma reagisce in modo respingente («Ma lei cosa vuole da me? Si faccia i fatti suoi, nessuno le ha chiesto niente!»), poi si avvicina a Cesare e comincia a fidarsi di lui, instaurando un dialogo in cui lo scrittore ci permette di penetrare nella psicologia di una donna maltrattata. Le pagine che scorrono sotto gli occhi del lettore non sono facili da digerire alla luce di quanto accade attualmente in termini di violenza maschile contro le donne.
Emma manifesta tutti i meccanismi psicologici di difesa che si attivano in una situazione di pericolo, come subire aggressività e violenza:
(Emma) Mio marito mi ammazzerà prima o poi.
(Cesare) Lo ha detto a qualcuno? Ai suoi genitori, a un’amica?
(Emma) No, in città non ho nessuno, e comunque non lo confesserei mai, la gente giudica. […]
(Cesare) Ha provato a rivolgersi a qualche associazione?
(Emma) No, mi vergogno. […] Ho sottovalutato i segnali, non ho fatto attenzione ai campanelli d’allarme. I primi tempi non mi picchiava, ma sbottava per un nonnulla. Mi sono detta che era solo molto stressato, che sarebbe passato, che, in fondo, non era successo niente. Così ho deciso di starmene buona, mi sono voluta convincere che con il mio sostegno si sarebbe calmato. […] Una sera sono riuscita a scappare e mi sono rifugiata in un bar. Ma quando il locale ha chiuso lui è venuto e mi ha riportato a casa. E lì mi ha riempito di calci e mi ha rotto una costola. Poi sono arrivate altre botte e litigi. Alla fine mi ero quasi convinta che la colpa fosse mia, che gli rendevo la vita impossibile.
(Cesare) […] Dovrebbe denunciarlo… Se non lo denuncia lei, lo faccio io!
(Emma) No, la prego, ho paura. E poi non ho una casa e nemmeno un lavoro. Lui non vuole.
I dialoghi tra i due personaggi confermano i dati Istat per il 2023: «Dal racconto che le vittime fanno alle operatrici del 1522 emerge che la maggior parte di esse non denuncia la violenza subita alle autorità competenti. Solo il 15,8% nei tre trimestri considerati ha, infatti, denunciato la violenza subita (1.311 vittime). I dati evidenziano una persistente resistenza a denunciare: il 59,4% delle vittime dichiara di non denunciare anche se la violenza subita dura da anni».
Nella scrittura letteraria di Marone emergono chiaramente anche quei meccanismi psicologici a cui accennavo: la negazione come reazione che si presenta nelle prime fasi della violenza e che serve a proteggersi da una situazione traumatica evitandola, eclissando gli aspetti negativi e insostenibili della realtà; l’evitamento e la minimizzazione, che, soprattutto nella dinamica di coppia, si manifestano nella tendenza a evitare situazioni che possono far perdere il controllo all’aggressore, e a sottovalutare situazioni che possono mettere a rischio la propria incolumità.
Nella confessione che Emma fa a Cesare, viene a galla la radice che spesso è alla base degli atteggiamenti di totale sottomissione delle donne vittime di violenza maschile: «Sono scappata da casa a quattordici anni, mio padre beveva e se la prendeva con me e la mamma. Perciò sono andata via appena ho potuto. Pensa che avevo giurato a me stessa che non mi sarei mai legata a un uomo…». I meccanismi di difesa di fronte alla violenza sono spesso risposte che sono state apprese durante l’infanzia, in situazioni avverse e pericolose, alle quali si è reagito con paura, orrore o impotenza, non riuscendo a trovare altro modo per proteggersi.
Questo romanzo incarna il duplice aspetto su cui si incentra il contenuto dell’art. 2. È una storia di violenza contro una donna, dunque di violazione di un diritto inalienabile, come è ben evidenziato nella Convenzione di Istanbul del 2011, che sarà bene citare: «con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata» (da https://www.istat.it/it/files/2017/11/ISTANBUL — Convenzione — Consiglio — Europa.pdf).
Ma, nello stesso tempo, è una storia che mostra come un cittadino in quanto tale, ovvero facente parte di quella comunità che chiamiamo Repubblica, reagisce di fronte all’evidenza di un sopruso ai danni di un suo simile, motivo per cui quel principio di solidarietà sociale sancito dall’art. 2 non è solo parola scritta, ma valore etico imprescindibile che dovrebbe smuovere ogni essere umano posto di fronte alla sofferenza di un altro individuo: Homo sum, humani nihil a me alienum puto, pronunciava Cremète, personaggio della commedia terenziana dell’Heautontimorùmenos, ovvero «sono un uomo e nulla di ciò che è umano lo reputo a me estraneo». Cesare Annunziata ha reputato la sofferenza di Emma non estranea a lui, ed è Emma stessa che glielo riconosce:
(Cesare) Perché ne sta parlando con me?
(Emma) Perché lei ha voluto vedere. La maggior parte delle persone anche se ha un sospetto ti dedica uno sguardo compassionevole e si gira dall’altra parte. La gente ancora pensa che si tratti di questioni private da risolvere in famiglia.
Nonostante il suo impegno nel tentare di salvare la vicina di casa, Cesare non riesce a evitarle la morte: «Per Emma non c’era più nulla da barattare, se n’è andata dopo aver lottato per una notte intera, portando con sé il bimbo che custodiva. […] Avrei dovuto denunciare il bastardo e salvare davvero Emma […]. Ma lei non voleva che mi intromettessi, credeva di potercela fare da sola, si vergognava della sua situazione. […] Nessuno può essere salvato se non lo vuole». Occorre un processo di consapevolezza nelle donne che subiscono violenza, che le porti a riconoscere di essere vittime e, di conseguenza, a denunciare lo stato di violazione a cui sono sottomesse.
Di certo, nel romanzo di Marone, Cesare ha superato il suo muro di cinismo e sociopatia per regalare a una donna fragile e indifesa un po’ del suo tempo e di quella pace che Emma cercava in una vita di violenza e sopraffazione. Non occorre essere eroi ed eroine, basta leggere la Costituzione e comprendere che quel progetto di società che in essa è delineato ci coinvolge tutti e tutte: è l’unico antidoto a questo tempo di individualismo, scetticismo, disaffezione politica, per noi che viviamo il presente e per coloro che abiteranno il futuro.
Mi piace chi ama per primo…
Mi piace chi ancora si stupisce di fronte alle stelle…
Mi piace chi sa chiedere scusa…
Mi piace chi sa amarsi…
Mi piace chi combatte ogni giorno per essere felice.

Pillola di bellezza ri — costituente
14 marzo 2024 a Novi Ligure (Alessandria). Carlo Pulcino, un brigadiere capo in congedo dai Ros dei carabinieri, 71 anni, salva una donna di origini albanesi di 41 anni prima quasi travolta da un suv alla cui guida c’è il suo ex, un connazionale di 50 anni, poi presa dallo stesso a calci e pugni. Se Carlo non fosse tempestivamente intervenuto, la donna probabilmente sarebbe morta sotto l’efferato assalto dell’ex compagno. Carlo ha agito per dovere inderogabile di solidarietà sociale. Come Carlo, tanti e tante, le cui storie meriterebbero di essere sempre raccontate per invertire le correnti di odio che ci vorrebbero sospingere dentro il buio dell’indifferenza.
Non sono un eroe… ho fatto solo ciò che dovevo.
Se non fossi intervenuto non me lo sarei perdonato…
Credo che bisogna sempre mettersi a disposizione degli altri…
Bisogna imparare a intervenire
e non girarsi dall’altra parte.
***
Articolo di Valeria Pilone

Già collaboratrice della cattedra di Letteratura italiana e lettrice madrelingua per gli e le studenti Erasmus presso l’università di Foggia, è docente di Lettere al liceo Benini di Melegnano. È appassionata lettrice e studiosa di Dante e del Novecento e nella sua scuola si dedica all’approfondimento della parità di genere, dell’antimafia e della Costituzione
